«Si renderanno conto che la democrazia garantisce la libertà, il diritto di espressione, ma esige anche che le persone rispettino le istituzioni». E ancora «Scopriremo chi sono i finanziatori di questi vandali che sono andati a Brasilia», con queste parole Luiz Inácio Lula da Silva ha condannato «l’attacco alla democrazia per mano di vandali fascisti».
Domenica pomeriggio, a pochi giorni dalla grande festa per l’insediamento di Lula, migliaia di bolsonaristi hanno assediato, occupato e saccheggiato il Congresso, il palazzo presidenziale e la Corte Suprema nella capitale Brasilia, provocando gravissimi danni alle sedi delle istituzioni e facendo temere un colpo di stato militare con l’obiettivo di riportare l’ex presidente Bolsonaro al potere. Secondo le autorità, almeno cinquemila persone hanno partecipato all’assalto che ha riportato alla memoria l’occupazione di Capitol Hill a Washington dopo la sconfitta elettorale di Trump.
I bolsonaristi sono arrivati nella spianata dei ministeri il primo pomeriggio e scortati dalla polizia militare che non è intervenuta nemmeno quando i simpatizzanti di Bolsonaro hanno rotto e superato le transenne di protezione dell’area. Da quel momento l’orda bolsonarista si è riversata con furia verso le sedi istituzionali riuscendo dapprima ad occupare il Congresso e successivamente anche il palazzo presidenziale e la Corte Suprema. Dal tetto del Congresso è stato anche srotolato un enorme e inquietante striscione che recitava un eloquente “intervento militare”. Senza che vi fosse una minima azione di contenimento da parte delle forze armate presenti, i manifestanti hanno quindi avuto via libera nel saccheggio e nella devastazione delle sedi istituzionali e degli uffici dei ministri.
Dopo oltre un’ora dall’occupazione le forze armate sono finalmente intervenute in modo massiccio con elicotteri e truppe di terra riuscendo a respingere i manifestanti con gas lacrimogeni, bombe stordenti e proiettili di gomma. Ci sono cifre discordanti sugli arresti, ma i media brasiliani parlano di almeno 150 fermi. Per il ministro della giustizia più di 200, per il governatore di Brasilia 400. Lentamente la situazione è tornata sotto controllo, lasciando dietro di sè i gravissimi danni provocati dai bolsonaristi, una cinquantina di addetti alla sicurezza feriti (di cui due in modo grave) e soprattutto tanto sollievo per lo scampato pericolo di colpo di stato.
Dopo un’attesa che è sembrata eterna, il presidente Lula, che fortunatamente non si trovava a Brasilia, è finalmente apparso in conferenza stampa e ha usato parole di fuoco contro l’assalto criminale messo in atto dai simpatizzanti di Bolsonaro: «Queste persone devono essere punite e scopriremo anche chi sono i finanziatori di questi vandali che sono andati a Brasilia» ha dichiarato il presidente in conferenza stampa, che ha poi decretato l’intervento federale a Brasilia fino al 31 gennaio.
Inoltre, il giudice della Corte Suprema Federale Alexandre de Moraes ha ordinato la rimozione del governatore del Distretto federale di Brasilia Ibaneis Rocha per un periodo di 90 giorni, «la violenta escalation di atti criminali è circostanza che può verificarsi solo con il consenso, e anche l’effettiva partecipazione, dalle autorità competenti per la sicurezza pubblica e l’intelligence», ha affermato Moraes.
A stemperare ulteriormente la tensione e a fugare la paura di un colpo di stato militare sono state anche le dichiarazioni ufficiali di diversi leader mondiali, prima tra tutte quella del Segretario di Stato americano Antony Blinken che ha condannato l’attacco alle istituzionali brasiliane definendolo inaccettabile. Anche Macron, Sanchez e diversi presidenti latinoamericani, tra cui Boric, Petro e Fernandez hanno espresso subito la loro solidarietà e il loro appoggio a Lula.
Sull’altro versante, Bolsonaro inizialmente è rimasto in silenzio dal suo rifugio a Miami negli Stati Uniti dove è scappato pochi giorni prima del passaggio di poteri con Lula, salvo poi timidamente intervenire per condannare gli attacchi parlando di azioni “illegali”.
Ma su di lui ci sono naturalmente fortissimi sospetti sulle responsabilità di essere il mandante di questa azione anti democratica, in primo luogo per non aver mai riconosciuto la vittoria elettorale di Lula ma anche per aver aizzato i suoi seguaci ad organizzare atti radicali e violenti contro il nuovo presidente. L’insurrezione infatti potrebbe essere stata pianificata in Florida dove è attualmente il Segretario alla Sicurezza per il Distretto Federale Anderson Torres, ex ministro di Bolsonaro, e oggi subito destituito.
L’assalto a Planalto è parte della strategia di destabilizzazione del nuovo governo che, com’era prevedibile, non avrà vita facile nel suo cammino alla guida del paese, considerando anche che il bolsonarismo fonda la sua forza non solo nello stretto legame con i vertici militari ma anche nel radicamento sul territorio e nella capacità di spingere i propri seguaci ad atti tanto violenti quanto antidemocratici.
Non solo l’assedio ai palazzi del potere nella Capitale, ma i manifestanti golpisti in Brasile nella notte hanno bloccato autostrade e strade federali in almeno quattro Stati. Lo Stato del Mato Grosso è il più colpito dalle proteste dei sostenitori dell’ex presidente Bolsonaro, secondo quanto riporta il sito online di Folha de S.Paulo.
Il Partito dei Lavoratori (Pt), guidato dal presidente Lula, ha denunciato che i bolsonaristi stanno bloccando la distribuzione di carburante nello Stato del Paranà, nel sud del Paese. Il presidente della formazione progressista, Gleisi Hoffmann, ha diffuso un video in cui i sostenitori dell’ex presidente Jair Bolsonaro “cercano di impedire” la distribuzione di idrocarburi nell’unità situata nel comune di Arauca’ria. Hoffmann, che è deputato federale per il Paranà, ha chiesto al governo regionale di mobilitare la Polizia Militare per disperdere i manifestanti, che, come accaduto a Brasilia, vogliono cacciare Lula dalla presidenza. La Federazione Unica dei Lavoratori del Petrolio (Fup), potente sindacato del settore, aveva avvertito poco prima di “possibili atti terroristici nelle raffinerie” della compagnia petrolifera statale Petrobras “in tutto il Paese”.
Ieri il colpo è stato parato, ma la strada si fa sempre più in salita per Lula e per tutto il Brasile.
** (AP Photo/Eraldo Peres)