I Pianeti di Holst

Nonostante egli compose diversi importanti lavori dopo questa suite, nessuno di essi raggiunse mai lo stesso livello di riconoscimento. I frequenti insuccessi prima di questa composizione avevano spinto Holst alla ricerca disperata di un soggetto che potesse essere utilizzato come seme per le sue composizioni. Holst stesso, in una lettera ad un amico, ammise che: “Studio solamente cose che mi suggeriscono musica, per questo mi preoccupavo del sanscrito. Infine di recente la personalità di ciascun pianeta mi ha molto ispirato, e ho studiato abbastanza da vicino l’astrologia”.

L’interesse di Holst per l’astrologia crebbe quando incontrò il suo amico poeta, drammaturgo e giornalista Clifford Bax nel marzo del 1913 durante la sua visita a Maiorca, in Spagna. La persona che originariamente aveva introdotto Holst all’astrologia era stato, in precedenza, George R. S. Mead. Uno degli amici di Meads era Alan Leo, pioniere dell’astrologia di inizio XX secolo. Holst possedeva due libri di Alan Leo: How to judge A Nativity e The Art of Synthesis. In quest’ultimo libro è possibile rintracciare la fonte d’ispirazione per I Pianeti.Secondo l’astrologia, ogni pianeta del nostro sistema solare rappresenterebbe una diversa personalità e ne L’arte della Sintesi Alan Leo dedica difatti un capitolo ad ciascun pianeta. Fu proprio questo modello a fornire a Gustav Holst l’idea di intitolare ogni movimento della sua suite in maniera simile. I capitoli de L’Arte della Sintesi seguono l’ordine reale dei pianeti nel sistema solare secondo le loro distanze dal Sole, escludendo la Terra, la quale non ha importanza astrologica. I primi tre movimenti della suite di Holst hanno un ordine diverso, ma l’ordine degli ultimi quattro pianeti è esattamente lo stesso. Holst inizia I Pianeti con Marte, poi Venere e infine Mercurio. Sia Leo che Holst all’epoca non inclusero Plutone nella lista poiché non fu scoperto fino al 1930, sebbene dal 2006 esso sia stato declassificato al rango di pianeta nano.

L’Arte della Sintesi di Alan Leo:

  • Capitolo 6 –Mercurio, il Pensatore
  • Capitolo 7 – Venere, l’ Unificatore
  • Capitolo 8 – Marte, l’ Energizzante
  • Capitolo 9 – Giove, il Confortatore
  • Capitolo 10 – Saturno, il Domatore
  • Capitolo 11 – Urano, Colui che Risveglia
  • Capitolo 12 – Nettuno, il Mistico
  • I Pianeti di Gustav Holst:
  • I – Marte, il Portatore di Guerra
  • II – Venere, il Portatore di Pace
  • III – Mercurio, il Messaggero Alato
  • IV – Giove, il Portatore dell’Allegria
  • V – Saturno, il Portatore di Vecchiaia
  • VI – Urano, il Mago
  • VII – Nettuno, il Mistico

Sebbene la genesi della suite I Pianeti sia imbevuta nelle fasce esoteriche del primo novecento (si possono citare la Teosofia e l’Ariosofia), dal punto di vista strettamente musicale Holst era chiaramente debitore della musica di compositori come Wagner e i romantici russi come Rimsky-Korsakov e Tchaikovsky, noti per il loro colore orchestrale e persino compositori contemporanei come Arnold Schoenberg (Holst possedeva una partitura dei suoi 5 Pezzi per Orchestra op.16). La suite è, in un certo senso, un lavoro anacronistico considerando che opere contemporanee includono lavori espressionisti come quelli di Schoenberg o anche di Richard Strauss e anche la nuova e frenetica musica jazz proveniente dall’America. Tuttavia, nelle pagine di questo capolavoro è possibile intravedere un lavoro straordinariamente complesso, finemente cesellato nella sua ricerca timbrico-strumentale e dalle avanzate manipolazioni armoniche, volto ad esprimere a pieno il carattere astrologico di ogni pianeta.
Rallentato delle sue responsabilità didattiche nella scuola delle ragazze di St. Paul dove lavorava, Holst impiegò ben due anni per completare I Pianeti e un altro anno ancora per finire la partitura per orchestra (Holst era solito comporre le sue opere al pianoforte e originariamente scrisse I Pianeti in una versione per due pianoforti), ostacolato anche da una dolorosa neurite che gli rendeva arduo il compito di scrivere da solo una partitura cosi’ grande e dettagliata. Per completare l’opera fu aiutato, infatti, da due colleghi per completare la partitura, Vally Lasker e Nora Day, e da una sua allieva, la compositrice Jane Joseph.

Tenendo conto del fatto che la suite fu scritta tra il 1914 e il 1916 e che poi ha avuto la sua prima performance pubblica dalla London Symphony Orchestra alla fine del 1920, la decisione di Holst di iniziare la sua suite con Marte, il Portatore di Guerra sembra indubbiamente influenzata dalle realtà della prima Guerra Mondiale (il casus belli che avviò la prima Guerra Mondiale fu l’assassinio dell’Arciduca Francesco Ferdinando e di sua moglie Sophie, duchessa di Hohenberg, il 28 Giugno 1914), anche se Holst stesso ha sempre negato fortemente questa ipotesi: “avevo già in mente tutto Marte prima di Agosto, e l’unico pianeta del quale ero certo di pensare nella seconda metà del 1914 era Venere, e il Portatore di Pace”.Holst compose Venere nell’agosto del 1914, seguito da Giove. Seguirono Saturno, Urano e Nettuno nell’anno successivo, il 1915, e solo all’inizio del 1916 Holst scrisse Mercurio, l’ultimo movimento ad essere completato.

La suite si apre appunto con Marte, il Portatore di Guerra, un pianeta che esprime con la sua musica mascolinità primitiva, forza e aggressività. Un movimento minaccioso che presagisce la celebre Marcia Imperiale di John Williams, con Marte Holst evoca abilmente attraverso la musica un quadro dell’intera Grande Guerra dal suo inizio effusivo alla sua cinica conclusione, portando con sé cacofonia, violenza e immagini di truppe in marcia, cattedrali distrutte e popolazioni devastate. L’energico ostinato ci trascina piano sin dall’inizio fino a giungere a una vera e propria marcia militare incessante. Poco dopo una fanfara annuncia l’inizio della battaglia fino allo scoppio di una e più bombe. Il climax indicato con un quadruplo forte (ffff) termina il bombardamento, seguito da un momento di incertezza e ambiguità ed infine una marcia di vittoria. Considerando l’impressionante potere di MarteVenere, il Portatore di Pace in un certo senso potrebbe sembrare un movimento anticlimatico. Mentre Marte denota un movimento dinamico e militaresco, con Venere Holst costruisce un mondo idilliaco, contrastando il pianeta rosso con un senso di femminilità, calma e pace, ma anche sensualità e tenerezza espressa per esempio dalla melodia del violino solista dalle battute 32 a 37.

Proseguendo, Mercurio evoca un senso di rapida vivacità, giocosità, giovinezza e allegria. Per creare l’illusione di movimento, Holst utilizza diversi ostinati, come per Marte, con l’aggiunta di rapidi spostamenti dei motivi e delle melodie tra i gruppi strumentali. Giove, invece, esprime magnificenza, festa, gaiezza e benevolenza: tutte caratteristiche perfettamente degne del re dei pianeti. Il tema principale di Giove è forse la melodia più nota e ‘canticchiabile’ dell’intera suite e fu più tardi adattata dallo stesso Holst per quello che divenne il canto patriottico I Vow to Thee, My Country, musicando l’omonima poesia di Sir Cecil Spring Rice.

Il pianeta successivo è Saturno, il quale evoca la vecchiaia, la pazienza, la lentezza e anche la malinconia. Holst associa la vecchiaia allo scorrere del tempo e contrappone sin dalle prime battute una lenta melodia a delle sonorità che simulano il ticchettio costante di un orologio, uno solo all’inizio che si moltiplica con l’avanzare della musica. Holst considerava Saturno, il Portatore della Vecchiaia, il suo movimento preferito della suite. Urano è espressione di tutto ciò che è anormale, forza magica e sinistra e in un certo senso anche il volgare e la sfrontatezza. Ricorda, con il suo tema principale, il famoso poema sinfonico L’Apprendista Stregone di Paul Dukas’s, confermando dunque l’idea di magia, vivacità e gioco all’interno del movimento.

Infine, la suite si chiude con Nettuno, il Mistico: movimento dall’influenza musicale enorme sia in termini d’orchestrazione (si pensi per esempio alla maggiorate della musica per film di fantascienza) che di arditezza armonica. Nettuno evoca un profondo senso di mistero, ignoto ed infinito e si potrebbe pensare che questa musica simuli un viaggio nello spazio profondo insieme al pianeta ai confini del nostro sistema solare, accompagnati da un onnipresente senso di inquietudine e da miliardi di stelle che scintillano nella fredda oscurità. Inoltre, questo movimento fu la prima musica ad utilizzare un effetto di dissolvenza, sfumando difatti la linea di confine che divide la musica dal silenzio. Holst da istruzioni precise circa il coro di voci femminili che partecipa all’ultimo movimento: “dev’essere collocato in una stanza adiacente, la porta della quale dev’essere lasciata aperta fino all’ultima battuta del pezzo, quando dovrà essere chiusa lentamente e silenziosamente.”

Altri autori come John Williams hanno preso spunto dalle opere di Holst.

E’ possibile che Holst, uomo timido e riservato, non amasse la sua nuova popolarità derivata dai I Pianeti. Tuttavia, in una sorta di strano scherzo del destino, oggi egli è quasi esclusivamente ricordato per questa suo lavoro. Dopo tutto, l’eredità de I Pianeti è enorme, soprattutto nel mondo delle colonne sonore e la musica per immagini. Come già detto, John Williams, noto al grande pubblico per le colonne sonore di film come Guerre Stellari, Indiana Jones e Jurassic Park, è decisamente un ‘holstiano’ proprio a causa delle similitudini rintracciabili nella sua orchestrazione e delle numerose citazioni del compositore inglese nascoste all’interno delle sue colonne sonore. Per la maggior parte, la musica britannica tende a essere trascurata dagli studiosi di musica e dal pubblico a causa di una sua percepita natura indigesta e rigida. Tuttavia, la musica de I Pianeti va contro questo preconcetto, con la sua musica semplice e diretta all’ascolto, nonostante una notevole complessità e originalità di scrittura, e la sua popolarità permanente è un testamento di ciò che può essere raggiunto da una musica conservatrice: conservatrice per il suo profondo apprezzamento per il sublime e per il bello. Meglio ancora, il conservatorismo de I Pianeti può essere ritrovato nel suo approccio olistico e ordinato alle emozioni umane, così come il suo amore sfrenato per il mistero e la rivelazione trascendente.

Nelle parole stesse del compositore: “Questi pezzi mi furono suggeriti dal significato astrologico dei pianeti. Non vi è musica a programma in loro, né essi hanno alcun collegamento con le omonime divinità della mitologia classica. Se dovesse essere richiesta qualsiasi guida alla musica, il sottotitolo di ogni brano sarà sufficiente, soprattutto se interpretati in senso ampio. Per esempio, Giove porta allegria nel senso ordinario, ma anche nel senso di allegria cerimoniale associata con le feste religiose o nazionali. Saturno porta non solo il decadimento fisico, ma anche una visione di completezza.”

Gustav Holst dunque scrisse I Pianeti soprattutto come espressione musicale di ogni pianeta e la loro influenza sulla psiche umana: dalla volatilità di Marte, alla dolcezza del pianeta Venere fino al profondo mistero di Nettuno, il capolavoro di Holst rappresenta soprattutto uno studio approfondito del cuore umano sotto forma musicale.

di Tiziano de Felice

Articolo originale: https://www.quinteparallele.net/2017/05/pianeti-holst/

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