Intervista a Carmine Conelli, editore di Tamu Edizioni e autore di Il rovescio della nazione. La costruzione coloniale dell’idea di Mezzogiorno, pubblicato da Tamu Edizioni.
Parto con una prima domanda, che riguarda la vostra storia: voi siete nati nel 2018 come un progetto indipendente a Napoli e siete diventati nel 2020 una casa editrice. Qual è il vostro rapporto con il territorio? In che modo selezionate i testi che vanno a comporre il vostro catalogo?
TAMU nasce come libreria nel centro storico di Napoli nel 2018, una libreria focalizzata su una selezione di testi in ambito geografico collocati tra il Mediterraneo, il Medio Oriente ed “altri Sud”, che però ha acquisito anche una connotazione intersezionale in termini di catalogo (qui l’intervista pubblicata su Sherwood). Questa intersezionalità – ovvero il ragionamento su come le coordinate di classe, razza, genere e anche ecologia determinano la nostra esperienza di vita nelle società contemporanee – è diventata subito il focus anche del catalogo editoriale che abbiamo aperto nel 2020.
La libreria e la casa editrice hanno un rapporto con il territorio che è mediato dal fatto di essere uno dei pochi punti del centro storico di Napoli in cui è rimasto una specie di laboratorio di cultura indipendente. Stiamo parlando infatti di un centro storico che negli ultimi anni si è ‘turistificato’ abbastanza e la libreria in particolare, ma anche la casa editrice, ha provato a spezzare un po’ questa concezione per cui nel centro si volesse solo mangiare, guardare dei monumenti e così via. In questo si è coalizzata con altre librerie indipendenti con cui abbiamo cominciato anche a programmare degli eventi pubblici e un festival che si terrà a inizio maggio. La libreria poi stringe rapporti molto forti sia con collettivi politici e sociali, alcuni titoli li abbiamo realizzati proprio in collaborazione con le realtà che attraversano TAMU e non solo.
Ci parleresti del tuo libro Il rovescio della nazione. La costruzione coloniale dell’idea del Mezzogiorno, il modo in cui le tematiche vengono affrontate, l’obiettivo che vuoi raggiungere con questa pubblicazione?
Il libro è frutto di un percorso di ricerca che mi ha tenuto impegnato per una decina d’anni che ho parzialmente sviluppato attraverso un dottorato all’Orientale di Napoli. All’epoca – non solo a Napoli ma anche in tutto il resto del Meridione, come conseguenza della crisi economica – un rinnovato discorso di delegittimazione della cultura meridionale nella scena politica italiana ha portato allo sviluppo di movimenti molto identitari.
Mi sono quindi chiesto: è possibile riconoscere gli squilibri che caratterizzano la società italiana all’interno del rapporto Nord-Sud senza cadere in una chiave identitaria? È possibile riconoscere sia le disuguaglianze sociali che connotano il rapporto tra Nord e Sud, ma anche i rapporti di classe all’interno del meridione stesso senza cadere in una retorica che guarda al ‘si stava meglio quando si stava peggio’? È possibile guardare alla questione meridionale come un processo non più locale, ma inserito nella rete globale che in qualche modo ha promosso la modernità europea attraverso il colonialismo?
Queste sono le domande che ho sviluppato nel libro a partire da Antonio Gramsci che è stato il primo personaggio politico, il primo filosofo militante che ha declinato in chiave rivoluzionaria la questione meridionale e che allo stesso tempo ha ispirato centinaia di movimenti nel mondo a ripensare i propri rapporti coloniali e di classe in paesi anche geograficamente molto distanti rispetto all’Italia, penso all’India, al Medio Oriente e all’America Latina. Questo libro parla di come Gramsci potrebbe tornare a casa e ripensare il Sud alla luce di questo inserimento in una rete globale in cui il pensiero di quella che chiamiamo l’idea di modernità non è inscindibile dal fatto che questa modernità sia stata perpetrata attraverso il colonialismo.
Abbiamo parlato di neo borbonismo, abbiamo accennato a questa tendenza anche nel Sud a declinare sempre il movimento in una visione sempre più conservatrice, più tradizionalista. Alcune tendenze scadono anche nel fare apologia e monarchia di personaggi politici o storici come Francesco II. A quanto pare la tua narrazione è un pochino diversa rispetto a quella che viene spesso propinataci. Puoi spiegarci ad esempio in che modo si può rivalutare il Sud al di là del discorso identitario, del discorso neo borbonico e di come questa questione viene affrontata nel tuo ultimo lavoro?
Io credo che il neo borbonismo sia un fenomeno che non è da rigettare a prescindere come alcuni storici fanno, ma è da comprendere a fondo per capire il malessere che attraversa il Mezzogiorno negli ultimi anni. Non è un caso che questo movimento abbia un sostrato culturale molto forte, che a differenza di ciò che avviene al Nord non si è coagulato in un movimento politico autonomista o regionalista particolare. Attraversa comunque varie anime politiche e si è consolidato alla luce delle celebrazioni finte e vuote che ci sono state nel 150esimo dell’Unità d’Italia, nel 2011, anche se era qualcosa che già si percepiva sotto pelle negli anni precedenti.
Dopodiché non si può affermare che questo discorso neo borbonico sia un discorso identitario: l’identità “terrona”, meridionale, si è affermata come gioco degli specchi. Se si dice ad una persona ‘sei oziosa, sei fannullona, sei criminale, non sei produttivo, non sei efficiente, le mafie sono colpa tua ecc’ è un meccanismo molto classico, lo spiegavano anche i teorici della negritude: è quello di guardare all’indietro, ad un passato glorioso, talvolta inventato, come nel caso di quello borbonico, cercando di trovare le radici del momento in cui questa prosperità si è interrotta. Molti di questi scrittori, divulgatori cosiddetti neo borbonici fanno corrispondere con l’Unità d’Italia questo momento, reclamandola come vera e propria colonizzazione.
Sicuramente il rapporto tra Nord e Sud è così squilibrato e diseguale da assumere quasi delle connotazioni coloniali, allo stesso tempo però cede alla retorica facile della colonizzazione che è anche molto consolatoria: è un discorso che ha consentito alle classi dirigenti meridionali di non assumersi le proprie responsabilità per lo stato pietoso in cui versa il Meridione e di addossare tutta la responsabilità ad un “Nord cattivo” e responsabile della colonizzazione, lasciando perdere quelli che sono i rapporti di forza all’interno del Meridione stesso che vengono spesso trascurati da questa analisi.
La proposta che faccio nel libro è quella di non guardare più al rapporto tra Nord e Sud come ad un rapporto di colonizzazione, ma attraverso ad una delle declinazioni latino-americane degli studi sulla modernità, di guardarlo come ad una logica coloniale che continuava a permeare la modernità anche nel momento in cui l’esperienza storica è finita. È una logica che per quanto mi riguarda si applica benissimo al modo in cui il Meridione è percepito nell’opinione pubblica, perché oppone un polo positivo ad un polo negativo. Polo positivo che può essere riscontrato nel Nord che è sviluppato, mentre il Sud è sottosviluppato, un Nord moderno con un Sud arretrato, un Nord che ha fatto della ragione il suo punto di forza contro il Sud superstizioso e religioso e così via, per arrivare fino ad una delle dicotomie che secondo me ora sono molto pregnanti, cioè quella tra legalità e illegalità che impedisce proprio di cogliere quelli che sono i rapporti di disuguaglianza presenti nella società meridionale oggi.
Come tutte queste coppie dicotomiche vadano neutralizzate è l’auspicio che il libro fa. A partire da questo auspicio nel rovescio dell’altra nazione non mi accontento di opporre un Sud buono, positivo ad un Nord cattivo e arraffone, ma mi auguro appunto che riemerga la complessità dei rapporti di classe che hanno attraversato la storia del Sud fino all’unificazione, da quando una serie di patrioti univano la questione nazionale a quella sociale e hanno vissuto la sconfitta che ha anche determinato le sorti politiche successive fino ad arrivare ad oggi. Sostanzialmente mi auguro che la neutralizzazione di queste categorie che hanno consentito la subordinazione del Sud in quest’ottica di logica coloniale possano essere disvelate, neutralizzate per mettere in luce la complessità delle disuguaglianze sociali e per immaginare nuove alleanze dal basso, tra quelli che Gramsci chiama i subalterni.
Vediamo ora una questione molto attuale: si parla di cronaca di questi ultimi mesi, il famoso disegno di legge Calderoli che dà via alla cosiddetta autonomia differenziata. Il governo l’ha sempre difeso, dicendo che è un disegno di legge che non creerà alcuna disparità tra meridione e settentrione. Tu cosa ne pensi?
Il punto è che Meloni mente sapendo di mentire quando dice che questo provvedimento non creerà maggiori disparità. Le disparità già esistono e le riforme degli enti locali promosse in precedenza a partire dal titolo V e le riforme di Renzi e Monti hanno già gravemente compromesso la possibilità che gli enti locali del Sud possano garantire standard di vita minimi. Attraverso l’autonomia differenziata il concetto è di concentrare all’interno di alcune regioni del Nord la capacità di spesa, che non va nella direzione che indica Meloni. Da un lato sono molto critico rispetto a questo progetto, dall’altro, per quanto riguarda l’autonomia dei territori, penso che possa essere un’opportunità per il Mezzogiorno, se agita dal basso attraverso una partecipazione popolare. Se invece devo immaginare un’autonomia che dia maggior potere ai politici che attualmente governano il Sud dobbiamo ripensare totalmente il progetto.
Uno dei vostri progetti è la rivista Arabpop. Il progetto “TAMU” ha chiaramente un’identità creola; possiamo notare il forte legame con una concezione di Mediterraneo in qualche modo opposta a quella eurocentrica. Città portuali come Livorno, Palermo, Marsiglia, Atene o grandi centri metropolitani come Siviglia o Bologna sono impensabili senza la loro multiculturalità. Proprio partendo da questi assunti, TAMU edizioni pubblica la rivista “ArabPop”, semestrale di arti e letterature arabe contemporanee. Come recepisce il pubblico italiano un prodotto -a suo modo- così d’avanguardia? Ci sono molti punti di incontro, molte influenze che potranno portare in futuro -anche dal punto di vista della letteratura- una vera identità culturale mediterranea?
Arabpop è un’intuizione straordinaria di un gruppo di esperte del mondo arabo che compongono la redazione della rivista. Per noi il progetto è molto innovativo; noi del Sud abitiamo molto vicini alle coste del Maghreb, e siamo immersi nel Mediterraneo. Nonostante ciò, abbiamo una conoscenza abbastanza approssimativa di queste regioni, e quando immaginiamo un mondo culturale in cui immedesimarci lo facciamo più facilmente con il mondo statunitense, o inglese o francese. Per quanto riguarda il mondo arabo, la nostra concezione è ancora molto viziata dall’orientalismo, e non riusciamo a immaginarcelo se non con donne velate e uomini in guerra. Queste studiose hanno proposto uno sguardo totalmente diverso, uno sguardo neutro e non viziato da pregiudizi coloniali, restituendoci un’immagine viva di quello che succede al di là del Mediterraneo. Nei territori si muovono tante esperienze culturali che dialogano benissimo con le esigenze dei giovani di oggi. Ad esempio, anche nella penisola arabica ci sono etichette musicali che producono musica trap. Questi aneddoti ci mostrano quanto rivoluzionario possa essere guardare a questo mondo senza filtri, trattando le culture arabe al pari della nostra.
Tornando alla questione meridionale, un aspetto che è sempre stato saltato nel dibattito è la condizione materiale e strutturale della società. Ad esempio, al Sud è forte il problema dell’estrattivismo, tra la Basilicata, la Terra dei Fuochi, Taranto. In che modo si può declinare la questione non più dal punto di vista tradizionale, ma analizzando le contradizioni pratiche, economiche e di classe?
Il pericolo di una narrazione identitaria del sud è proprio quello di elidere le disuguaglianze sociali ed ambientali. Come immaginare un meridionalismo diverso è un’operazione che impegni le persone che abitano al Sud ma non solo, perché questa è una questione nazionale e anche transnazionale, che dice molto dei rapporti di egemonia e subalternità che sono stati instaurati dalle classi dominanti. Nel libro faccio una provocazione, dicendo che bisognerebbe smettere di pensare a un punto di vista meridionalista se pensiamo al meridionalismo che pensa il Sud come il Nord, riducendolo ad un territorio unico trascurando le sue differenze interne. Il Sud è tante cose, ci sono metropoli, fasce pianeggianti in cui le persone sfruttate sono quelle migranti, una spina dorsale enorme appenninica con dinamiche tutte sue, l’insularità della Sicilia e della Sardegna. L’auspicio è quello di immaginare nuovi tipi di alleanze che uniscano una serie di subalternità e combattere il blocco dominante costituito anche e soprattutto dalle classi governanti che le tengono soggiogate.