Da diverse settimane Globalproject segue da vicino i movimenti francesi e la crisi politica che si è aperta in Francia, dalle manifestazioni contro la riforma delle pensioni alle violenze a Sainte-Soline. In tutta questa agitazione sociale c’è un aspetto che vale la pena analizzare: le relazioni internazionali e l’opinione internazionale su questa crisi. Ed è questo su cui vorrei concentrarmi in questo ultimo articolo della rubrica Le Père Duchesne: uno sguardo sulla Francia.
Le reazioni alla crisi in Francia sono ovviamente diverse, ma molti sembrano esserne addirittura divertiti. Ad esempio, il video della coppia seduta su una terrazza, che beve tranquillamente un bicchiere di vino rosso davanti a un fuoco a Bordeaux, è diventato virale ed è spesso accompagnato dalla parola chiave #BeMoreFrench come una sorta di tributo all’arte francese della ribellione. Altri sono preoccupati, soprattutto i vicini europei che sicuramente sperano che situazioni del genere non accadano nei loro Paesi.
Particolarmente preoccupato è la Germania, che nel 2017 aveva messo su un piedistallo Macron, all’interno di un’ipotesi di Europa a traino franco-tedesco che si faceva largo in quella fase storica. Ricordiamo come il quotidiano liberale Frankfurter Allgemeine Zeitung aveva fatto il ritratto del presidente ideale: «più giovane di John Fitzgerald Kennedy, più liberale di Tony Blair e più europeo di Gerhard Schröder». Il presidente insomma che avrebbe dovuto fare le riforme che i tedeschi volevano. Al contrario, dopo l’intervista di Emmanuel Macron al telegiornale nazionale del 22 marzo, il settimanale progressista Die Zeit lo descrive come sempre più simile «alla caricatura che i suoi detrattori hanno fatto di lui per anni, un orgoglioso tecnocrate che ha perso la capacità di capire perché suscita tanta rabbia, un intellettuale sopraffino che ha avuto così tanto successo nella vita da non poter ammettere alcun errore».
Gli articoli apparsi di recente sono molto poco lusinghieri nei confronti del presidente e della situazione, sia che provengano da destra che da sinistra. Il quotidiano di sinistra Die Tageszeitung ha scritto il 6 aprile, in un articolo intitolato Un governo ottuso, che «raramente in Francia c’è stato un governo che si è così ostinatamente tagliato fuori dalla popolazione e che ha cercato di scavalcare con tanta arroganza la legittima opposizione» e che «il conflitto rischia di degenerare in una crisi dello Stato, perché non c’è quasi dialogo tra le due parti, che contano sulla resa incondizionata della parte avversa».
La crisi delle pensioni – ancor più di quella dei “gilet gialli” che da alcuni era percepita all’epoca come proveniente da una Francia resistente al cambiamento – ha mutato radicalmente la visione del capo dello Stato. L’escalation degli eventi ha anche reso più duro il giudizio sul Paese e sulle sue istituzioni, soprattutto perché l’articolo 49,3 rimane poco compreso al di fuori della Francia.
In Italia domina il termine “illiberale”, una parola particolarmente carica nel lessico politico. Dopo l’ultima intervista televisiva di Emmanuel Macron, Francesca De Benedetti, giornalista del quotidiano progressista ed europeista Domani, ha paragonato l’uso della violenza da parte delle forze dell’ordine alla repressione delle manifestazioni contro il G8 di Genova del 2001. L’infamante qualifica di “illiberale” è tanto più sorprendente in quanto, per tutta una parte del centro-sinistra e di alcuni ambienti progressisti italiani, Emmanuel Macron aveva goduto, durante il suo primo mandato, di un’immagine di baluardo contro il populismo
D’altra parte, il movimento contro le pensioni è osservato da vicino da una sinistra italiana in fase di riconfigurazione e meno propensa a scendere in piazza per difendere le proprie posizioni in un Paese in cui l’età pensionabile è fissata a 67 anni. Al di là delle conversazioni da bar, in cui si esagera con l’invidia per questi francesi capaci di mobilitazioni di massa, rispetto agli italiani che talvolta ripetono con un pizzico di rammarico retorico di “non aver mai saputo fare la rivoluzione”, i commentatori traggono lezioni dalla convergenza delle lotte sociali e ambientali delle ultime settimane in Francia.
In termini di relazioni internazionali, i presidenti francesi sono sempre stati in grado di migliorare la loro immagine in tempi di crisi utilizzando la politica estera. Macron rappresenta un’eccezione a questa regola. Tra i suoi commenti su Cina e Stati Uniti e la contestazione subita di recente a L’Aja, Macron sembra in netta difficoltà anche su questa versante. La visita di Stato nei Paesi Bassi è iniziata martedì 11 aprile con una prima tappa al Palazzo Reale di Amsterdam, seguita da un atteso discorso sull’Europa, dopo le osservazioni controverse fatte durante il suo viaggio in Cina.
Si è trattato della prima visita di Stato nel Regno dal 2000 per un presidente francese ed assumeva un’importanza cruciale perché arrivava dopo il viaggio in Cina durante il quale Emmanuel Macron aveva invitato l’Unione Europea a non essere “seguace” né degli Stati Uniti né della Cina sulla questione di Taiwan e a incarnare un “terzo polo”. “Non vogliamo dipendere da altri su questioni critiche”, ha dichiarato domenica al quotidiano francese Les Echos, citando l’energia, l’intelligenza artificiale e i social network. La sua richiesta, nella stessa intervista, di mantenere le distanze sulla questione di Taiwan e di “dipendere meno dagli americani” in termini di difesa, aveva immediatamente sollevato critiche e domande, così come i suoi commenti passati sull’Ucraina.
All’Aia, Macron è stato fischiato e deriso per la riforma delle pensioni, ma anche per l’inazione della Francia contro la crisi climatica. “Penso che abbiamo perso qualcosa: dov’è la democrazia francese?”, “hai scavalcato di nuovo il parlamento”, “la convenzione sul clima non è rispettata”, “quando ascolterai i milioni di persone nelle strade?”. Queste e molte altre accuse sono state urlate al Presidente francese mentre venivano srotolati diversi striscioni, uno dei quali recitava in inglese “President of violence and hypocrisy“.
Mentre i manifestanti venivano allontanati dalla sala, Emmanuel Macron ha risposto a questi appelli prima di iniziare il suo discorso sul concetto di sovranità europea: “È molto importante avere un dibattito sui temi sociali”. Un commento che appare particolarmente ipocrita dal momento che lo stesso Macron si è avvalso di uno strumento come il 49.3 che ha evitato il dibattito all’Assemblea Nazionale e il referendum. Ha proseguito il suo discorso affermando che “questa è una democrazia e una democrazia è esattamente un luogo dove si può manifestare”. Ancora una volta, il commento è indicativo dell’ipocrisia del Presidente, vista la violenza che la polizia sta usando a ogni manifestazione.
In conclusione, le relazioni tra la Francia e i suoi vicini rischiano di deteriorarsi rapidamente a causa di un improvviso cambio dell’opinione pubblica internazionale a cui abbiamo assistito in questi mesi. Infatti, da «difensore della democrazia», Macron si è trasformato in un tiranno. Inoltre, le immagini che provengono dalla Francia preoccupano gli altri leader, che temono che quanto stia accadendo nelle città francesi possa contagiare anche i propri Paesi. La crisi della credibilità internazionale di Macron ha ovviamente effetti sul piano interno, perché sempre non fa che peggiorare la mancanza di fiducia dei francesi nella capacità di governo del loro presidente.