Nella giornata di ieri, 2 maggio, Khader Adnan, 45 anni, è morto dopo 86 giorni di sciopero della fame. Non si conosceranno mai i motivi ufficiali del suo arresto, come per gli altri mille palestinesi (su cinquemila prigionieri politici detenuti nelle carceri israeliane) sottoposti a detenzione amministrativa da parte delle autorità di occupazione, una prassi ripetutamente condannata dal diritto internazionale per le acclamate violazioni delle libertà fondamentali.
La detenzione amministrativa è una misura preventiva controversa che viene applicata dalle autorità israeliane in maniera pressoché esclusiva contro le persone palestinesi, che possono venire arrestate, anche per lunghi periodi di tempo, senza accuse formali né processo a loro carico. Molto spesso, nemmeno gli avvocati vengono messi al corrente delle ragioni che hanno portato alla detenzione dell’assistito, che può venire rinnovata senza una durata definita.
Per giustificarne l’incarcerazione, le autorità di occupazione e i media israeliani hanno insistito sull’appartenenza di Adnan al Jihad Islami, un movimento di resistenza nazionale fondato negli anni 80 da alcuni studenti palestinesi in Egitto e dichiarato organizzazione terroristica da Israele, Stati Uniti, Regno Unito e Unione Europea. La fazione, con la propria ala militare – le Brigate Al Quds – è ispirata da principi religiosi, si oppone all’esistenza dello stato di Israele ma al contempo non prende parte all’arena politica palestinese. Anche questa volta, tuttavia, le autorità israeliane non sono state in grado di formulare accuse formali e produrre prove a carico di Adnan, che non era un portavoce del Jihadi, come erroneamente riportato dai media israeliani, ma un carismatico simbolo di resistenza e perseveranza, sia per la sua organizzazione che per la causa palestinese tutta e pertanto ritenuto una voce scomoda.
Fornaio di professione, Adnan possedeva una panetteria a Qabatya, a sud di Jenin, città in cui viveva assieme alla moglie e nove figli. Laureatosi in matematica all’Università di Birzeit, ha iniziato il suo attivismo all’interno dei movimenti studenteschi, sostenendo politicamente il PIJ. Viene arrestato per la prima volta nel 1999 da Israele, che lo trattiene per quattro mesi, prima di venire arrestato nuovamente su mandato dell’Autorità Palestinese.
Per i due decenni successivi, Adnan entrava e usciva ripetutamente di prigione, spesso senza accuse e processi a carico e torturato dai suoi carcerieri, che lo sottoponevano ad estenuanti interrogatori. I suoi lunghi scioperi della fame hanno attirato l’attenzione di tutto il mondo e scatenato proteste di solidarietà nella Palestina occupata. Per altre quattro volte, prima della sua morte, Adnan aveva messo in campo quella che di fatto è l’unica protesta possibile per i detenuti, con gravi ripercussioni sul suo fisico, digiunando per 25 giorni nel 2004, 67 nel 2012, 54 nel 2014 e 25 nel 2021. Lo stato di salute di Adnan era precipitato nelle ultime settimane. Le autorità israeliane si sono rifiutate di trasferirlo in ospedale e, lo scorso 23 aprile, hanno negato la richiesta di libertà su cauzione.
A seguito della sua morte, uno sciopero generale è stato proclamato in molte città della Cisgiordania, con manifestazioni e scontri scoppiati sin dalle prime ore del mattino. Dalla Striscia di Gaza sono stati lanciati 22 razzi, alcuni caduti nella città di Sderot e in altre città israeliane, senza tuttavia registrare feriti.
Durante la notte, l’artiglieria di terra e l’aviazione israeliana hanno bombardato pesantemente diversi siti della Striscia di Gaza, da nord a sud, comprese zone civili ad alta densità abitativa. Le fazioni hanno a loro volta proseguito con lanci di razzi verso i territori del 48, fino alla tregua dichiarata alle prime luci dell’alba. Non ce l’ha fatta l’anziano Hashel Mubarak Salman, ferito gravemente durante i bombardamenti e spirato questa mattina in ospedale.