Grandi opere e devastazione ambientale nel Messico sud-orientale

I giorni trascorrono veloci nella carovana “El sur resiste”, i ritmi serrati e la stanchezza vengono compensati dalla grandissima ispirazione che traiamo dalle comunità in lotta che attraversiamo e dalla ricchezza delle diversità che compongono la delegazione di oltre 170 persone che sta affrontando questo viaggio, unendo organizzazioni messicane afferenti al Congreso Nacional Indigena (CNI) e organizzazioni internazionali.

L’obiettivo principale di questa carovana è quello di visitare le comunità indigene del Messico sud-orientale, conoscere le loro resistenze, i progetti (e megaprogetti) estrattivisti che impattano i loro territori e diffondere le informazioni raccolte per supportare il loro processo di lotta. Facciamo però fatica a raccontare ciò che ci siamo trovati di fronte in maniera pragmatica e asettica, tralasciando il grande sconforto e la grande rabbia che abbiamo provato toccando con mano queste devastazioni. “Digna rabia”, rabbia degna, la definirebbero i nostri compagni e le nostre compagne di viaggio del CNI.

La prima parte della carovana, superata la costa del Chiapas, ha attraversato l’Istmo di Tehuantepec, nella parte occidentale dello stato di Oaxaca e nella parte meridionale dello stato di Veracruz. La caratteristica principale dell’Istmo è quella di essere la parte più “stretta” dello stato messicano, la parte in cui Oceano Pacifico e Oceano Atlantico sono più vicini. La funzione strategica di questa zona appare dunque evidente sotto diversi punti di vista, dal movimento delle merci (deviando parte del traffico che ad oggi passa per il Canale di Panama) al controllo delle rotte migratorie dirette verso nord. Nello specifico, questa grande opera riunisce diversi interventi di riordinamento territoriale: il potenziamento dei due porti a due lati dell’Istmo (Salina Cruz sul Pacifico, Coatzacoalcos nell’Atlantico), il potenziamento della raffineria di Salina Cruz e il nuovo gasdotto in direzione sud verso la costa del Chiapas, il potenziamento della raffineria di Minatitlan e l’apertura di una nuova raffineria a Dos Bocas, la costruzione di una via di trasporto su rotaia lungo l’Istmo a collegamento dei due porti, l’ampliamento della strada che attraversa l’Istmo per incentivare il trasporto su gomma, dieci nuovi parchi industriali e l’ulteriore aumento della produzione di energia eolica

mapa sureste

La resistenza a questa opera mastodontica si articola su più livelli e comunità, unendo ricorsi legali ad azioni dirette, come l’occupazione dei cantieri, i blocchi stradali e la riappropriazione delle terre che dovranno essere espropriate. Un esempio di queste lotte lo abbiamo visto nella comunità di Puente Madera, sulle cui terre comunali vorrebbero edificare uno dei dieci parchi industriali, o la comunità di Mogoñe Viejo, che con il “campamiento Tierra y Libertad” sta bloccando da oltre due mesi la costruzione dei binari del treno transistmico occupandone il cantiere. Va sottolineato inoltre che la privatizzazione delle terre comunali indigene è vietato dalla legge agrarie, e le forzature per portare avanti queste opere è evidente, nel truccare le votazioni delle assemblee agrarie, cambiare la destinazione d’uso dei terreni e nello stipulare contratti non regolari con gli assegnatari delle terre comuni, usando surrettiziamente lo spagnolo quando buona parte di queste popolazioni parla solo la propria lingua originaria.

Proseguendo il viaggio, uscendo dalla zona dell’Istmo veracruzano, abbiamo potuto vedere con i nostri occhi uno degli effetti della crisi climatica in corso. La comunità di El Bosque, nello stato di Tabasco, che si trova sulla foce del rio Grijalva, dal 2019 sta affrontando le conseguenze del rallentamento della corrente del Golfo: a causa dell’aumento della temperatura delle acque dei mari atlantici, è diminuito il divario termico con quelli tropicali che dava origine alla corrente calda verso il largo, che arriva fino all’Europa, rimanendo così ad erodere la costa atlantica messicana, provocando un consistente innalzamento del mare che si è già portato via 40 case della comunità, oltre alla scuola. Questo processo di erosione è inoltre in aumento a causa degli scavi per estrarre sabbia dal fondo del fiume per la costruzione della nuova raffineria di Dos Bocas.

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Ascoltare le oltre sessanta famiglie raccontarci come abbiano perso tutto in così poco tempo, e come il governo messicano non stia facendo nulla, hanno lasciato un profondo segno su di noi. Ci uniamo al loro appello per una soluzione immediata che consenta una riallocazione degna della comunità, preservare la loro attività tradizionale di pesca, che li lega al territorio tanto quanto garantisce la loro sussistenza autonoma.

Le ultime tappe della carovana passano invece per la penisola dello Yucatan, attraversando gli stati di Campeche, Yucatan e Quintana Roo, dove insiste la costruzione del Tren Maya. Questa opera mastodontica prevede una linea ferroviaria ad alta velocità che colleghi Cancun, capitale di Quintana Roo e punto di arrivo del turismo massivo, con Palenque, in Chiapas (ultima tappa della carovana prima dell’incontro internazionale di San Cristobal de Las Casas). Tutti questi territori sono in piena foresta tropicale, una selva rimasta vergine fine a pochi anni fa, custode di una biodiversità fra le più alte al mondo, oltre che di riserve d’acqua sotterranee in grande quantità. Gli impatti di questa opera saranno (e già sono nei lotti dove i lavori proseguono più velocemente) enormi e su più livelli.

Dal punto di vista degli impatti ambientali, la costruzione della linea ferroviaria ha implicato il disboscamento di grandi aree di selva maya, considerata terra sacra dalle popolazioni indigene che l’hanno abitata nei secoli. La sopravvivenza della foresta è non solo fondamentale per la preservazione della biodiversità mondiale e l’equilibrio degli ecosistemi terrestri, ma rappresenta anche la fonte di sostentamento culturale e materiale per le comunità che la abitano, grazie alla presenza di erbe officinali usate per la medicina tradizionale, la raccolta di frutta e piante spontanee, la piccola caccia e l’approvvigionamento di legname. Una ferita che si estende non solo alla terra ma anche all’acqua: si stima che solo il 30% delle fonti di acqua dolce non sia contaminata; la difficoltà di reperire acqua pulita danneggia oltre che l’ecosistema anche l’attività agricola, favorendo l’abbandono o la vendita dei terreni dei piccoli coltivatori ai grandi latifondisti. 

La messa a valore di queste terre a seguito della costruzione della via ferroviaria porterà ulteriore disboscamento, provocando una reazione a catena di speculazione sui terreni per favorire il turismo di massa e la costruzione di nuovi resort.

In questo non hanno un ruolo solo le grandi aziende multinazionali ma anche forti gruppi di interesse locale come l’esercito e le organizzazioni criminali. Oltre alle evidenti infiltrazioni delle narcomafie nella gestione degli appalti per la costruzione, per la sua particolare forma giuridica l’esercito stesso può assumere la costruzione diretta dell’opera, subappaltando i lavori a aziende del settore o contrattualizzando direttamente la forza lavoro implicata nell’opera. Questo rende la segreteria di difesa nazionale (SEDENA) portatrice di interesse nell’opera, avendo anche diritto a una percentuale dei profitti futuri. Anche questo ha contribuito alla progressiva militarizzazione dei territori e ad una forte criminalizzazione delle comunità che resistono all’opera. Nel tramo 7 dell’opera (settimo lotto appaltato), l’esercito sta proseguendo la costruzione nonostante una sentenza definitiva di sospensione del tribunale collegiale, che prevede la sola possibilità di effettuare studi di impatto ambientale. Ci troviamo dunque di fronte a una vera e propria costruzione illegale dell’opera, anche nei punti in cui la sospensione non è arrivata ma gli studi di fattibilità mancano: nello stato di Campeche per la costruzione di un ponte ferroviario sopra il fiume che attraversa la città di Candelaria anziché porre delle piattaforme è stato ostruito il corso d’acqua in modo irreversibile con materiale inerte creando un serio pericolo idrogeologico per gli abitanti.

Attraversando fisicamente questi territori, vedendo tappa dopo tappa la devastazione ambientale provocata e ascoltando dalle comunità in resistenza la preoccupazione per quelli che saranno gli impatti sociali di queste opere, appare evidente come tutti questi interventi non vadano letti e analizzati singolarmente, ma inseriti all’interno di un unico grande piano riorganizzativo del sud-est messicano, ideato e portato avanti dall’attuale presidente messicano Andres Manuel Lopez Obrador. In questo progetto le popolazioni indigene sono viste come elemento sacrificabile in nome della continua estrazione di valore da tutti i territori i cui equilibri sono stati preservati dalle comunità che li vivono e li proteggono. In quest’ottica va letta anche l’enorme criminalizzazione a cui le comunità sono sottoposte ma a cui con questa carovana stanno dimostrando una forza propulsiva che non concede spazio alla resa, rendendo evidente che solo l’intreccio di tutte queste lotte territoriali può portare a sconfiggere l’aggressione ai territori e alla vita.

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