La nuova Costituzione cilena nelle mani degli eredi politici di Pinochet

Un terremoto elettorale scuote la politica e il governo cileno: alle elezioni per eleggere i rappresentanti del Concejo Constitucional che varerà la nuova Costituzione, trionfa la destra radicale erede del dittatore Pinochet mettendo ancora più in difficoltà il governo progressista del presidente Boric.

Secondo i dati forniti dal Servizio Elettorale, oltre 12 milioni di elettori si sono recati alle urne, una delle affluenze più alte della storia, anche se questo dato è influenzato dall’obbligatorietà del voto. Sul fronte dei risultati, nessuna sorpresa: la destra cilena ottiene la maggioranza dei voti e di conseguenza la maggioranza degli scranni nel Consejo Constitucional. Quasi un paradosso, dal momento che proprio il Partito Repubblicano (primo partito con oltre tre milioni e quattrocento mila preferenze) aveva sempre respinto la possibilità – e la necessità – di cambiare la Costituzione.

Le varie anime della destra hanno ottenuto quindi oltre cinque milioni di voti che corrispondono a 34 consiglieri, mettendo le mani sulla redazione della nuova Costituzione, ben oltre lo sbarramento del 60% o dei 3/5 necessari per far approvare le norme. Per l’area progressista e della concertazione poco più di tre milioni e quattrocento mila voti che rappresentano il 23% circa delle preferenze e corrispondono a 16 consiglieri. Troppo pochi per poter ambire a dettare la linea del nuovo organo, troppo pochi perfino per sperare di riuscire a dialogare con la maggioranza. Infine, è stato eletto anche un consigliere indigeno indipendente, uscito da una quota minoritaria riservata alle popolazioni originarie. Unica nota “positiva” è l’altissima percentuale del voto di protesta: infatti, sono oltre due milioni i voti nulli e oltre 500 mila quelli in bianco, che corrispondono a circa il 20% del totale. Da segnalare inoltre anche gli oltre due milioni di astenuti, che corrispondono a circa il 15% del totale, un dato elevato nonostante l’obbligatorietà del voto.

I risultati usciti da questa tornata elettorale rappresentano quindi non solo l’ennesima sconfitta elettorale del governo progressista di Boric, ma anche il suo tradimento finale alle istanze costituzionali sorte con l’estallido social del 2019. Infatti, non si può vedere altrimenti la consegna nelle mani della destra del processo costituente, diventato l’elemento simbolo per chiudere definitivamente con il passato pinochetista: ora questo processo sarà in mano agli stessi eredi politici del dittatore, senza alcuna possibilità di scendere a patti o di contrattare.

Una parabola triste di cui lo stesso Boric è tra i principali artefici e responsabili: fu infatti lui nel dicembre 2019 a tendere la mano all’ex presidente Piñera in difficoltà, accettando e votando la proposta governativa di iniziare il processo costituente, passaggio che coi mesi ha determinato un indebolimento della spinta esplosiva e trasformatrice nata nelle strade, dando l’opportunità alla destra conservatrice di riorganizzarsi. I risultati elettorali di domenica 7 maggio sono quindi il “capolavoro” di questa destra erede del dittatore, che è stata capace di utilizzare la sinistra istituzionale per indebolire la protesta e metterla successivamente sotto scacco.

Il “tradimento” di Boric non riguarda però solo il processo costituzionale. Il governo da lui guidato in questi mesi ha dilapidato un appoggio politico enorme derivante dalla rivolta sociale del 2019, perdendo via via la fiducia delle fasce popolari che lo avevano portato alla presidenza. Sono molteplici le scelte infelici del governo, tra queste però alcune sono più importanti di altre. Uno dei nodi centrali è senz’altro l’utilizzo costante della repressione nelle mobilitazioni, in particolare quelle studentesche, che si sono date in questi ultimi mesi. Cosa peraltro molto simbolica visto il passato da rappresentante studentesco dello stesso Presidente. Repressione e militarizzazione sono senza dubbio due aspetti che hanno minato l’immagine del governo, sia nel Paese, sia all’estero. Raúl Zibechi, durante l’incontro finale della carovana “El Sur Resiste” a San Cristóbal de las Casas, ha ricordato come sotto la presidenza di Boric sia addirittura aumentata la militarizzazione del Wallmapu, che ha raggiunto e superato quella messa in atto dall’ex presidente Piñera. Militarizzazione che significa non solo repressione nei confronti dei mapuche ma anche concessione del territorio ancestrale alle imprese forestali per lo sfruttamento intensivo del legname.

Il sociologo Marcos Roitman Rosenmann, in un recente articolo pubblicato su La Jornada ha rincarato la dose sottolineando come la «farsa elettorale ha consumato il tradimento di Boric» nei confronti dei suoi elettori. Tradimento delle aspettative di rinnovamento che si evince da molte decisioni discutibili del governo, come per esempio, la recente approvazione della legge “grilletto facile”, con la quale è stata concessa alle forze armate carta bianca nell’utilizzo di armi letali e l’immunità di fatto nella repressione delle manifestazioni di protesta. Secondo Roitman dunque «in Cile ci sarà una nuova Costituzione, ma sarà il risultato spurio di una proposta elaborata dalla destra alle spalle del popolo».

A caldo, anche questo risultato elettorale negativo eclatante non sembra aver prodotto una disanima critica del proprio operato nell’Esecutivo, anzi. La portavoce del governo, la comunista Camila Vallejo, ha dichiarato che «questo è il momento degli accordi, del dialogo – e che – dobbiamo continuare a governare per rispondere ai cittadini». Accordi, dialogo, che però sono alla radice di questa sconfitta e alla perdita di consensi del governo e che la destra non ha alcun vantaggio a intavolare dal momento che pare funzionare benissimo la strategia di lento e inesorabile logoramento dell’opzione progressista.

Il fantasma del dittatore Pinochet che sembrava essere stato definitivamente scacciato con il trionfo del Apruebo nel Plebiscito che aveva votato la Convenzione Costituente, è tornato ad aleggiare nuovamente sul Paese e la responsabilità è senz’altro anche di questo governo che non è stato capace, o non ha voluto, scacciarlo definitivamente.

Immagine di copertina tratta da radio.uchile.cl

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