Riceviamo e pubblichiamo da un affezionato lettore.
I sentimenti che esprime nella lettera che segue rappresentano fedelmente tanto di ciò che riceviamo quotidianamente: messaggi, appelli, proposte, richieste.
La lettera di Andrea, è per molti versi, uno specchio della nostra epoca e di questa Italia, soprattutto dell’Italia che ancora si fa domande, si indigna e – per quel che può – si oppone all’ingiustizia, alla decadenza e non si arrende al pessimismo. Ha voglia di denunciare, di farsi ascoltare – e in qualche maniera – di partecipare, nonostante tutto.
ComeDonChisciotte è soprattutto questo: una comunità di persone libere che non si adegueranno mai. E che mai saranno lasciate sole.
Buongiorno,
Colgo l’occasione offerta da un piccolo avvenimento verificatosi alcuni giorni fa (certo, trascurabile rispetto agli eventi concernenti i massimi sistemi e di fronte alla realtà dei fatti campali di cui, ogni giorno, il mondo è costretto a farsi teatro), così da potervi rendere partecipi di alcune riflessioni dalle quali, giocoforza, è diventato ormai per me impossibile distogliere la mente.
Ricevetti la telefonata dell’incaricato di una certa società finanziaria, attraverso la quale mi è stata data comunicazione (‘annunciata’ o, detto in altri termini, tutt’altro che inattesa) secondo cui per gli operatori della stessa non era stato possibile trovare, sul mio conto corrente bancario regolarmente registrato, la somma di denaro sufficiente a saldare la rata che tutti i mesi sono tenuto a versare, in conseguenza della sottoscrizione di un prestito personale che mi fu concesso alcuni anni fa.
Penso di parlare anche a nome di una larga, se non larghissima, fetta della popolazione (quella, specificamente, che, senza essersi macchiata di colpe particolari e per ragidenti da volontà altrui, è costretta a permanere, in condizione d’equilibrio quantomai instabile, sui gradini più bassi della scala socio-economica), se affermo che sovente, da non poco tempo a questa parte, mi succede, non senza che il mio orgoglio ne esca decisamente ferito, di non poter essere puntuale, nel momento in cui sopraggiunge una determinata scadenza di pagamento. Mi pregio di sottolineare (sperando, ad ogni modo, che possiate ritenere la puntualizzazione decisamente superflua) che la situazione di precarietà finanziaria, che rappresenta ormai una mia costante, essendo io appartenente alla categoria dell’oggi martoriato e derelitto ceto medio, non costituisce la conseguenza diretta di una vita vissuta all’insegna delle più sfrenate dissolutezze, nè sono giunto a questo punto a causa del fatto di essermi abbandonato nel vortice di investimenti tanto sventati quanto fallimentari, nè, tantomeno (e spero mi perdonerete se, scrivendo quanto segue, mi faccio un vanto di tenere alto il mio orgoglio di persona ‘diversa’, affinchè questo possa stagliarsi sopra vette che, forse, alcuni possono persino ritenere inaccettabili ed oggettivamente precluse ad ogni essere umano), mi sono mai lasciato intrappolare nelle reti e nei molteplici specchietti per allodole, che costituiscono la fatale, invincibile e disgraziata attrazione della quale finisce per cadere sempre prigioniera la grandissima parte degli esponenti dello scervellato popolino, che (scrivo questo con dolore) merita tale spregiativa etichetta proprio per questo motivo.
Semplicemente, a partire dal minuto immediatamente successivo all’entrata in vigore dell’Euro, è diventato decisamente arduo, se non addirittura improponibile, poter condurre un’esistenza degna di essere vissuta. Questa, infatti, dal mio punto di vista, si compone (o dovrebbe essere composta) sia dell’opportunità di affrontare, in modo rilassato, le necessità imposte ogni giorno dalla vita materiale sia del diritto, inalienabile, di potersi veder garantita un’insostituibile qualità di base.
La causa del problema, naturalmente, non è da ricercarsi nella moneta unica in sè e, ancor più ovviamente, non servirebbe a nulla tornare, economicamente parlando, a prima degli anni 2000, nonostante, talvolta, questo sembri corrispondere all’auspicio tanto di certi esegeti da riunione di condominio quanto dei deprecabili condottieri del grillismo della prima ora. Ciò tanto più che questi ultimi, guarda caso e manco a farlo apposta, hanno prontamente provveduto a cambiare opinione, non appena hanno potuto verificare che perfino l’inizialmente assai demonizzata valuta post-moderna, specie allorchè possa cadere a pioggia dentro i reparti di portafogli in gran parte piuttosto sguarniti prima che avesse luogo la loro resistibile ‘discesa in campo’, si è rivelata, a medio se non addirittura a breve termine, incapace di emanare il cattivo odore tipico del pesce e degli affettati scaduti. Insomma, “pecunia non olet” proprio mai.
Banalmente ed auto-nominandomi possessore del copyright di una teoria a causa della quale potrei venire (forse, a buon diritto) sbattuto fuori a calci anche dai contesti universitari più sgangherati, presso i quali persino discipline importanti quali l’Economia non siano ritenute meritevoli della necessaria attenzione, la verità è che l’inghippo di fondo si annida nel dato per cui, dopo che l’Euro ebbe soppiantato la lira, gli stipendi e le pensioni non sono mai stati davvero equiparati al nuovo e reale costo della vita. Ciò a meno che non si guardi ai famigerati 80 euro di Renzi, all’inqualificabile reddito di cittadinanza o alle poche decine di spiccioli lordi, che spuntano fuori di tanto in tanto in forza di chissà quali oscure manovre messe in atto dai tesorieri e dagli azzeccagarbugli del ‘palazzo’, alla stregua di autentiche ed imponenti conquiste di carattere sociale.
In buona sostanza, l’Euro è stato utilizzato in qualità di strumento finalizzato ad arricchire sempre più i già ricchi e, soprattutto, a ridurre al silenzio finanziario, attraverso una certosina e sottile opera d’imbavagliamento, gli storici eredi del boom economico, unitamente agli eredi degli eredi.
Rispetto a questo fondamentale problema (a cui, nel contesto di un regime davvero democratico, dovrebbe essere data la precedenza rispetto a tutti gli altri), non esiste un’adeguata opera di sensibilizzazione. Solo allo scopo di gettare fumo negli occhi e di otturare i timpani di chi ascolta, si continua, periodicamente, a far leva sulle consuete ed ormai sperimentatissime armi di distrazione di massa, peraltro svilite e ridotte a slogan buoni giusto per le caciare da bar dello sport. La situazione è simile a quella di un malato che, afflitto da un tumore assai vicino allo stadio terminale, venga curato per una frattura al ginocchio o una carie dentale. Nessuno, fuor di metafora, parla nè si occupa del tema a cui, di questi tempi, dovrebbe essere attribuita un’importanza primaria. Nell’intento di pulirsi ipocritamente la coscienza, i manovratori delle leve del potere, sfruttando in questo senso la platea gentilmente offerta dai talk-show (molto “show” e assai poco “talk”; in Italia, cioè, sono state tristemente mandate a memoria le tecniche e le modalità del info-tainment) si prodigano affinchè, specialmente in concomitanza con la scadenza di qualche tornata elettorale, non circostanziati e del tutto casuali luoghi comuni e frasi fatte si materializzino, come per incanto, sulle loro labbra. Tale comportamento, naturalmente, finalizzato a catturare il consenso concesso, praticamente sempre e senza richiedere le minime garanzie, dal popolino, il quale accetta di buon grado di retrocedere verso gli infimi gradini della scala sociale, a patto che non si facciano ad esso mancare la salute, il lavoro come forza motivazionale di un’esistenza altrimenti priva di qualsiasi vero significato, le periodiche e pantagrueliche libagioni e l’irrinunciabile partita di calcio, per la quale, molto spesso, ci si mostra persino disposti a fare a coltellate o sprangate.
Va da sè che non sono talmente sprovveduto da aspettarmi che di apportare sostanziali modifiche ad un ormai praticamente compromesso status quo possano acconsentire a farsi carico le varie ed intercambiabili maggioranze, a tutt’oggi non più distinguibili tra loro nè per colore nè per estrazione politica – e, a questo proposito, non posso dimenticare il micidiale (ma assai sicuro delle proprie convinzioni) Mario Monti che, nel 2011, plaudì alla fine del tempo delle contrapposizioni ideologiche, se è vero che, evidentemente, muovendo dalla posizione di soggetto privilegiato, ha sempre prediletto la sussistenza del più binario e semplificato tra tutti i possibili contesti socio-economici, nell’ambito del quale, di fatto, “noi siamo noi e voi non siete un cazzo”. E’, altresì, preoccupante, sconfortante e deprimente dover prendere atto che al costante mantenimento di un tale sperequativo stato di cose stanno nondimeno contribuendo, tramite le proverbiali tecniche del silenzio-assenso, anche le forze e le realtà politiche che, in linea di principio, hanno sempre fatto le viste, nonchè rivendicato, di volersi attestare al fianco delle vittime designate del capitalismo, che mai come in questo tempo storico ha a queste imposto di vivere giusto nell’intento di limitarsi, giorno dopo giorno, a versare lacrime e sangue.
A fronte di quanto sta succedendo, dov’è la sinistra combattiva e rivendicativa, estrema e rivoluzionaria, se vogliamo, dunque diametralmente opposta a quella, salottiera, che da D’Alema e Veltroni, passando per Bertinotti, arriva su su fino a Elly Schlein? Dove sono i partiti d’ispirazione e vocazione proletaria e marxista? Che fine ha fatto la cultura del “foglio”, del pamphlet, del ciclostile d’assalto, del giornale di denuncia (probabilmente, sotto questo profilo, il “Manifesto”, dopo tutti questi anni, continua a pagare a causa della scelta, operata da un Valentino Parlato magari animato dalle intenzioni migliori, di accettare di piegarsi, fino al punto da recarsi a domandare soldi in prestito nientemeno allo strozzino socialista)? Tutto lascia supporre, inoltre, che è stata sufficiente la serie di scontate regalie concesse dai governi via via succedutisi, allo scopo di cooptare le varie incarnazioni storiche del sindacato, che, come insegna il lungimirante Sergio Leone di C’era una volta in America, sono ‘acquistabili’ esattamente come ogni altro oggetto di consumo.
(viene spontaneo considerare emblematica l’immagine che immortalò Landini e Draghi, che teoricamente dovrebbero essere invisi l’uno all’altro come fossero un livornese ed un pisano, nell’atto di stringersi calorosamente e cordialmente la mano)
Nessuna delle attualmente spuntatissime realtà (piccole o grandi) che, nel corso dei decenni, hanno tenuto alto il vessillo della lotta (ormai rassegnate come sono, nella migliore delle ipotesi, alla pena che impone loro di condurre un’esistenza puramente formale e nominale; pienamente soddisfatte, nella peggiore, dal momento che, per loro, è stato “aggiunto un posto a tavola”…. il senso degli appelli ecumenici di un Johnny Dorelli d’annata è stato completamente adulterato e riscritto) acconsente più a prendere su di sè l’onere ma anche l’onore della denuncia, delle rivendicazioni, della messa in evidenza delle storture provocate da anni ed anni di ingiustizie. Non si può che pervenire alla disarmante deduzione secondo cui siamo stati lasciati soli, sono stato lasciato solo, nel pieno di una fase storica nella quale, per di più, sta passando sotto qualunque obiettivo paio di occhi l’evidenza per cui le dittature sono andate soggette ad un sopraffino percorso di sofisticazione. Oggi, infatti, nell’intento di sottomettere e ridurre all’impotenza i servi della gleba del tempo della globalizzazione, non c’è più bisogno di farsi forti attraverso le forme di coercizione per mezzo delle quali i governi anti-democratici hanno spadroneggiato durante le più varie fasi del ‘900. Attualmente, quelli che potrei definire totalitarismi “bianchi” si fondano, altresì, su inedite dinamiche di sedazione, eliminazione ed isolamento. Ciò non senza, peraltro, che la loro messa in atto fosse stata, a suo tempo debitamente preconizzata e paventata. Sarebbe qui delittuoso non rendere il giusto merito a Pere Portabella, grande documentarista ed attivista spagnolo, che ne “La Cena”, del 1975, sente dire, da parte di uno dei protagonisti del documentario, durante tempi decisamente poco sospetti, che le nuove dittature “stanno puntando e punteranno alla distruzione e all’annichilimento della personalità” .
Non mi resta, dunque, che scoprire, solo adesso che sono giunto alla conclusione della redazione del messaggio, che quella che, nelle intenzioni, era cominciata come una serie di elementari riflessioni sulla situazione in atto nel paese (e, per converso, sulle dinamiche attraverso le quali la mia persona ha finito per rimanerne coinvolta), è andata man mano trasformandosi in qualcosa di decisamente diverso: un piccolo racconto di solitudine che spero possa, se non altro, conseguire l’obiettivo di scuotere e spingere alla condivisione coloro che ancora non hanno acconsentito a sottoscrivere la condanna all’ottundimento e alla narcolessia intellettuali.
La tanto decantata Repubblica ha, infine, assunto le sembianze di una “re-privata”. Basti, in questo senso, concludere sottolineando quanto sia stato disatteso il senso (sul quale, in teoria, ci sarebbe ben poco da equivocare) dell’articolo 36 della Costituzione, che recita: “il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sè e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.
(ho l’impressione che Roberto Benigni, riciclatosi come neo-costituzionalista e portavoce istituzionale, soffra, talvolta, di preoccupante predisposizione alle amnesie e alle omissioni)
I saluti più sinceri.
Andrea