Di Sonia Milone per ComeDonChisciotte.org
Anno III della nuova era fondata sull’emergenza perenne, mese di giugno. Al suono della campanella il popolo degli studenti italiani si appresta ad entrare a scuola per gli ultimi giorni, prima delle vacanze.
Le lezioni iniziano con lo studio della geografia. Aprendo un libro qualsiasi di V elementare osserviamo che la parte iniziale (ben un terzo del programma) è dedicata alla descrizione del mondo e dell’Europa a cui seguono, in coda, le Regioni italiane. L’indice prevede che si vada dal maggiore al minore, non tanto nel senso dell’estensione territoriale quanto piuttosto dell’importanza. Il giovane studente impara di essere, innanzitutto, abitante del mondo, poi dell’Europa, in ultimo, di una penisoletta chiamata Italia.
Per “mondo” non si intende certo lo studio dei continenti, dei fiumi o delle montagne, cose antiche, superate. Per “mondo” si intende lo “sviluppo sostenibile”, il nuovo asse intorno al quale ruota la Terra. A pagina 6 del libro, infatti, leggiamo: “continuare a sfruttare in modo sconsiderato le risorse porterà inevitabilmente al loro esaurimento, alla distruzione degli ecosistemi naturali e all’aumento del divario fra gli Stati ricchi e quelli poveri… Lo sviluppo dei vari Paesi del mondo deve essere sostenibile, deve cioè rispettare le risorse naturali che non sono infinite e cercare di distribuirle in modo da ridurre la disuguaglianza e la povertà”.
Insomma, l’indottrinamento dell’agenda 2030 sotto la retorica di nobili parole, con il grimaldello della geografia. Nella pagina seguente, infatti, arriviamo al dunque: “l’Onu ha fissato degli obiettivi di sviluppo e tutti i 193 Paesi membri si sono impegnati a raggiungerli”. A corollario, il libro suggerisce di “pensare in grande” svolgendo un esercizio in cui richiede “come potreste tu e i tuoi compagni impegnarvi per ridurre lo spreco alimentare?” Il decenne introietta che sei cattivo se sprechi e se osi pensare in “piccolo”, cioè diversamente…magari perché sei venuto a sapere che re Carlo d’Inghilterra è il più ricco proprietario terriero del pianeta mentre Bill Gates lo è di terre coltivabili con il monopolio dell’industria alimentare. Però, tu non sprecare! Scaccia via i brutti pensieri e studia la pagina del libro che domani la maestra ti interroga e prendi un brutto voto. E non fare troppe domande che emetti CO2 e ti rimetto la mascherina…
Andiamo avanti: a pagina 15 compare un’altra delle solite parole magiche che il bravo alunno deve memorizzare: “multiculturalità”, che viene descritta come “una caratteristica dei Paesi dell’Unione europea e del’Italia” in quanto “meta di migranti”. Insomma, il calderone del meticciato finanziato da George Soros, spacciato come una “caratteristica”, ovvero come un requisito peculiare e quindi ineluttabile.
Quasi metà dell’anno scolastico viene, quindi, dedicato a questa parte del testo sottraendo ore preziose allo studio dell’Italia. Infatti, la descrizione delle Regioni è risicata al minimo necessario, solo due paginette per ciascuna, e spesso i docenti non riescono a farle studiare tutte. I nipoti di Leonardo non devono conoscere la bellezza, la ricchezza, la varietà, la specificità unica dei luoghi in cui sono nati e che gli antichi Romani chiamavano “genius loci”.
A specchio della globalizzazione, le nuove generazioni devono crescere nella cosmopoli universale, uno spazio de-territorializzato senza geo-grafia, parola che, etimologicamente, significa appunto “scrittura della terra”.
Ma passiamo ora ad un’altra materia. L’insegnamento della Storia del V anno è concentrato soprattutto sugli antichi Romani di cui ci viene fatto sapere niente poco di meno che “in poche occasioni consumavano cacciagione, carne di maiale e di pecora.” (!) . È probabile – anzi sicuro – che in qualche prestigiosa università gruppi di esperti ricercatori sono già laboriosamente all’opera per dimostrare che si nutrivano di insetti…
Continuando a sfogliare le pagine del libro arriviamo alle guerre puniche causate niente meno che dal “desiderio di conquista dei Romani”. Infatti, tutta la pagina seguente è dedicata ad un aberrante collegamento con le guerre di oggi dove viene anche citato l’articolo 11 della Costituzione: “l’Italia ripudia la guerra”. Giusto! Insomma, l’impero conquistato dai nostri avi non doveva esistere. Siete stati cattivi, vi siete allargati troppo, non fatelo più!
Lo scolaro italiano impara a giudicare il passato con gli occhi del presente, a scartare la complessità, a dividere la storia in buoni e cattivi, come in un fumetto. D’altronde l’ex ministro Cingolani lo aveva detto chiaramente: “non serve studiare quattro volte le guerre puniche, serve più cultura tecnica e digital manager”. Certo, vuoi mai che qualche giovane italiano ritrovi l’amore e l’orgoglio per la propria patria e impari come ha fatto Roma a sconfiggere Cartagine attrezzandosi un domani per cacciare gli usurpatori di oggi? Si tratta indubbiamente di disinnescare un ordigno molto pericoloso, la conoscenza e il pensiero critico, mettendo le mani sul futuro. In tutte le colonie, l’educazione alla passività delle giovani leve è un’arma molto conveniente. Scriveva, infatti, il filosofo Gunters Anders nel 1957: ′′Un individuo ignorante ha solo un orizzonte di pensiero limitato e più il suo pensiero è limitato a preoccupazioni mediocri, meno può ribellarsi”.
Proseguendo con lo studio della Storia arriviamo al I secolo d. C. e alla diffusione del Cristianesimo, parola alquanto scomoda nella scuola di oggi: sia mai che qualcuno si offenda! Infatti, subito dopo aver descritto le vicende dei primi Cristiani, il libro ci tiene a precisare che “l’Italia tutela la libertà religiosa”. A riprova, in primo piano, la foto di un mussulmano che prega rivolto verso la Mecca.
Apprezziamo un trafiletto sottostante in cui si evidenzia un passo dell’Antico Testamento. Quale dei tanti bellissimi passi avranno mai scelto? Eccolo: “Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, seguendo il bisogno di ciascuno”. Il linea con il Vangelo secondo Schwab, nostro signore di Davos: “non avrai nulla e sarai felice”.
A rimarcare l’interiorizzazione della lezione, su questa citazione viene richiesto ai discepoli un apposito esercizio in cui devono mettere una crocetta sulla risposta giusta scegliendo fra “conservavano i beni privati” o “mettevano tutto in comune” .
La soluzione è nei documenti pubblici del World Economic Forum – di cui si consiglia il ripasso a tutti coloro che non sono stati attenti, soprattutto ai docenti – che prevedono di sconfiggere la povertà attraverso la sostituzione della proprietà personale con forme di noleggio dei beni prodotti dalle grandi multinazionali, appunto. Si chiama Neoliberismo, ma questo il libro non lo dice..
Ma passiamo ad un’altra materia. Mentre Storia e Geografia assomigliano ad un fumetto, Scienze viene approfondita in un modo che, francamente, lascia perplessi data l’età dei destinatari e la corrispondente capacità di astrazione. Evidentemente, non si tratta di mettere gli alunni nelle condizioni di comprendere, e quindi di confutare, ma di far imparare a memoria il nuovo credo. Fin da subito, lo studente deve familiarizzare con l’universo degli atomi, delle molecole, delle cellule, del citoplasma, delle membrane…argomenti che, una volta, venivano affrontati nel triennio di un liceo.
In linea con la glorificazione della tecno-scienza dell’episteme attuale, anche alle elementari, la scuola privilegia le cosiddette materie scientifiche a scapito di quelle umanistiche. Si tratta, ovviamente, di una strumentalizzazione poiché la distinzione fra le due discipline è nata solo nella modernità come classificazione di comodo e non certo per dividere il sapere in compartimenti stagni. Pitagora era un filosofo che concepì un teorema di geometria, così Cartesio: gli assiomi della scienza si devono ad umanisti. Il pericolo delle materie umanistiche, però, è che sono formative: coltivare sé stessi e l’immaginazione porta il rischio di osservare la realtà da prospettive non conformistiche.
In ogni caso, nell’ultimo anno del primo ciclo di studi, il programma è quasi tutto dedicato al corpo umano con il dettaglio di ogni organo e relativa funzione, una sorta di micro-corso di medicina in coerenza con la moderna era dei corpi medicalizzati.
Poiché non pareva sufficiente sparpagliare la propaganda fra Annibale e Scipione, fra la Toscana e il Lazio, il Ministero dell’istruzione ha pensato bene di introdurre una materia apposita con la legge n. 92 del 2019. Con un tempismo perfetto. infatti, l’anno dopo, tutti i dogmi dell’Agenda Onu 2030 entrano in classe tramite la nuova Educazione Civica, cavallo di Troia con cui si è riusciti, tramite un termine familiare, a oltrepassare le mura della scuola introducendo principi radicalmente diversi.
Sono 33 ore rubate a quelle cose obsolete come imparare a leggere, a scrivere, a contare affinché i bambini raggiungano specifiche competenze sulla raccolta differenziata, sulla sanità, sul pc, sugli emoticon, sulle regole stradali, ecc. Insomma, l’immondizia al posto della poesia, l’igienismo al posto delle mani sporche di colori, le faccine stereotipate degli emoticon al posto dei mondi incantati di Bruno Munari, fatti di creatività, manualità e anticonformismo… L’Onu ha anche messo a disposizione degli studenti il gioco dell’oca dei 17 goals…
Tre le macro-aree educative: Salute, Ambiente e Digitale. Nella sezione Salute vengono ribadite le misure anticovid ispirate all’estremismo terapeutico: mascherine, distanziamento, ecc. L’immagine sotto parla da sola: uno starnuto diventa un pericolo e il compagno di banco un potenziale nemico, nell’abominio di inquinare nei più piccoli l’istinto naturale alla socializzazione.
Nella parte dedicata all’Ambiente l’alunno viene bombardato dai messaggi sull’apocalisse climatica prossima ventura con la faccia di Greta in primo piano (non è un caso che abbiano scelto una ragazzina per influenzare le nuove generazioni) al posto dei 1.500 più autorevoli scienziati del mondo – del calibro di Zichichi, Giaever, Rubbia, Prodi – che, nel 2019, hanno scritto alle Nazioni Unite dichiarando del tutto priva di fondamento scientifico la teoria antropogenica del riscaldamento terrestre: “non c’è nessuna emergenza climatica, la CO2 è il cibo delle piante, la base di tutta la vita sulla Terra e non è un inquinante”. Insomma, una bufala mondiale. I nostri docenti sanno cosa stanno insegnando ai propri allievi?
La terza macro-area è la più interessante, qui il testo raggiunge l’apice della propaganda mostrando come lo scopo principale della nuova disciplina sia forgiare l’alunno come cittadino digitale. Nel gioco di prestigio dell’inversione di senso delle parole il termine “cittadino” – ovvero colui che abita la propria città (e, per estensione, la propria civiltà) – viene associato alla parola “digitale”, che è un “non luogo”, inabitabile appunto.
Dopo aver citato alcune innovazioni tecnologiche, come ad esempio l’invenzione del telefono, gli autori del libro scrivono con un vero e proprio corto circuito concettuale “dunque tu non sei un semplice cittadino, sei un cittadino digitale”. Credo che se, in passato, qualcuno fosse andato a dire ai nostri nonni che erano diventati cittadini “telefonici” o “radiofonici” perché usavano il telefono o la radio lo avrebbero rinchiuso in manicomio. Ma in questo paese, oramai, tutto è diventato normale nell’indifferenza generale, specialmente di chi, come gli insegnanti, dovrebbe fare lo sforzo di rialzare lo sguardo.
Tutto il testo procede con salti arbitrari per instillare nella mente dei giovani il nesso indissolubile fra la tecnologia e la cittadinanza: “attenzione, però essere nativi e native digitali non vuol dire essere cittadini competenti. Infatti, non basta saper usare gli strumenti tecnologici, bisogna saperli usare in maniera corretta. Per questo è fondamentale essere educati alla cittadinanza digitale”. Si osservi il gioco perverso di parole, la continua translitterazione fra digitale e cittadino, un vero e proprio assalto alla coscienza dei più indifesi condotto innanzitutto con l’arma del linguaggio.
E non manca neppure l’immagine di Bill Gates, a rimarcare che i decenni di oggi saranno i “cittadini” del nuovo regno fondato dalla Microsoft, con le Smart city e le Identità digitali che avanzano…
Un paragrafo è dedicato alla “scuola digitale”. Si presti attenzione alle date: il testo in esame è del 2021, ovvero esce un anno prima del Piano Scuola 4.0, la riforma voluta da Draghi che porta la didattica dentro il Metaverso, orwellianamente ribattezzato “Eduverso”. Nel libro, infatti, si specifica che grazie ai computer “è cambiato il modo di imparare. Puoi leggere libri di testo su carta o su schermo…puoi collaborare a distanza con i compagni e le compagne e anche con altre scuole, magari in altre parti del mondo. Le possibilità sono infinite!” Insomma, digitale è meglio! “Se sei assente puoi connetterti e partecipare alle lezioni, come è avvenuto con la pandemia”. Esattamente. Come dimenticare che la Dad inaugurata nel 2020 rappresenta il precedente in cui si è sperimentata una didattica senza corpi?
Un esercizio invita i ragazzi a disegnare un’aula digitale, esattamente ciò che stabilirà il Piano scuola 4.0, e a immaginare sè stessi nel 2030: “che effetto ti fa sapere che esiste un programma per migliorare la vita del mondo in cui vivrai da grande?”
Esemplare l’illustrazione che mostra tre ragazzini in mezzo alla natura con in mano un tablet e un cellulare. Al centro un ghiacciaio che si sta sciogliendo mentre un razzo e un aereo sorvolano il cielo. È un collage di figure concettualmente incongrue al fine di inquinare nei giovani allievi il senso logico del ragionamento avviandoli al bipensiero.
D’altronde, i piccoli della scuola elementare sono abituati da più di due anni a ricevere quotidianamente le nuove parole d’ordine orwelliane, scritte nero su bianco sui loro quadernetti. Nell’anno della pandemia, infatti, si è pensato bene di introdurre un nuovo sistema di valutazione tanto demenziale ad un primo sguardo, quanto preciso nella volontà di addestrare alla nuova normalità.
Sono stati previsti, infatti, quattro livelli di apprendimento: In via di acquisizione, Base, Intermedio, Avanzato. Insomma bambini, siete in un videogioco! E lo è anche il maestro. Fine di ogni autorità, serietà e prestigio. Infatti, è in arrivo l’”animatore digitale”, una nuova figura prevista dalla Scuola 4.0.
La nomenclatura dei voti è chiaramente ispirata ai video-giochi, un colpo di genio di qualche cervello del Ministero in attesa della nuova didattica digitale…Notevole quell’”In via di acquisizione” che fa ben capire il tipo di scuola che si ha in mente, quella in cui le nozioni vanno inserite nella testa vuota dello scolaro – come una chiavetta nel pc – da cui non solo non ci si aspetta nessuna rielaborazione, ma non ce la si augura proprio. Infatti, secondo il Ministero dell’istruzione, il livello “Avanzato” (corrispondente al voto più alto) viene raggiunto solo se primariamente “l’alunno ha interiorizzato il valore di norme e regole”. Tradotto: l’alunno che non ha compreso che le regole non si mettono mai in discussione non può avanzare: game over! Torna al via e rifai il percorso di soggezione messo a sistema.
In V elementare molte ore di lezione vengono perse per preparare l’Invalsi, i test a crocetta che il latinista Luciano Canfora ha definito una “mostruosità” da rispedire al mittente poiché rappresentano l’esatto opposto di ciò che la scuola dovrebbe fare, ossia educare allo sviluppo del senso critico. Ciononostante, l’Invalsi determina il valore di tutti gli istituti, il loro successo nelle iscrizioni e i fondi che ricevono. D’altronde, la scuola a quiz è funzionale alla standardizzazione globale dei programmi didattici, come già annunciato dall’Onu.
Studiare significa, infatti, imparare a ragionare, a connettere i nessi, a decifrare la realtà e a confutarla, ciò che, per eccellenza, ostacola la fabbricazione degli schiavi di domani. Nel buio dell’ignoranza, invece, ogni fantasma sembra reale e si finisce per credere che il riscaldamento climatico sia un’emergenza, ad esempio, o che la cittadinanza dipenda da un cellulare.
E così, nelle scuole italiane di ogni ordine e grado, gli alunni si ritrovano ogni mattina a ripetere, ritmicamente cantando, gli slogan sull’ambiente, sulla salute, sul digitale. D’altronde, se lo dicono a scuola, allora la neve è veramente nera, come voleva il premio Nobel Bertrand Russell, intellettuale di raffinata intelligenza e lucido cinismo che, fra un tè alla Fabian Society e uno alla Royal Society di Londra, aveva compreso molto bene che la scuola doveva essere il principale terreno di conquista: “Fra i metodi moderni di propaganda il più influente è quello denominato educazione […]. Si può sperare che col tempo qualcuno riesca a persuadere qualcuno di qualsiasi cosa se riesce a catturare il paziente giovane e se lo Stato fornisce denaro e attrezzature. Gli psicologi del futuro disporranno di un gran numero di classi di bambini in età scolare su cui sperimenteranno diversi metodi per produrre l’incrollabile convinzione che la neve è nera […].Presto arriveremo a vari risultati. In primo luogo che l’influenza familiare è un ostacolo. Secondo, che non si può fare gran che se l’indottrinamento non inizia prima dell’età di dieci anni. In terzo luogo, i versi musicati e intonati ripetutamente sono molto efficaci. Quarto, che l’opinione che la neve sia bianca deve essere tenuta per mostrare un gusto morboso per l’eccentricità. Spetta ai futuri scienziati rendere precise queste massime e scoprire esattamente quanto costa pro capite far credere ai bambini che la neve è nera […]. Io già lo prevedo. Quando la tecnica sarà stata perfezionata, ogni governo responsabile dell’istruzione di una generazione sarà in grado di controllare i suoi soggetti in tutta sicurezza senza il bisogno di esercito o di polizia”. (1)
Di Sonia Milone per ComeDonChisciotte.org
NOTE
(1) Bertrand Russel, “L’impatto della scienza sulla società”, 1951