“Gli omosessuali e altri scritti” di André Baudry

di Alessio Barettini

André Baudry, Gli omosessuali e altri scritti, Wojtek Edizioni, Pomigliano D’Arco, 2022, pp. 343, euro 16,00.

Gli omosessuali e altri scritti, di André Baudry, pubblicato da Wojtek edizioni, raccoglie il lavoro del filosofo francese fondatore della rivista «Arcadie», attiva in Francia dal 1954 al 1982. Sin dalla prefazione scritta da Eduardo Savarese in cui si racconta la genesi di questa ripubblicazione concepita insieme a Giuseppe Girimonti Greco, si comprende la capacità anticipatrice in termini di diritti e di riconoscimento di questo volume, con le idee che emergono dalla vita stessa di Baudry e Marc Daniel (coautore della parte centrale qui proposta), che hanno lavorato per «l’integrazione degli omosessuali nella vita sociale della Francia degli anni Settanta per renderne l’esistenza individuale, se non felice, almeno meno infelice, e sempre meno infelice…» (p.11)

La prima parte si compone degli articoli pubblicati da Baudry sulla rivista. Si tratta di otto pezzi, programmatici, che muovono dal motto di Terenzio “Sono un uomo, e niente di ciò che è umano mi è estraneo” e dall’intenzione che la rivista si propone, cioè di contribuire al benessere degli uomini. Baudry preferisce al termine “omosessuale” quello di “omofilo”, un lemma perlopiù caduto in disuso, oggi, che ben si ritaglia sulla posizione di Baudry, che propone un approccio molto legato alle potenzialità del logos come strumento per modificare la società. Il filosofo racconta di aver accettato presto il proprio “io” autentico, ma di non aver voluto mai, sin da subito, omologarsi a chi per le strade di Parigi avesse scelto di farsi notare per ragioni di eccentricità. La sua intenzione di voler stare accanto agli altri, non fuori ma parte della società, rispondeva alla logica di gruppi già esistenti all’epoca in altre nazioni europee, più che altro del centro e del Nord Europa, non ancora della Francia, ma soprattutto a quella di accedervi come a una forma di apostolato, solidale e faticoso, volto al riconoscimento sociale di una categoria che dovrebbe prima di tutto uscire da ogni categoria, per poter essere riconosciuta solo in quella di esseri umani. Colpisce indubbiamente, in giorni in cui il dibattito è ancora acceso su questi stessi temi, l’affermazione: «Noi crediamo quindi di servire gli uomini, omofili e non, ribadendo che sempre e dovunque l’”io” è sacro» (p. 39)

La posizione all’interno del dibattito di «Arcadie» si fa più netta negli articoli successivi: si passa da un omaggio al candore di Sandro Penna alla spinosa questione degli scandali, non di chi accusa l’omofilia di indegnità, ma di chi usa questa bandiera per cercare visibilità: Baudry giunge alla conclusione che l’esperienza di Oscar Wilde sia in questo caso emblematica di questa contraddizione, essendo stato il dandy inglese una vittima indubbia del sistema sociale inglese per il processo, lo scandalo e la prigione subiti, fratello nella sofferenza e nella speranza, ma mai abbastanza consapevole della sua posizione potenzialmente esemplare. Wilde non è mai stato un teorico né un moralista, e se è diventato suo malgrado un simbolo è successo per la sua abitudine all’eccesso e all’eccezione, non per la consapevolezza di un’appartenenza a un gruppo umano e sociale che allora avrebbe sicuramente avuto bisogno di figure simboliche.

È un umanesimo sociale, quello di Baudry, che vuole rendere conto del «destino di milioni di esseri umani… un destino impossibile e al tempo stesso meraviglioso.. .di cui, da millenni, nessuno è riuscito a dar conto in modo adeguato» (p. 77)

La seconda parte di questo agile volume, quella centrale e più consistente, è proprio il saggio Les homosexuels, pubblicato per la prima volta in Francia nel 1973. Questa parte è introdotta da un brano degli stessi autori in cui, preso atto del miglioramento crescente e progressivo dell’opinione comune nei confronti dell’omosessualità, si fa subito notare quanto meno la dissonanza, che fa sì che non si accetta che possano essere gli omosessuali a parlare di omosessualità, come se la loro esistenza stessa debba in qualche modo e in ogni senso rimanere ghettizzata. Il saggio si pone dunque in prima linea per mostrare un approccio sociologico e culturale, il solo possibile per spiegarne e dichiararne l’umanità. Il presupposto ineliminabile di Baudry e Daniel, espresso nel primo capitolo, è di distinguere l’omosessualità dalle interpretazioni sull’omosessualità. Per farlo i due si arrampicano su un lungo declivio che passa in analisi le varie definizioni del lessico usato in società per riferirsi alle sfumature dell’omofilia e le situazioni storiche e geografiche con cui avvicinare i lettori a una maggiore acquisizione di modi e tempi di tale condizione, che ovviamente vanno messi in relazione con i diversi atteggiamenti della società nei suoi confronti, che più in generale corrispondono alle posizioni che la società ha nei confronti della sessualità in generale e della donna più nello specifico, mostrando dunque che l’omosessualità è una sorta di campione e di cavia allo stesso tempo. Baudry distingue le società favorevoli all’omosessualità (Grecia antica su tutte, ma anche Romani, Giappone feudale, Arabi, Italia del Rinascimento e molte altre), indifferenti all’omosessualità (società antiche come Egitto, Babilonesi, Assiri, Indiani) e apertamente ostili. Quest’ultima è ovviamente la categoria spinosa per eccellenza, dove ostilità è equivalsa anche a illegalità e nei casi peggiori a condanna a morte. In questa rientrano soprattutto l’antica società giudaica, la cui tradizione omofoba si è trasmessa al cristianesimo e quindi a tutte le società moderne che su quella base, su quei precetti, loro malgrado, continuano a vivere dentro specifiche definizioni di virilità e femminilità, che appunto l’omosessualità metterebbe del tutto in dubbio rientrando in una logica di accettazione del diverso che non si addice a società di tipo totalitario e oppressivo.

Lo stile di Baudry è piano, lento, analitico. Con pazienza e precisione scandaglia termini come “contro natura”, “anormalità”, “deviazione” e “perversione”, ne illustra il carattere fondato su ipocrisie storiche, gli usi che sottendono a una logica precisa e che alimentano confusione intorno alla questione. Gli omosessuali è suddiviso in 5 capitoli: Il fatto omosessuale e le sue interpretazioni, Che cos’è un omosessuale?, La vita degli omosessuali, La rivoluzione omosessuale e L’omosessualità femminile.

Nel secondo capitolo il tentativo di definire chi sia l’omosessuale passa attraverso il rapporto Kinsey (1948), un sessuologo che ha delineato incontestabilmente il “continuum etero-omosessuale” nelle persone secondo 6 gradi, che Baudry si affretta a spiegare chiarendo però come si possa facilmente sfuggire a ogni classificazione, pur sempre il frutto di una ricerca di chiarezza e mai di una acquisizione di verità assolute. Va da sé che è pertanto molto difficile se non impossibile sapere quanti siano gli omosessuali. Incrociando dati in suo possesso con altri reperiti da ricerche personali, Baudry arriva alla conclusione che una quota tra il 6 e il 7% della popolazione francese potrebbe essere omosessuale. In questa direzione si muove anche una delle questioni più ricorrenti, ovvero se l’omosessualità sia un fatto innato o acquisito.

Anche in questo caso le spiegazioni procedono nello stesso modo, all’interno di una teoria gnoseologica secondo cui non c’è differenza nelle modalità con cui l’uomo ha voluto provare a darsi risposte. Pertanto Baudry nota come prima delle spiegazioni scientifiche ci fossero dei miti a costituire il corpus della risposta: già Platone e Aristotele avevano tentato di costruirne uno. La disamina continua con l’idea che nella storia più radicalmente si è consolidata, per mezzo del cristianesimo, secondo cui l’omosessuale viene ritenuto responsabile del suo stato. Le teorie più moderne in ambito scientifico non hanno ancora saputo trovare una spiegazione di ordine fisico che sia condivisibile, e anche se in ambito psicoanalitico la voce di Freud è certamente stata illuminante, essa non ha pero sciolto il nodo del carattere “regressivo” dell’omosessualità, che non è, ovviamente, qualcosa da cui guarire. Neanche cercare le cause nell’educazione familiare può bastare, essendo decine i casi diversi che ne creano altri, esponenzialmente. Infine, intelligentemente, Baudry esclude la spiegazione del carattere nevrotico dell’omosessualità, ritenendo al contrario che la condizione sociale in cui gli omosessuali vivono conduca, semmai, alla nevrosi.

Appare chiaro come questa importante parte del saggio sia rivolta a sottolineare come l’omosessualità non potrà essere considerata alla stregua della normalità fino a quando saranno diffusi quei preconcetti che costringono gli omosessuali a una vita di rimozioni, di infingimenti, di nascondigli, di vergogna. Gli autori sostengono convintamente infatti che il ritratto, l’analisi della vita degli omosessuali e dunque una conoscenza reale, non edulcorata né annacquata da alcuno stereotipo, siano necessarie per comprendere meglio quale sia la ricaduta sociale dell’intero fenomeno e quali siano le possibilità di crescita umana.

Il metodo può sembrare paradossale, ma sicuramente non meno della contraddittorietà di quello insito di chi da sempre affibbia giudizi sociali sulla categoria. Se si afferma, pretenziosamente, che non ci dovrebbe essere nessun “caso”, è però evidente che esistono persone inserite in contesti, e questa stessa realtà plurale si rivela essere necessaria a qualunque intenzione ritrattistica, che quindi stravolgerebbe ogni tipo di definizione. I tratti che si riconoscono costanti sono la tendenza alla clandestinità, alla dissimulazione, all’isolamento, condizioni, queste, diffuse, sì, ma solo a causa della centralità eterosessuale della nostra società. Anche per questo, spiega Baudry, la contestazione omosessuale raggiunge a volte tratti definiti “rivoluzionari”.

Negli ultimi anni, il diffondersi di Gay Pride, iniziative arcobaleno, l’aumento della visibilità dei fenomeni LGBTQ+ sono senz’altro segnali positivi, ma ancorati in un modello sociale che di tanto in tanto riporta ancora in auge certi problemi facendo apparire il carattere retrogrado di una società che forse non si è mai evoluta. Non di rado si arriva a futili discussioni in Parlamento o sui media. La tentazione dell’esibizionismo è alta. Baudry andrebbe ripreso oggi proprio in questa chiave, con il suo modello di una scrittura e di una conoscenza pluralistiche, capace persino di inghiottire i “miti” creati ad hoc dalla sociologia, di superare certi atteggiamenti oppositivi. La sua è un’opera che oscilla largamente fra sociologia e psicologia. Baudry infatti costruisce il corpus del suo testo su una logica ramificata su tutte le possibilità che si manifestano nella vita di un essere umano sin dal suo primo impulso omosessuale, da quando dovrà, più o meno trasparentemente, confrontarsi con la realtà, di cui è sin dall’inizio un’emanazione diversa, la cui condizione potrà accettare o rifiutare in un delicato equilibrio fra peso psicologico, integrazione, legge, costume, educazione, posizione sociale.

Baudry sottolinea quanto sia importante il ruolo dell’opinione pubblica, che nasce da posizioni stantie di mass-media, radio e stampa, televisione e letteratura, che è alla base del più generale sentimento di rifiuto o di vero e proprio razzismo nei confronti degli omosessuali. I pregiudizi più diffusi vanno dall’idea che il mondo omosessuale sia una massoneria, che debba essere ghettizzato (pratica usuale negli Stati Uniti), che sia pericoloso e degradato, nozioni false che la dicono lunga su quanto il mondo omosessuale sia perlopiù invisibile, negato alla conoscenza dei più e soggetto a ogni tipo di equivoci, fra i quali anche quelli dannosi per la vita del singolo individuo. Ancora una volta la conclusione del capitolo è incentrata sulla morale, sulla necessità di una morale omosessuale, difficile da raggiungere anche perché molti omosessuali preferiscono rifuggire dal rigore morale preferendogli un atteggiamento “rivoluzionario”, che è il tema del quarto capitolo del saggio. Qui Baudry illustra i tratti comuni ai movimenti omofili sorti in varie città europee fra gli anni Cinquanta e Sessanta. Questa prima ondata puntava indistintamente a un più ampio riconoscimento dei diritti, di integrazione, di ricerca di dialogo con ogni parte della società, al progetto di istituire locali adatti a raccogliere persone altrimenti senza punti di riferimento. Il ’68 ha accelerato la storia e alcune rivendicazioni più recenti sono state segnate da maggiore chiasso e talvolta violenza. Il carattere burrascoso di questi movimenti ha avuto senza dubbio il merito di far prendere coscienza del problema al grande pubblico. Questo Baudry lo riconosce, ma è senz’altro uno dei nodi più problematici: quello di rivendicare (da parte per esempio del FHAR, il gruppo francese legato all’estrema sinistra) il diritto assoluto alla diversità fino agli estremi, con il risultato di porsi in controtendenza a tutto ciò che movimenti come Arcadie hanno propugnato lavorando sull’integrazione. Qui è interessante non stigmatizzare Baudry come semplice conservatore né separare del tutto le due posizioni, pur difficilmente conciliabili. A onor del vero Baudry ricorda come la sinistra marxista si rifiuti di considerare l’omosessualità un fenomeno rivoluzionario. E forse ha senso considerare la causa come un fine, non come un mezzo.

L’omosessualità femminile trova spazio autonomo alla fine del saggio per ragioni già illustrate nell’introduzione dallo stesso Baudry: «il problema sociale rappresentato dall’omosessualità femminile è molto meno drammatico di quello dell’omosessualità maschile» (p. 218)
In ogni caso gli autori riconoscono qui lo stesso tipo di cause e di categorie possibili, ritrovano gli stessi riflessi, le medesime caratteristiche già espresse lungo le precedenti dissertazioni, ma se possibili ancor più nascoste, più “piccole”, comunque meno notate in società.

Decisamente interessante la terza parte del volume, una pièce teatrale ideata dallo stesso Baudry, nella quale si delineano tutte le problematiche sollevate nel saggio. Il procuratore, questo il titolo dell’opera, è incentrata sulla figura di Morienval, un uomo nominato procuratore a cui il Ministero chiede il pugno di ferro contro i reati contro la morale. Ma l’uomo ha sempre mentito alla società, alla famiglia: è omosessuale, marito di una donna vendicativa con la quale non ha mai potuto consumare il matrimonio, padre di Jean-François, un ragazzo volitivo che non conosce la verità ma la comprende e la accoglie, incarnando un’idea di rivoluzione ma anche di speranza, che si completa grazie al rapporto con il padre che si consolida durante questa storia: un primo caso esemplare, la causa di un parricida (René Blaise) che ha ucciso perché portato dal padre all’esaurimento dopo anni di accuse e offese causate dalla sua incapacità di riconoscere l’omosessualità del figlio. Un’opera in quattro atti molto intensa dove il cammino verso la verità è rapido e certamente non indolore, ma che vuole essere un richiamo alla speranza in un mondo dove le rivoluzioni portino davvero a qualcosa.

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