È un accordo che viene definito storico quello raggiunto a Lussemburgo l’8 giugno scorso tra i ministri dei Paesi Ue riuniti nel Consiglio Affari Interni per definire i regolamenti del nuovo “Patto europeo su migrazione e asilo”.
La cronaca giornalistica ci ha raccontato che ci sono volute ben dodici ore di negoziato e due tentativi di voto per arrivare ad un testo di compromesso che andasse bene a tutti i Paesi, anche se alla fine né l’Ungheria né la Polonia hanno deciso di firmarlo, rimarcando così una sostanziale differenza/diffidenza, e Malta, Lituania, Slovacchia e Bulgaria si sono astenute.
I contenuti dell’accordo riguardano in generale le procedure di frontiera e la gestione delle domande di asilo. Si riferiscono sia alla cosiddetta dimensione esterna, con riferimento ai paesi terzi di origine e transito, e sia ai “meccanismi di solidarietà” e dei rimpatri forzati, e infine al contrasto dei cd. movimenti secondari, o di “circolazione secondaria”, con una rivisitazione del Regolamento Dublino III del 2013, ma senza toccare il principio cardine del paese di primo ingresso. Il testo con i regolamenti chiave dovrà essere rinegoziato con il Parlamento europeo per raggiungere una posizione comune che diventerà legge.
Nell’accordo sono passati diversi punti controversi e sebbene siano di difficile applicazione, poiché lasciano un ampio margine interpretativo ai Paesi membri, rappresentano una innegabile deriva razzista e securitaria, tanto più se messa a confronto con le disposizioni che hanno permesso a milioni di persone in fuga dall’Ucraina di transitare liberamente su qualsiasi frontiera europea e di redistribuirsi autonomamente senza alcuna quota o requisito ulteriore, e infine di ottenere immediatamente un titolo di soggiorno e la possibilità di lavorare.
Il principale punto del testo è un irreale “meccanismo di solidarietà“: tutti gli Stati membri dell’Ue dovrebbero partecipare alle redistribuzione delle persone migranti con una quota minima di 30.000 ricollocamenti all’anno dai paesi di primo ingresso. In alternativa i Paesi potrebbero versare un contributo di 20.000 euro a persona al fondo comune per la gestione delle frontiere esterne. E’ ancora tutto da capire come questa paventata “solidarietà” verrà attuata considerato che il meccanismo dei ricollocamenti “volontari” già previsti a seguito della crisi migratoria del 2015 è miseramente fallito.
Un altro aspetto si riferisce alla procedure sull’asilo con due novità: la prima è che l’esame delle domande di asilo dovrà avvenire con una “procedura di frontiera” e concludersi entro 3 mesi dalla presentazione dell’istanza; il paese responsabile della domanda di asilo e quindi di questa parte di procedura rimarrà sempre il paese di primo ingresso. L’altra riguarda il periodo durante il quale uno Stato ha la responsabilità dei e delle richiedenti asilo arrivati sul suo territorio che passa da dodici a ventiquattro mesi, ma sarà ridotto a 15 mesi dopo un respingimento nella procedura di frontiera (per incentivare gli Stati a usare la procedura di frontiera), e sarà ridotto a 12 mesi per le persone salvate in mare. Di fatto, nonostante la narrazione vittoriosa di Piantedosi e Meloni, questo implica che i paesi di frontiera come l’Italia rimarranno gli Stati con maggiori responsabilità di gestione.
Secondo ECRE (Consiglio europeo per i rifugiati e gli esiliati), che analizzerà i testi dettagliati quando saranno disponibili, «i nuovi elementi includono un uso più esteso delle procedure di frontiera, delle procedure di inammissibilità e delle procedure accelerate, e il Patto utilizza termini legali per deviare la responsabilità ad altri Paesi, come il concetto di Paese terzo sicuro. Un numero maggiore di persone rimarrà bloccato alle frontiere in situazioni simili al modello delle isole greche (come ad esempio Lesvos o Samos, ndr). L’uso della procedura di frontiera sarà esteso e diventerà obbligatoria per le persone provenienti da Paesi in cui il tasso di protezione internazionale è pari o inferiore al 20%.
I Paesi del centro e del nord Europa hanno insistito su questo cambiamento prima di accettare il “meccanismo di solidarietà”, perché la loro preoccupazione principale è quella di porre fine alla cosiddetta “circolazione secondaria”. Le garanzie come l’accesso all’assistenza legale o all’appello sono ridotte. Non ci saranno quasi più esenzioni per le persone vulnerabili, le famiglie o i bambini, e un numero maggiore di procedure sarà gestito in detenzione».
Gianfranco Schiavone del Consorzio Italiano di Solidarietà – Ufficio Rifugiati Onlus di Trieste e membro del direttivo di ASGI spiega a Internazionale che le nuove regole sanciscono la fine del diritto di asilo in Europa: «L’adesione al ricollocamento è del tutto facoltativa, un paese può decidere di non prendere neppure un richiedente asilo in cambio del pagamento di una somma di denaro. Rimangono in piedi gli squilibri tra i diversi paesi europei. Quindi, al di là della retorica, è una battaglia persa dall’Italia: aumentano i richiedenti asilo di competenza dell’Italia». Preoccupa poi che tutto diventi una procedura di frontiera sommaria di esame delle domande di asilo e si stravolga il concetto di paese terzo sicuro: «La persona di solito può tornare in un Paese terzo sicuro solo se ha un legame con quel paese, qui invece si vorrebbe mandare le persone indietro in paesi terzi di transito, in virtù di accordi bilaterali. Ma qui vedo problemi giuridici insormontabili. Vogliamo pagare, per respingere. Ma ci si chiede: è un sistema di diritto o un mercato degli schiavi?».
Anche per ECRE, gli Stati hanno concordato un labirinto di regole procedurali ed estremamente complesse «basate sul tentativo di limitare il numero di persone a cui viene concessa la protezione internazionale in Europa. Esse non affrontano la principale disfunzione del sistema, il Regolamento Dublino, che rimane in gran parte intatta.
L’obiettivo di fondo di tutto questo pacchetto, rimarca la rete, «è trasferire la responsabilità a Paesi extraeuropei, anche se l’85% dei rifugiati del mondo è ospitato fuori dall’Europa, soprattutto in Paesi disperatamente poveri. I destinatari sono i Paesi dei Balcani occidentali e del Nord Africa, attraverso l’uso di strumenti giuridici come il concetto di “Paese terzo sicuro“. Tuttavia, le riforme non aumentano la probabilità che questi Paesi accettino di ospitare persone rimpatriate dall’UE.
Le riforme vanno nella direzione opposta rispetto alla risposta positiva allo sfollamento dall’Ucraina, che ha dimostrato il valore di procedure snelle, di un rapido accesso a uno status di protezione, di consentire alle persone di lavorare il prima possibile in modo da poter contribuire, e di una libertà di movimento che consente l’unità familiare e una più equa distribuzione delle responsabilità in Europa».
Importanti per capire il quadro politico e se questa riforma verrà portata a termine sono le parole dell’avv. Fulvio Vassallo Paleologo di ADIF: «Le conclusioni sono state propagandate come una vittoria della linea tenuta dal governo Meloni fino alle ultime ore di una convulsa trattativa, che si è conclusa con una spaccatura che avrà certamente ripercussioni sulla prossima fase di codecisione sulle politiche migratorie e sulle procedure di asilo, nella quale analoghe divisioni si potrebbero riprodurre all’interno del Parlamento europeo. Il Parlamento ha elaborato proposte che vanno in senso opposto a quanto deciso dal Consiglio dei ministri dell’interno a Lampedusa, e si profila un nuovo scontro tra le istituzioni europee proprio alla vigilia delle prossime elezioni europee. Si tratta del cd. Regolamento per la gestione dell’Immigrazione e dell’asilo (Regolamento RAMM) e di una diversa proposta di revisione della Direttiva 2013/32/UE sulle procedure per l’esame delle domande di asilo, che andrebbe rifusa in un nuovo Regolamento, dunque in un atto direttamente vincolante per tutti gli Stati membri, che invece, anche dopo una Direttiva, possono mantenere, come è avvenuto, disposizioni interne notevolmente dissonanti»
«Gli Stati membri – prosegue Vassallo – hanno piena discrezionalità quanto al tipo di solidarietà cui contribuiscono. Nessuno Stato membro sarà mai obbligato a effettuare ricollocazioni. Una sconfitta quindi per il governo italiano che non può nascondere dietro i propositi di espellere o respingere i richiedenti asilo denegati nei paesi di transito. I ministri dell’interno dei diversi paesi dell’Unione Europea hanno così trovato a maggioranza una intesa che però appare come una scatola vuota, se si pensa alla mole delle normative (dal Regolamento frontiere Schengen alla Direttiva 2008/115/ CE sui rimpatri) che dovrebbero essere modificate per approvare definitivamente quanto si è deciso a Lussemburgo, ed all’esiguo tempo che manca in vista delle prossime elezioni europee, dopo tre anni di stallo seguiti alla prima versione del Patto sull’immigrazione e l’asilo adottata dalla Commissione nel 2020. Inoltre la spaccatura tra i paesi di Visegrad Ungheria e Polonia, ed i conservatori del gruppo della Meloni, non lasciano presagire risultati definitivi nel breve periodo».