di Megas Alexandros (alias Fabio Bonciani)
Quando si parla di politica economica mercantilista, il nostro pensiero vola subito verso quello che è il paese esportatore al mondo per eccellenza. Sto parlando della Cina, la quale nelle ultime decadi ha letteralmente riempito le nostre case con i suoi prodotti.
In un mondo, quello occidentale, dove per perseguire l’interesse di arricchimento di pochi, i governi sono stati costretti a mettere in atto politiche di austerità estrema, con le quali siamo giunti a prosciugare le tasche della maggioranza; la convenienza in tema di prezzo del “made in China” ha preso letteralmente il posto della qualità del nostro “made in Italy”, così tanto apprezzato a livello internazionale fino agli anni 80/90′.
Di fronte a mercati dove i portafogli della gente si svuotavano sempre più – la Cina – attraverso un fisco molto più leggero e godendo di una manodopera a basso costo, ha trovato terreno sempre più fertile per soddisfare i bisogni di consumo dell’Ovest, soprattutto nel continente europeo, dove la cronica mancanza di moneta dirige la domanda sempre più verso prodotti di minor prezzo.
Chi produceva da anni la qualità del “made in Italy”, di fronte alla concorrenza cinese sul proprio territorio e nel mondo, è stato costretto a delocalizzare la produzione (e quindi anche gli stipendi e la relativa capacità di consumo), verso paesi esteri, per ritrovare quel minimo di economicità nei bilanci.
Tutto questo processo non è stato messo in piedi dai cinesi ma ha una sua ben precisa causa di origine, riconducibile a quello che è avvenuto nel continente europeo in relazione alle politiche economiche adottate per tenere in piedi una moneta senza stato.
E’ stata la costruzione di questa unione monetaria intorno alla moneta Euro, in spregio ai principi della dottrina economica e funzionale al saccheggio dei popoli europei stessi, che ha permesso al colosso cinese di ritagliarsi spazi di mercato all’interno di quella è la pura e certificata follia, rappresentata dal perseguire esclusivamente una politica di stampo mercantilista, essenziale appunto per vivere nell’austerità dell’euro.
Barattare il benessere di una nazione col produrre beni da esportazione, allo scopo di ricevere ricchezza finanziaria (denaro) ha significato e significa ancora affidare le nostre vite ai deficit di governi altrui ed alla speranza che cittadini ed imprese di quei paesi vengano poi a comprare da noi.
In pratica, questo assunto, a livello di certezza, è assimilabile a colui che contrae un mutuo con la speranza di poterlo ripagare vincendo al totocalcio.
Se poi, tale assunto, lo analizziamo a livello di stabilità, la matematica contabile ci dice con estrema chiarezza, che lo stesso è impossibile da realizzare per tutti i paesi del mondo contemporaneamente. E quindi, tutti i popoli i cui governanti intendono perseguire una politica mercantilista, prima o poi, saranno giocoforza, condannati alla sofferenza, quando la loro bilancia commerciale, per logiche prettamente fisiologiche, si contrarrà.
Di tutto questo, a Pechino pare se ne siano già accorti da tempo, visto che ormai l’attenzione verso il mercato interno e la sua domanda è pressoché prioritaria rispetto ad una economia basata sull’export.
Che in Cina pensino ormai molto di più a far circolare l’economia all’interno del proprio paese, attraverso la spesa dello Stato nella loro valuta – non ritenendo quindi più essenziali per il loro benessere, le montagne di dollari che arrivavano in cambio dei loro prodotti – è dimostrato appunto da quella che è la politica fiscale espansiva messa in atto dal governo cinese ormai da un decennio. Alti deficit governativi ed un rapporto debito/PIL in netta salita sono lì a dimostrarlo!
Ma il governo cinese sta andando ben oltre a quella che potrebbe apparire come una semplice trasformazione del proprio modello economico, tipico di chi si è accorto di essere sulla strada sbagliata. A Pechino, hanno le idee ben chiare sullo tsunami che sta per abbattersi sul mondo in conseguenza delle politiche predatorie globaliste messe in atto dall’Occidente e quelle che saranno le conseguenze di un conflitto bellico che ridisegnerà la carta geopolitica dei poteri nel mondo.
E’ stato di fronte ai produttori della Mongolia Interna, che il presidente cinese Xi Jinping ha lanciato il secondo recente avvertimento di prepararsi agli scenari peggiori. Rilanciando la strategia della “doppia circolazione”, necessaria per proteggere l’economia cinese in circostanze estreme. Una strategia incentrata sull’incrementare l’attività interna, per assicurare che il Paese possa continuare a funzionare normalmente, a fronte di un qualsiasi evento futuro che possa abbattersi stante le attuali incertezze geopolitiche.
Xi, con lucidità, intelligenza ed attenzione per le sorti del proprio paese – doti ormai sconosciute al nostro mondo politico – ha tenuto a precisare che la strategia della doppia circolazione non è in contraddizione con la partecipazione della Cina al commercio internazionale ed ai flussi di investimento.
Già una settimana prima di questo intervento, in una riunione di sicurezza di alto livello, Xi aveva colto l’opportunità per ricordare quanto fosse importante per la Cina prepararsi a fronteggiare gli “scenari peggiori ed estremi”, per resistere a “venti e onde forti e persino tempeste pericolose”.
Durante la sua visita a Hohhot, capitale della regione autonoma della Mongolia Interna, Xi ha elogiato gli sforzi di ricerca e sviluppo delle aziende locali in nuove energie e materiali. Li ha esortati a continuare a portare avanti “l’autosufficienza scientifica e tecnologica di alto livello e a superare i colli di bottiglia della scienza e della tecnologia”.
Ha aggiunto Xi:“lo scopo di costruire una grande circolazione interna è garantire che l’economia della nazione possa continuare a funzionare normalmente [anche] in circostanze estreme, il che non è in contraddizione con la partecipazione alla circolazione economica internazionale”. [1]
Il concetto di doppia circolazione è stato introdotto nel 2020 e ha segnato il passaggio di Pechino dal modello di crescita orientato sull’esportazione a quello del mercato interno. La strategia è stata inclusa anche nel rapporto di lavoro di Xi al 20° Congresso del Partito dell’ ottobre 2022.
La strategia, come detto, mira a riorientare l’economia del Paese dando priorità al fronte interno, pur rimanendo aperta al commercio e agli investimenti internazionali. Inizialmente, tale cambio di rotta, ha sollevato preoccupazioni nell’establishment di partito in relazione all’apertura della Cina verso il mondo esterno, portando Xi a ripetute rassicurazioni sul fatto che non intende chiudere le porte del Paese agli affari internazionali.
La prima menzione di Xi sulla necessità di prepararsi allo “scenario peggiore” sul fronte economico è stata nel discorso tenuto di fronte a tutti i membri del 19° Comitato centrale al quinto plenum del partito nell’ottobre 2020 – Xi disse che la Cina ha bisogno di fare una mossa preventiva per riorientare la sua economia a causa di una “situazione internazionale piena di instabilità e incertezza”.
Xi, chiese al paese di fare affidamento sui vantaggi del suo ampio mercato interno e di sfruttare appieno il suo potenziale per aiutare a “disinnescare l’impatto degli shock esterni e il calo della domanda esterna” e garantire il “funzionamento regolare dell’economia cinese e la stabilità complessiva della situazione sociale complessiva in circostanze estreme”.
Secondo Xie Maosong, membro anziano del Taihe Institute e ricercatore senior presso l’Istituto nazionale di studi strategici dell’Università Tsinghua, le osservazioni di Xi mirano da tempo ad affrontare lo scenario peggiore: “La doppia circolazione è stata lanciata in risposta alle ondate di sanzioni economiche e tecnologiche degli Stati Uniti nel 2018. Pertanto, nel suo discorso precedente, l’attenzione si è concentrata su come costruire la circolazione interna poiché Pechino ha bisogno di scavare le sue trincee e prepararsi al peggio scenario del completo disaccoppiamento degli Stati Uniti con la Cina”, ha affermato.
Come vedete, la conflittualità mondiale, sempre crescente, fa ritenere a Xi Jinping che è tempo di affidarsi alla crescita interna, per cui vedremo una serie di stimoli a diversi settori per mantenere consumi ed investimenti elevati.
Elementi come il debito e la svalutazione – (ritenunti in UE i principali nemici da combattere in economia) – per il presidente cinese diventeranno secondari rispetto al benessere nazionale.
La strategia di Xi Jinping non è soltanto una scelta di politica economica per il bene del proprio paese, ma anche una vera e propria lezione di economia che il presidente cinese sta impartendo in primis al mondo politico europeo ed ai suoi economisti main-stream, che ancora sono ancorati a idee economiche risultate del tutto fallimentari.
Per chi come me, da sempre, attraverso scritti ed articoli, cerca di spiegare certi concetti – leggere che il presidente di una delle più grandi potenze economiche al mondo, antepone l’importanza della domanda interna rispetto a quella estera, non curandosi del debito denominato nella propria valuta, ritenendo fisiologica e necessaria la flessibilità del cambio per un corretto uso della moneta moderna – è come stare seduto di fronte al mare fumando un sigaro e bevendo un whisky ghiacciato dopo aver vinto la coppa del mondo da allenatore.
di Megas Alexandros
Fonte: La Cina sconfessa le politiche “mercantiliste” che sono a fondamento della UE! – Megas Alexandros
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