È rivolta in Francia. Non ci sono mezzi termini per descrivere l’incredibile sequenza insurrezionale che si è scatenata in tutto il Paese dopo l’uccisione del 17enne Nahel da parte di un agente di polizia, avvenuta martedì 25 giugno. Per ricapitolare, in questi quattro giorni giorni sono stati presi oltre 50 commissariati, una ventina di municipi e più di 500 edifici pubblici di vario tipo. Durante gli scontri ci sono state un gran numero di autoriduzioni e ridistribuzioni di vestiti e generi alimentari.
Non esiste più un epicentro della rivolta, vista la sua enorme diffusione e la sua capacità di contagiare tanto le banlieue quanto i centri cittadini. Ieri sera Nanterre – dove tutto ha avuto inizio – ha resistito per molte ore e ha fatto ritirare dal quartiere Pablo Picasso le forze speciali del BRI (Brigate di ricerca e intervento) la sezione speciale della Prefettura di polizia parigina che affianca il RIAD nelle operazioni antiterrorismo e “antigang”. A Marsiglia ci sono state diverse manifestazioni selvagge, in particolare nel centro della città, che hanno “costretto” il RAID a usare proiettili di gomma. Caldissima anche Lione: qui un gruppo di fascisti del movimento identitario ha cercato di tendere un’imboscata ai residenti dei quartieri popolari che stavano manifestando, ma sono stati messi in fuga e uno di loro è uscito in gravi condizioni.
Gli scontri si sono allargati anche al Belgio e in alcune ex colonie e territori d’oltremare. Al momento si contano 2 morti, uno in Guyana francese ucciso da un “proiettile vagante” e un 19enne morto essere caduto dal tetto di un negozio Lidl saccheggiato a Petit-Quevilly due notti fa.
La risposta della presidenza Macron e del governo francese si è delineata subito e potrebbe sfociare nelle prossime ore nella dichiarazione dell’état d’urgence, dichiarato per la prima volta dopo gli attentati del 13 novembre 2015 al Bataclan e durato – in quell’occasione – più di un anno. La situazione è comunque quella di uno “stato d’emergenza” di fatto: ieri sono stati annullati i concerti e altri eventi di massa, fermati i mezzi pubblici dopo le 21, schierati 45.000 poliziotti e gendarmi, comprese le forze speciali, e usati 18 veicoli blindati, tra cui 14 VRBG e 4 Centaure (i nuovi veicoli, da pochissimo in dotazione).
Ma quello che appare più sconcertante sono le dichiarazioni del Capo dell’Eliseo che invita i genitori a non far uscire di casa i figli per protestare e diche che “i giovani sono fuori dal contatto con la realtà, vivono nelle strade e sono stati intossicati dai videogiochi”. Al punto che verrebbe da chiedersi chi fosse davvero fuori dalla realtà quando un agente ha premuto il grilletto della sua pistola per porre fine alla vita di un ragazzo di 17 anni? «Chi era il guerriero di Call Of Duty in quel momento, capace di togliere una vita come se stesse cliccando il tasto R2 della sua Playstation?» si legge su Cerveaux Non Disponibles che proseguono: «bisogna essere profondamente disconnessi dal mondo, dalla realtà della vita quotidiana, dal contatto quotidiano con la polizia, per credere che tutto ciò che accade sia legato ai social network e ai videogiochi, piuttosto che alla legittima rabbia di una popolazione che da decenni è vessata quotidianamente dalla polizia». E ancora: «L’obiettivo è duplice: depoliticizzare ciò che sta accadendo, dire che si tratta di disordini e non di rivolte».
La questione è evidentemente ben più ampia e non solo le forze governative, ma l’intero arco politico francese non la sta cogliendo. Come ha scritto Giso Amendola sulle pagine del Manifesto: «C’è un elemento importante di maturazione che emerge, analizzando rivolte e resistenze alla violenza di polizia: la trasformazione della resistenza delle persone razzializzate in un nodo di una rete sempre più fitta e diversificata di campagne e di lotte. In altre parole, la questione della violenza delle forze dell’ordine, senza perdere la sua dimensione specifica postcoloniale e di razza, sta sempre più allargandosi a questione democratica generale».
Da più parti si sprecano paragoni con la rivolta delle banlieue scoppiata nell’ottobre 2005 dopo l’uccisione di Zyed Benna e Bounia Traoré a Clichy-sous-Bois, considerata il primo evento insurrezionale in Francia dopo il maggio del 1968. Lo stesso ministero dell’Interno parla di un livello di violenza superiore a quello del 2005, ma è soprattutto il contesto ad essere in qualche modo più avanzato. Le rivolte di questi giorni si collocano in un ciclo di mobilitazione sociale che tocca e intreccia diverse questioni: dai 14 scioperi generali contro la riforma delle pensioni alla giustizia climatica, che nella “battaglia di Sainte Soline” dello scorso marzo rende evidente come il tema dell’adattamento alla crisi climatica sposti in avanti anche la strategia dei movimenti in riferimento alla scarsità delle risorse, come ha ben spiegato Andreas Malm.
Per queste ragioni, appare sempre più attuale il concetto di “insurrezione democratica”, espresso da Etienne Balibar alcuni mesi fa a proposito della lotta contro la ristrutturazione del sistema pensionistico e, in generale, della demolizione del modello di sécurité sociale in Francia. I concetti principali espressi dal filosofo francese sono due: quello della lotta di classe, perché la condizione materiale delle banlieue rappresenta un paradigma ancora più marcato di quella distribuzione iniqua di risorse tra la forza lavoro (intesa come tutti coloro che fanno vivere la società e i suoi servizi fondamentali) e il capitale, che è stata al centro del dibattito pubblico negli scorsi mesi. Il secondo è quello della fine definitiva dell’ordine politico e simbolico della cosiddetta “democrazia liberale” e dello Stato di diritto nel suo complesso, che i fatti di questi giorni in Francia stanno rendendo evidente nell’incapacità totale delle istituzioni di ristabilire un ordine che non sia quello dell’emergenza.
E allora non ci resta che dire: «allons enfants de la banlieue».