Russia – La rivolta degli Oligarchi o Khovanshchina

Due settimane sono ormai passate dalla cosiddetta “ribellione” di Prigozhin. Nuove informazioni sugli eventi continuano ad emergere con il passare dei giorni, mentre il background e i moventi di questi avvenimenti assumono dei contorni più definiti. Cerchiamo di capire perché l’oligarca abbia voluto iniziare un’insurrezione e come Putin sia riuscito a superare probabilmente il giorno più difficile nei suoi 23 anni di potere incontrastato, tenendo conto del contesto politico e sociale della Russia di oggi.

Nonostante le dichiarazioni ufficiali dal Cremlino, gli spettatori e testimoni degli eventi a Rostov-on-Don sono tra di loro divisi riguardo all’insurrezione della Wagner. Alcuni affermano che nell’avanzata nelle regioni del Rostov e del Voronezh i ribelli abbiano lasciato solamente una scia di distruzione, in un sud della Russia dove le infrastrutture scarseggiano. Altri invece hanno accolto e acclamato i mercenari come eroi avendo preso sotto il loro controllo un’area impoverita da un’amministrazione disorientata e debole, provando ancora una volta che la crisi dell’autorità statale è alquanto tangibile e che l’ufficio presidenziale è incapace di gestire la crescente tensione all’interno dell’esercito Russo.

Come possiamo descrivere l’armata privata Wagner, la sua struttura e area di influenza?

Una non-ufficiale divisione armata fondata dal businessman russo Yevgeny Prigozhin, un prominente strumento per la difesa di strutture private e all’interno di conflitti in giro per il mondo. Si descrivono come guerrieri per “Sangue, Onore, Patria e Coraggio”, non si allineano ufficialmente con nessuna delle ideologie principali, ma vengono fortemente associati all’ultra-nazionalismo e alla retorica di estrema destra. Secondo Vedomosti, quotidiano di Mosca, con riferimento all’ex capo dei servizi d’analisi di Prigozhin, la forza motrice dietro l’ideologia interna all’armata è bastata sulla paura, l’imbroglio e il “comunismo militare”. Quest’ultima interpretazione è davvero discutibile, data la natura puramente capitalista e imperialista dell’organizzazione, cosa che diventa alquanto controversa quando i giornali esteri, come per esempio il quotidiano italiano La Stampa compara in un suo articolo il Gruppo Wagner con l’Armata Rossa e addirittura Prigozhin con lo stesso Lenin.

Il fenomeno delle milizie private finanziate e sostenute da milionari ed impresari sta diventando sempre più presente nella risoluzione dei conflitti internazionali e locali, in particolare nei cosiddetti interventi “anti-terrorismo” e la Wagner non fa eccezione. A partire dalla partecipazione alla maggior parte delle operazioni nel Donbass e Crimea nel 2014, il Gruppo Wagner ha esteso la propria presenza su scala globale in Siria, Libia, Repubblica Centrafricana e più recentemente nel Mali. Il progetto All Eyes On Wagner (AEOW) ha prodotto un report sulle attività del gruppo nel territorio del Mali nel suo primo anno di presenza nel paese, includendo informazioni da fonti pubbliche, media locali e testimonianze di testimoni e attivisti per i diritti umani specializzati sui crimini dei mercenari russi. Tra questi crimini sono stati segnalati saccheggi, stupri, massacri e attacchi ai civili locali, dimostrando come, oltre ad aver fallito nell’aiutare le autorità del Mali, hanno peggiorato le vite e la sicurezza all’interno del paese. Ciò che spinge i combattenti sono gli alti stipendi, i molteplici benefici e l’assoluta separazione dalle altre strutture istituzionali russe. Quindi la ragione più plausibile e realistica dietro alla rivolta è la riduzione e divisione del budget e delle forniture di munizioni ai soldati della Wagner stanziati al fronte, i quali hanno poi successivamente accusato l’esercito di aver ucciso alcuni dei mercenari. Prigozhin critica difatti la leadership militare russa per lo scarso supporto ai combattenti e si assume la responsabilità di capire l’origine di questa “illegalità nel paese”.

Cosa vuol dire tutto ciò, sia per il comune cittadino che per le autorità russe? L’incapacità governativa nel tenere insieme le forze armate e regolare i conflitti interni ha raggiunto il suo apice il 24 giugno, quando a Rostov-on-Don viene meno il controllo dell’autorità statale, ed è la prima volta che accade una cosa del genere nel territorio russo dalla fine della Seconda Guerra Mondiale (esclusa la guerra in Cecenia). La situazione della regione in quel fatidico giorno rappresenta la cartina di tornasole per valutare la credibilità di chi sta al potere, un’innegabile prova del fatto che la Russia post-sovietica è costruita sull’egemonia oligarchica. Un sistema profondamente corrotto, che funziona con l’oppressione e l’autorità riconosce di misurarlo esclusivamente tramite la ricchezza e beni materiali, dove il dialogo tra le istituzioni di potere e i loro protagonisti sembra più una resa dei conti tra compagni di bevute piuttosto che negoziati condotti diplomaticamente. Possiamo chiaramente affermare che la ribellione delle truppe di Prigozhin a Rostov è la conseguenza del conflitto di interesse creatosi sin dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina avvenuta all’inizio dell’anno scorso.

“Per 20 anni aspettiamo senza fine

Con speranza per il Balletto…”

Ovviamente, le autorità capiscono la necessità di una legittimazione da parte della società, un riconoscimento popolare del potere, qualcosa su cui il Cremlino ha attentamente lavorato già a partire dal 2014, creando una efficiente macchina mediatica dalla quale è difficile sfuggire. Mentre la popolazione locale ha assistito ad un momento di completa destabilizzazione, il resto della nazione, mediaticamente bendata, viene sottoposta ad informazioni di propaganda filtrate dai media ufficiali.  In tale situazione si è deciso di usare una classica mossa di distrazione di massa, distribuendo e riproducendo un documentario sul da poco defunto amico di Putin, Silvio Berlusconi.

La natura storica di questa strategia di soppressione dell’interesse delle persone su questioni politiche, si aggiunge alla grottesca comicità che si è creata nel vuoto di informazioni politica. Nonostante ciò, uno dei risultati inattesi della rivolta di Rostov è stata la spontanea politicizzazione dei residenti dell’area i quali hanno dimostrato vicinanza ai militari dell’organizzazione paramilitare finanziata dallo Stato, chiamandoli eroi. Il dato importante qua non è tanto il supporto e il “tifo” nei confronti della Wagner, ma la capacità e la prontezza della popolazione di superare lo stupore o la disperazione che nella regione potesse esserci un avvicendamento di regime. Pertanto, per la maggior parte dei Russi, il giorno della rivolta mercenaria si è dimostrato ancora un altro giorno in cui illudersi per un possibile cambiamento nel Paese, mentre le TV continuano a ingozzare gli spettatori di news sulla vita e morte dell’élite oligarchica. Anche il silenzio delle autorità è stato un altro segnale politico, anche perché Putin ha cercato di fingere una parvenza di normalità, andando a San Pietroburgo per l‘annuale celebrazione delle “Vele Scarlatte”, cerimonia di consegna dei diplomi, poco dopo il suo breve discorso alla nazione, in cui voleva solo dimostrare di avere ancora uno pseudo controllo sull’esercito e il governo.

Nonostante la dominante sensazione di confusione, la distorsione dei fatti e la retorica fortemente filogovernativa che cerca di salvare la faccia dell’amministrazione dopo decadi di erosione dello Stato, è chiaro che il governo non è affatto stabile ed è alquanto condizionabile dai conflitti interni. Tuttavia, il regime di Putin e delle élite direttamente coinvolte nella classe dirigente possono ancora avvalersi di una struttura verticale del potere, data l’inesistenza di strutture di auto-governo locali. La Russia moderna non è la diretta discendente dei valori dell’Unione Sovietica, ma uno Stato governato da un gruppo di imprenditori che competono tra di loro per il potere, uno Stato costruito sulla sintesi di ideali imperialistici alimentati dalla nostalgia dei bei vecchi tempi e dalla costruzione forzata del capitalismo. Il sistema corrente può essere descritto come corrotto, ladro, oligarchico e criminale fino in fondo, in quanto nato dalla dissoluzione dell’URSS a cresciuto con le impattanti riforme neoliberali che sono rimaste “coperte da voglie di socialismo” come disse nel 1996 l’economista e politico Yegor Gaidar, responsabile della shock therapy capitalista nella prima metà degli anni Novanta.

Tutti questi fattori hanno portato alla situazione attuale, in cui la popolazione russa aspetta impaurita la prossima mossa autoritaria sperando di mantenere un minimo di standard di vivibilità, mentre le persone più anziane sono sull’orlo del lastrico, i ricchi diventano sempre più ricchi e chi sta al potere si sollazza con l’imperialistica idea della nazione forte basata sul ricordo dell’URSS. Questo è il motivo per cui gli avvenimenti del 24 giugno sono sia inaspettati quanto logici, perché hanno distrutto l’idea della concentrazione del potere statale nelle mani di un solo protagonista. L’aspetto positivo in questa complicata situazione non lo ritroviamo nella scelta superficiale di uno schieramento tra le attuali forze in campo e nemmeno nella cieca fede nell’arrivo prima o poi di un movimento di opposizione spontaneo, bensì nella possibilità per la società russa di svegliarsi dal decennale torpore imposto dal regime e aprire spazi di mobilitazione sociale in questo momento di indebolimento del regime stesso. Il sistema si sta lentamente erodendo dall’interno e per mano di chi sembra essere il più fedele alleato. Per ora, ciò che rimane alle persone è di raccogliere i rimanenti brandelli di speranza e prendere l’iniziativa per poter creare una realtà migliore di quella attuale.

* Nel titolo dell’articolo si fa riferimento a Khovanshchina, una congiura organizzata dagli Streltsy di Mosca all’inizio del governo di Pietro il Grande, provocata dal mancato pagamento dei compensi. La congiura è diventata celebre grazie all’opera di Modest Petrovič Musorgskij, composta tra il 1872 e il 1880.

* L’originale in inglese verrà pubblicato nei prossimi giorni. La versione italiana è stata tradotta da Nicolò Quartarella.

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