Negli Stati Uniti c’è un film che sta sbancando al botteghino, con grande sorpresa di tutti. Si intitola “Sound of Freedom”, è costato la miseria di 15 milioni di dollari, e nel solo week-end di apertura ne ha già incassati 40, battendo addirittura l’ultimo “Indiana Jones”.
“Sound of Freedom” è basato sulla vera storia di Tim Ballard, un agente della Homeland Security che ha dedicato la sua carriera alla lotta contro il traffico di minori in nord e sud America.
La forza del film sta tutta nello stile asciutto e senza fronzoli, simile ad un documentario, con immagini crude, spesso male illuminate, come se appunto stessimo assistendo ad un frammento di realtà, e non ad una fiction.
Grazie a questo stile narrativo, l’argomento centrale del film – il traffico di bambini per abusi sessuali – arriva dritto al cuore. Non si riesce a non provare un profondo disagio dopo averne visto anche solo le prime sequenze. (Copie in bassa risoluzione sono disponibili in rete).
Ma c’è un altro aspetto che rende interessante tutta l’operazione: il film (girato nel 2018) inizialmente doveva essere distribuito dalla Fox, ma quando la Fox fu acquistata dalla Disney, i boss della Disney decisero di “archiviare” il film senza nemmeno farlo uscire in sala. (Il termine tecnico è “shelving”: quando una società di distribuzione valuta che promuovere la distribuzione di un film costerebbe di più di quanto il film potrebbe incassare, lo manda direttamente in archivio, senza mai proiettarlo in una sola sala. Lo “shelving” è anche una classica operazione che si usa quando il contenuto del film può risultare fastidioso per certe elites di persone. Te lo comprano, e lo buttano in uno sgabuzzino).
A quel punto il produttore, Eduardo Verastegui, ha dovuto lottare per più di un anno per riacquistare i diritti del film, e quando ha finalmente trovato i finanziamenti, “Sound of Freedom” è uscito nelle sale. Ma a quel punto sono inziate le critiche, che potete trovare dovunque in rete: il film – dicono certe recensioni – “è troppo diverso dalla realtà”, “non è storicamente accurato”, oppure addirittura “ricorda certe tematiche complottiste vicine a Qanon” (il riferimento al Pizzagate è palese).
Insomma, esce finalmente un film che denuncia da vicino l’estensione e la diffusione di un problema come il traffico di minori a scopo sessuale, e di colpo spuntano dozzine di “critici cinematografici” che, invece di osannarlo, si mettono in tutti i modi a fare le pulci al film.
Chissà chi li paga?
Massimo Mazzucco