Questo mese ricorre il nono anniversario dell’aggressione israeliana del 2014 sulla Striscia di Gaza. Un assalto, durato oltre 50 giorni, che ha lasciato un segno indelebile nella regione, sconvolgendo per sempre la vita di milioni di persone.
Le storie di perdita, dolore e resilienza emerse da questo periodo continuano ad essere un chiaro promemoria del costo umano dell’occupazione.
Durante l’estate del 2014, la Striscia di Gaza ha subito un attacco brutale dopo la decisione delle forze israeliane di lanciare una massiccia campagna militare contro l’enclave assediata. L’intenso bombardamento portò alla distruzione totale della striscia e a una pesantissima perdita di vite umane. Secondo le Nazioni Unite, circa 2251 palestinesi sono stati uccisi durante l’aggressione.
La maggior parte di queste vittime erano donne e bambini, evidenziando tragicamente l’impatto sproporzionato dell’aggressione israeliana contro i soggetti più vulnerabili della società palestinese. L’assalto si concluse lasciando le infrastrutture di Gaza in frantumi, con ospedali, scuole ed edifici residenziali ridotti in macerie.
L’aggressione del 2014 ha avuto inoltre un pesante impatto enorme sul benessere mentale ed emotivo degli abitanti di Gaza. La costante paura, i traumi e le incertezze subiti durante il conflitto, hanno lasciato profonde ferite che continuano ad affliggere la popolazione ancora oggi. Secondo una relazione dell’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi (UNRWA), circa 1,3 milioni di abitanti di Gaza, ovvero il 75% della popolazione, necessitano di una qualche forma di assistenza umanitaria, compreso il sostegno alla salute mentale.
Se da un lato l’aggressione del 2014 alla Striscia di Gaza ha provocato immense sofferenze umane, dall’altro ha evidenziato la resilienza e la determinazione del popolo palestinese. Di fronte alla distruzione, le comunità si sono riunite per ricostruire di nuovo, nonostante le avversità schiaccianti, sostenendosi a vicenda per ripristinare una parvenza di normalità. Tuttavia, allo stesso tempo, continuano ad essere molte, troppe, le famiglie ancora sfollate che continuano ad aspettare la ricostruzione promessa, intrappolate in un limbo di incertezza e precarietà. I ritardi nella ricostruzione hanno ulteriormente aggravato le loro ferite, prolungandone le sofferenze e ostacolando la loro capacità di ricostruire ancora una volta le loro vite.
Flash news della settimana
Gerusalemme: coloni israeliani sequestrano la casa della famiglia Sab Laban vicino alla moschea di Al-Aqsa. Dopo 70 anni, la famiglia Sab Laban è stata espulsa dalla loro casa, situata nella Città Vecchia di Gerusalemme e affacciata sulla moschea di Al-Aqsa, da parte dei coloni israeliani che hanno preso possesso dell’abitazione supportati dai militari dell’occupazione. Nonostante gli incessanti sforzi della famiglia, i coloni sono riusciti a impossessarsi della proprietà, supportati da una controversa decisione della Corte suprema israeliana del 2021, e scatenando proteste diffuse a difesa della famiglia e per denunciare l’ingiustizia perpetrata dall’occupazione. Questo episodio si aggiunge alla lunga lista di tentativi da parte dei coloni israeliani di espellere le famiglie palestinesi dalle loro proprietà, iniziato con l’occupazione israeliana di Gerusalemme avvenuta nel 1967.
Rapporto: Le forze di occupazione israeliane aggrediscono fisicamente oltre l’80% dei bambini palestinesi detenuti. Un nuovo rapporto di Defense for Children International – Palestine (DCIP) ha denunciato che quattro su cinque dei bambini palestinesi detenuti dalle forze di occupazione israeliane vengono sottoposti a violenze fisiche durante l’arresto, il trasferimento o l’interrogatorio. L’81,5% dei bambini ha riferito di aver subito abusi fisici da parte di soldati o agenti di polizia israeliani, mentre il 66,7% ha subito abusi verbali, intimidazioni o umiliazioni. Le forme più comuni di violenza fisica includevano schiaffi, pugni, calci e percosse con l’arma. Il 72,2% dei bambini è stato interrogato senza la presenza di un avvocato o di un familiare e il 97,2% non è stato informato dei propri diritti. Inoltre, il 49,1% dei bambini è stato tenuto in isolamento per una media di 16 giorni, descritta nella relazione come una forma di tortura oltre che una violazione del diritto internazionale.
L’occupazione israeliana condanna all’ergastolo 8 prigionieri politici palestinesi. Nel corso del 2023, l’occupazione israeliana si è intensificata intensamente, soprattutto sul lato della repressione. Il numero di detenuti palestinesi condannati dai tribunali militari all’ergastolo nelle carceri israeliane è salito a 560. La pena più alta è stata destinata ad Abdullah Al-Barghouthi, condannato a 67 ergastoli. Il detenuto Mohammad Atawna, di Hebron, ha ricevuto la condanna all’ergastolo e una multa di milioni di shekel (circa 245 mila euro). Il detenuto Alaa Qabha, di Jenin, è stato condannato all’ergastolo e a ulteriori 50 anni di carcere. I tribunali israeliani hanno condannato Muath Al-Najaar, di Silwad a due ergastoli e ad una multa di 1,09 milioni di shekel (circa 267 mila euro). I detenuti Yahya Mar’i e Yusuf Asi, di Salfit, sono stati condannati all’ergastolo più 30 anni di prigione, con una multa di un milione e mezzo di shekel (circa 367 mila euro ciascuno). Altri due detenuti, As’ad Al-Rufa’i e Subhi Subaihat, di Jenin, sono stati condannati a quattro ergastoli, in aggiunta ad altri 20 anni di carcere e una multa di tre milioni di shekel (735 mila euro ciascuno).
I militari israeliani assaltano la sezione 4 della prigione di Negev, terrorizzando i prigionieri palestinesi. Martedì 11 luglio 2023, in una mossa provocatoria, le unità di soppressione dell’amministrazione carceraria israeliana hanno fatto violentemente irruzione nella sezione 4 del carcere di Negev, sgomberando i prigionieri e causando uno stato di grave tensione all’interno della struttura, secondo il Prisoners’ Media Office. La prigione del Negev è attualmente sottoposta a forti pressioni a seguito di una serie di misure imposte dalla direzione carceraria israeliana nelle ultime due settimane. I prigionieri del carcere di Negev si preparano a intraprendere uno sciopero della fame in risposta alle ripetute e continue violazioni da parte dell’amministrazione.
I palestinesi nella prigione israeliana di Nafha riversano in condizioni tragiche. La tragica situazione in cui si trovano i prigionieri palestinesi nel carcere di Nafha ha oltrepassato ogni limite. L’avvocato della Commissione dei detenuti ed ex detenuti, Youssef Mattia, ha trasmesso un quadro dettagliato che riflette la difficile situazione del prigioniero palestinese Hassan Fahd Arar (di anni 41) di Ramallah, trasferito in isolamento il 18 maggio 2023, a causa di un discorso pronunciato mentre pianificava uno sciopero nella prigione di Ofer. La sezione di isolamento manca dei beni di prima necessità; il cibo è scarso e di pessima qualità. I prigionieri palestinesi sono sottoposti a percosse e aggressioni per futili o assenti motivi. Gli oggetti personali vengono confiscati, comprese carta e penna. Spesso il materasso viene tolto dalle celle, privando anche di notte i detenuti di coperte e cuscini. Quando i prigionieri tentavano di protestare contro le cattive condizioni del loro isolamento, l’amministrazione li multava con 450 shekel, negando le visite famigliari per due mesi e privandoli dell’ora d’aria. Durante il momento della doccia vengono costantemente osservati. C’è la possibilità che vengano privati della pausa o di una salvietta durante il giorno, oppure del cuscino durante la notte e tutta la loro roba viene confiscata, comprese carte e matite. I prigionieri hanno tentato di protestare contro le cattive condizioni del loro isolamento, ma l’amministrazione penitenziaria li ha multati con 450 shekel, li ha privati della taverna ed ha negato loro le visite familiari per due mesi. Il prigioniero Ahmed Al-Shamali, diventato padre di quattro gemelli grazie al contrabbando di sperma, è stato sottoposto a multe e maltrattamenti.