Si riaccende la protesta in Perù contro la “dittatura” di Dina Boluarte

Dopo mesi di preparazione attraverso incontri, riunioni, assemblee e presidi pubblici, mercoledì 19 luglio il fuoco latente della protesta contro la presidente Boluarte e il Congresso del Paese si è riacceso, con la giornata di lotta denominata terza “toma de Lima”, la conquista della capitale. A migliaia hanno sfidato la paura e sono scesi nelle piazze a manifestare nella capitale Lima ma anche a livello locale dove il “paro nacional” si è esteso ad oltre 35 città in 22 regioni. 

Migliaia di persone hanno attraversato il Paese, in particolare dalle regioni del “sud ribelle”, quelle più colpite dal razzismo istituzionale, per convergere nella capitale dove si è svolta la grande marcia nazionale. Tre le parole d’ordine: dimissioni della presidente Boluarte, chiusura del Congresso e convocazione di una nuova assemblea costituente, unica strada percorribile, secondo i manifestanti, per chiudere con la fase di instabilità, incertezze e crisi istituzionale che da diversi anni regna nel Paese. Non vanno dimenticate altre rivendicazioni, come la richiesta di giustizia per le sessanta vittime delle proteste invernali, la liberazione dell’ex presidente Castillo e la giustizia per i danni ambientali provocati dalle imprese petrolifere. Oltre alla grande marcia nazionale della capitale non sono mancate diverse importanti manifestazioni locali, ancora una volta concentrate nelle regioni del sud, che negli ultimi mesi sono state protagoniste delle proteste dopo la destituzione di Castillo e la nomina a presidente della ex alleata Dina Boluarte. 

In questi lunghi mesi di preparazione della “toma de Lima”, i movimenti popolari e le organizzazioni sociali hanno articolato un importante lavoro dal basso di convergenza per giungere a questa data. Inutile dire che i quasi tre mesi di protesta dallo scoppio della crisi e soprattutto la brutale repressione ordinata da Boluarte e dal primo ministro Otárola, che è costata la vita ad almeno sessanta persone, aveva fiaccato la resistenza ed era quindi divenuto necessario un momento di tregua e di riorganizzazione, tenuto conto che, a livello di istituzioni regionali e mondiali, non si è praticamente mossa foglia di fronte alle atrocità e alla violenza promosse dal governo illegittimo e usurpatore, come lo definiscono i manifestanti, di Dina Boluarte. 

La risposta del governo di fronte alla riorganizzazione popolare si è mossa su due fronti: repressione e criminalizzazione della protesta. Già dalla settimana precedente alla manifestazione, il governo ha dispiegato migliaia di agenti e soldati alle porte di Lima per ostacolare l’arrivo in città dei manifestanti. Secondo quanto dichiarato dallo stesso governo, sono stati messi in campo ventiquattro mila agenti in tutto il territorio nazionale. Diverse sono state le denunce popolari di severi controlli a passeggeri e bagagli di ogni pullman diretto verso la capitale e di abusi di autorità. Sul fronte criminalizzazione invece, per mesi il governo ha utilizzato la strategia definita del “terruqueo”, vale a dire di criminalizzare e stigmatizzare in ogni modo la protesta e i manifestanti stessi, definendoli terroristi e violenti, sbandierando lo spauracchio dell’avvento del comunismo e minacciando azioni repressive durissime contro di essi. 

L’appello per una nuova giornata di lotta ha trovato una grandissima risposta popolare che ha messo in difficoltà il governo: alla vigilia della giornata di protesta il Primo Ministro Otárola ha giocato addirittura la carta del fútbol dichiarando che «i peruviani vogliono vedere il Clasico», lo scontro al vertice tra Universitario e Alianza Lima. Da parte sua la presidente Boluarte si è detta stupita per la nuova manifestazione dichiarando di non capire il reale motivo della protesta. Non bastassero gli oltre 60 morti dei tre mesi di protesta questo inverno a dare una risposta alla ignara presidente, dovrebbero essere sufficienti i sondaggi politici di diversi istituti che danno una disapprovazione che supera il novanta per cento per il Congresso e l’ottanta per cento per la presidente. Tuttavia, presidente e Congresso, ancorati saldamente alle poltrone, fanno finta di non vedere, come hanno fatto finta di non vedere la grandissima partecipazione alle assemblee di preparazione alle manifestazioni di protesta. 

La giornata di mobilitazione è iniziata in modo tranquillo. Le strade della capitale già di primo mattino hanno cominciato a riempirsi di persone e all’ora di inizio del concentramento le piazze San Martín e Dos de Mayo erano già ampiamente piene. Anche nel resto del Paese le piazze e le strade hanno cominciato a riempirsi fin dal primo mattino. Le prime tensionisi sono verificate a Huancavelica dove un gruppodi manifestanti ha cercato di dar fuoco alla portadella prefettura regionale. La polizia ha reagito immediatamente sgomberando la piazza principale con un fitto lancio di lacrimogeni provocando alcuni feriti e intossicati. Secondo la Defensoría del Pueblo, nella prima parted ella giornata, azioni di protesta e mobilitazioni sono state registrate in 59 province mentre sono stati registrati 8 blocchi stradali a vie di interesse nazionale. 

Le prime tensioni nella marcia a Lima si sono verificate quando la polizia ha cercato di impedire al corteo l’entrata su Avenida Abancay che porta al Congresso; ma nonostante i manganelli e i lacrimogeni il corteo è riuscito a sfondare e a riprendere il proprio cammino. Il corteo si è poi fermato davanti al Congreso chiedendo a gran voce la sua chiusura, considerato che è proprio in quel consesso che è stata ordita la risposta delle istituzioni al tentato colpo di stato di Castillo, mettendo al suo posto l’allora vicepresidente Dina Boluarte. 

Ritornato di nuovo in Plaza San Martín il corteo è stato nuovamente aggredito dalle forze armate con un fitto lancio di gas lacrimogeni e proiettili di gomma, che hanno provocato il ferimento di almeno sei persone tra cui due giornalisti indipendenti, una colpita gravemente al volto, che hanno richiesto il ricovero d’urgenza in ospedale. Nonostante le continue provocazioni della polizia la manifestazione di Lima si è conclusa senza ulteriori incidenti. I dati ufficiali parlano di solo otto persone ferite ma sono diverse le denunce pubblicate sui social di persone colpite dall’uso indiscriminato di proiettili di gomma e intossicate dai gas lacrimogeni. Anche sulle persone arrestate c’è ancora poca chiarezza: la CNDDHH (Coordinadora Nacional de DerechosHumanos) parla di quattro persone fermate ma è probabile che col passare delle ore questi numeri siano destinati a crescere. 

La terza “toma de Lima” riapre la stagione di lotta in un Perù sempre più preda di una crisi istituzionale senza via d’uscita. L’alleanza strategica tra la presidente Dina Boluarte e il Congresso corrotto, con l’avvallo e la protezione delle forze armate ha di fatto chiuso ogni prospettiva istituzionale per uscire da questa crisi e solo una ripresa radicale della protesta nelle strade appare l’unica soluzione: dimissioni della presidente, chiusura del Congresso e nuova Costituzione non sono solo slogan, ma i passi che la popolazione peruviana dovrà compiere per far ritornare una vera democrazia nel Paese.

Foto di copertina: Juan Zapata

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