Ieri 12 agosto diverse migliaia di persone sono scese in piazza a Messina per contestare la costruzione del ponte sullo Stretto di Messina.
La storia del Ponte è lunga quasi 50 anni: 50 anni in cui il progetto subisce battute d’arresto e riprese, queste ultime sempre accompagnate dal dissenso popolare condiviso. Negli anni 2000 inizia a prendere forma il movimento No Ponte, realtà che vede una partecipazione eterogenea di comitati, realtà, singoli cittadini e movimenti della Sicilia che si battono contro il ponte e contro le politiche di speculazione e devastazione ambientale che rappresenta questa grande opera.
Il progetto conosce fasi e momenti molto diversi, dal 2004 quando in piazza scendono migliaia di persone al 2006 quando il progetto viene accantonato. Tre anni dopo viene ripreso e, in quello stesso anno, Messina è colpita da un’alluvione devastante a causa della quale muoiono 37 persone. Allora fu il governo Berlusconi IV a voler riprendere l’iter della costruzione del Ponte, oggi è il governo Meloni, con il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Salvini in testa, a sbandierare la necessità di un’opera considerata strategica, ma che di strategico ha solo l’interesse politico. Oggi come ieri, di fronte alla devastazione ambientale e alla evidente fragilità dei territori e delle infrastrutture, l’unica risposta che i governi riescono a dare è la prosecuzione di un modello di sviluppo che vive solo di cemento, inquinamento e speculazioni finanziarie.
Molte e diverse sono le conseguenze che avrà la costruzione del ponte, a partire proprio dai flussi finanziari che movimentano fino all’inevitabile cantierizzazione e, quindi, militarizzazione che subiranno le città e i paesi sui quali il ponte verrà costruito. Si parla di 14.6 miliardi di euro per la realizzazione di questa grande opera inutile. Le migliaia di persone in piazza hanno chiesto a gran voce, invece, infrastrutture di prossimità, prevenzione, la messa in sicurezza della rete idrogeologica e sismica e un potenziamento del servizio sanitario.
Nella manifestazione di ieri il grido contro la costruzione del ponte non proveniva solo dalla popolazione locale: da tutta Italia si è levata una voce di dissenso contro questa opera che – oltre a tragiche conseguenze pratiche sul territorio – ha un significato simbolico intrinseco. Dal movimento no Tav, al No Base di Coltano, No Muos, No Grandi Navi: un filo rosso unisce tutti questi movimenti, simbolo di una resistenza anticapitalista quotidiana a difesa dei territori per garantirne l’integrità e la sicurezza, per assicurare un futuro alle popolazioni che li abitano. Dalla Sicilia alla Calabria, dalla Val Susa alla Laguna passando per tutta Italia, la cura dei territori potrà essere garantita da chi li abita, tutte insieme perché soltanto tutte insieme si potrà fermare la devastazione ambientale.