Venice Climate Camp 2023: “Per una transizione ecologica dal basso”

Venerdì 8 settembre, giornata di apertura della quarta edizione del Venice Climate Camp, si è tenuto il talk “Per una transizione ecologica dal basso. Convergiamo contro il piano verde del capitale ambientale”.

Il talk è stato introdotto da Andrea Berta, che si è concentrato sulla ristrutturazione che il capitale fa di fronte alla crisi climatica. Una questione spinosa da affrontare, nei termini di sussunzione di tutte quelle forze di riproduzione sociale e che stanno a difesa della vita. Alla luce di ciò, la sfida che i movimenti sociali si trovano davanti a questo fenomeno è grande. Non solo, è anche una sfida che vede coinvolti mondi incredibilmente diversi, ma in cui riconosciamo dei meccanismi comuni di predazione e di sfruttamento in termini di energia, tecnologia, e anche per quanto riguarda i beni comuni, la Terra, l’acqua, l’aria.

Lorenzo Feltrin, ricercatore all’università di Birmingham, per parlare delle lotte dal basso si rifà al concetto di operaismo: l’operaismo è una tradizione teorica altamente diversificata al proprio interno, caratterizzata da innumerevoli ambiguità e punti ciechi. Chi proviene da questa storia, lo considera come una posizionalità di partenza da cui tessere trame con altre tradizioni, provenienti da persone e luoghi diverse dalle fabbriche.

Uno dei contributi operaisti ancora utili è il principio secondo cui le forme organizzative devono essere costantemente aggiornate per stare al passo con le trasformazioni della composizione della classe lavoratrice in diversi tempi e luoghi. È un approccio flessibile in cui molte formule diverse – e anche contrastanti – sono state sperimentate nel corso della storia degli interventi politici che a esso si richiamano. Il classico metodo è quello di condurre “inchieste operaie” sulla composizione di classe propria di ogni determinato contesto, formulando su queste basi proposte politiche e organizzative e testando la loro efficacia nella pratica. Si tratta dunque di un processo di scambio continuo tra produzione di sapere e intervento politico.

Per quanto riguarda l’ecologia, durante il Lungo ‘68 italiano, le lotte contro la nocività convertirono il tema della salute dell’ambiente – prima in fabbrica, poi su tutto il territorio. Non è un caso che i conflitti contro la nocività industriale – che hanno prodotto figure chiave come Ivar Oddone a Torino o Augusto Finzi a Porto Marghera – furono pioneristici nel sottoporre a una critica feroce la cosiddetta “monetizzazione della salute”, l’idea cioè che un aumento salariale o uno scatto di livello potessero “compensare” l’esposizione a sostanze inquinanti, talvolta letali.

Quella composizione di classe è stata però trasformata dallo sviluppo tecnologico. La codificazione e incorporazione nelle macchine del sapere previamente “clandestino” del lavoro vivo (l’espressione è di Romano Alquati, ma si pensi alle odierne tecnologie d’intelligenza artificiale) determina traiettorie di sviluppo tecnologico tutt’altro che neutrali e sempre ambivalenti. Da un lato sono concessioni alle lotte, per esempio modifiche agli impianti. Tuttavia, un’innovazione che proceda solo su questo versante minerebbe la competitività delle imprese che l’adottano. Dall’altro lato, dunque, l’innovazione deve ristabilire il controllo sulla forza lavoro a un nuovo livello di sviluppo tecnologico. Ogni tecnologia capitalista è insomma una sintesi contraddittoria e provvisoria di questa dualità conflittuale, ma dev’essere in ogni caso compatibile con l’imperativo del profitto per potersi generalizzare.

Gli esempi della dialettica tra lotta di classe e innovazione tecnologica sono molteplici. Tuttavia, rispetto alla crisi ecologica, l’energia è forse il settore più significativo. Infatti, secondo Andreas Malm, il carbone rimpiazzò i corsi d’acqua come la fonte d’energia industriale più diffusa a causa del bisogno di mobilità del capitale nella sua ricerca di forza lavoro a basso costo, in un contesto di forti mobilitazioni operaie

La tendenza attuale è quella di un’incorporazione parziale delle istanze dei movimenti climatici volta a subordinare le energie rinnovabili e le tecnologie digitali avanzate a una transizione ecologica dall’alto che ha poco di davvero sostenibile. Anche la lotta climatica, che ha comunque una dimensione di classe, viene utilizzata dal capitalismo come elemento propulsore di una nuova fase di accumulazione.

Oggi, continua Feltrin, parliamo di un “piano verde del capitale”. Quella che si sta profilando, più che una vera transizione energetica, è piuttosto una diversificazione ed espansione energetica, dove le rinnovabili non sostituiscono le fonti fossili ma le affiancano. Alla crisi climatica generata dai combustibili fossili si aggiunge così il degrado sociale e ambientale provocato dal nuovo estrattivismo “verde”. Infatti, per rimanere all’interno dei parametri sistemici esistenti la transizione “ecologica” dall’alto necessita di enormi quantità di “minerali critici” ed energia. Al piano verde del capitale bisogna contrapporre una transizione ecologica “dal basso”, il risultato concreto dipenderà dai rapporti di forza che noi (in senso ampio) saremo in grado di costruire.

Le popolazioni dei territori adiacenti a fabbriche inquinanti sono esposte ad alti livelli di degrado ambientale, nonché a rischi d’incidenti gravi come esplosioni e incendi. Tali “zone di sacrificio” sono in molti casi più che proporzionalmente abitate dai segmenti più precari – e spesso anche razzializzati – della classe lavoratrice, perché chi percepisce un reddito più elevato può trasferirsi con maggiore facilità a zone più salubri. Questo fenomeno aumenta le probabilità di tensioni interne alla classe lavoratrice, tra chi lavora in tali fabbriche ma vive lontano da esse e chi vive vicino ma lavora in altri settori.

La sfida dell’ambientalismo di classe oggi è quella di generare una ricomposizione, una convergenza, tra luoghi di lavoro e territori attraverso piattaforme politiche comuni in grado di rompere il ricatto occupazionale. Da un lato, il territorio inteso come la sfera della riproduzione è l’ambito in cui le lavoratrici e i lavoratori fanno l’esperienza più diretta del proprio interesse a combattere la crisi ecologica. Dall’altro lato, i luoghi di lavoro ad alta intensità di capitale sono l’ambito in cui c’è più potenziale per trasformare la produzione alla radice della crisi ecologica stessa.

L’oggettiva frammentazione della composizione tecnica e sociale della classe fa sì che le opportunità per la convergenza tendano a emergere in situazioni di crisi, dove e quando le strutture che separano diversi segmenti della classe vengono scosse. È per questo che tali opportunità devono essere colte rapidamente, prima che tali strutture si ossifichino di nuovo. Per esempio, la convergenza tra lotta sul posto di lavoro e movimento climatico guidata con successo dal Collettivo di Fabbrica GKN Firenze è diventata possibile solo quando l’azienda ha annunciato la chiusura della fabbrica.

Lorenzo Feltrin conclude tornando alla dialettica tra lotta di classe e sviluppo di tecnologie alimentate a combustibili fossili. Parafrasando Aristotele, Tronti vide “la classe operaia come motore mobile del capitale”. In questo senso, la lotta di classe è il motore primo dello sviluppo capitalista a un livello molto più profondo dell’energia fossile resuscitata per mantenere l’energia viva della classe all’interno dei parametri dell’accumulazione di capitale. Senza dubbio, scrivendo nel 1965, Tronti non pensava alla crisi ecologica. Oggi, tuttavia, vediamo come il potere della classe lavoratrice è divenuto benzina nel motore della crisi ecologica. Eppure, è proprio nella convergenza tra diverse forme di lotta di classe – che se è davvero tale dev’essere anche lotta antirazzista, decoloniale, femminista e ambientalista – che si trovano molteplici possibilità di riformare ulteriormente la tecnologia capitalista.

Interviene in seguito Alice Swift, attivista inglese di Reclaim the Power, organizzazione che ha lottato contro il fracking nel Regno Unito per sette anni fino al 2019, riorientando poi l’attenzione verso il confronto con le biomasse. Poiché la lotta contro la produzione di carbone si è conclusa con una vittoria, le autorità hanno cambiato la fonte di generazione dell’elettricità tornando al legno trasportato dalle regioni meridionali degli Stati Uniti. Fossil Capital (di Andreas Malm) spiega che questa transizione all’indietro dall’acqua al carbone è dovuta in parte al fatto che c’è molta più energia in produzione. Plan C è un’altra organizzazione anticapitalistica che solleva la questione di come il capitalismo incorpori le contraddizioni verdi nella politica. Infine, bisogna considerare anche Ende Gälende, un movimento sociale tedesco di disobbedienza civile che occupa le miniere di carbone in Germania

Reclaim the Power si occupa dei lavoratori e delle comunità in prima linea che si sono opposte al fracking a livello locale nel Regno Unito. Un anno fa, la raccolta di firme organizzata per la campagna di sciopero per il non pagamento Don’t Pay contro l’aumento delle bollette del gas e dell’elettricità è stata ispirata dalle rivolte per la Poll tax [un sistema di tassazione forfettaria introdotto dal governo di Margaret Thatcher che fino a 18 milioni di persone si sono rifiutate di pagare e che alla fine è stato abolito], dagli scioperi degli affitti degli ultimi anni e dalla pratica collettiva anticapitalista italiana di autoriduzione delle bollette. Tutte queste iniziative hanno portato a riflettere sul concetto di come le persone, attivamente impoverite dall’aumento dei prezzi dell’energia, possano unirsi alle comunità locali e lottare contro il complesso dell’industria dei combustibili fossili, e l’atto disobbediente di non pagare il gas e l’elettricità si è rivelato uno degli approcci efficaci.

Un altro fattore che è stato utile è stato il modo in cui il movimento anti-fracking ha solidificato la coscienza pubblica contro il fracking nel corso degli anni. Regolarmente, insieme al sostegno delle comunità locali, ha permesso di colpire economicamente l’industria del fracking e di interrompere direttamente le sue attività economiche, creando di conseguenza una grande tempesta che ha destabilizzato la premiership e allontanato il premier dal potere. Il fattore universalizzante tra queste organizzazioni dimostra che il capitalismo è ecocida, patriarcale e razzista a tutti i livelli. La questione principale che si pone ora è come collegare questa lotta per il clima, storicamente bianca e borghese nel Regno Unito, con l’ingiustizia dei migranti e delle razze, creando una politica diversificata basata delle classi con un focus solidaristico proattivo.

Se un tempo “Il carbone è il nostro passato e il nostro futuro” era il sentimento principale dei lavoratori dell’industria, che indicava il reale scollamento tra la politica ecologica e la politica, oggi invece il gruppo che rappresenta il movimento del carbone nel Regno Unito afferma il contrario: “Il carbone è il nostro passato ma non il nostro futuro”, il che rappresenta un cambiamento radicale di coscienza.

È essenziale, secondo Alice Swift, capire come possiamo connetterci tra questi diversi fronti di lotta. Il fatto entusiasmante è che in un recente sondaggio è stato dimostrato che l’81% dei lavoratori non è più disposto a lavorare nelle industrie del petrolio e del gas. Questo drammatico spostamento da dove era storicamente la coscienza dei lavoratori riguardo alle politiche ecologiche a dove è oggi dimostra l’importanza dei movimenti per il clima nell’accrescere questa consapevolezza fino al punto in cui i lavoratori stessi non vogliono lavorare nel complesso industriale dei combustibili fossili, del petrolio e del gas, sia per ragioni ecologiche che per le condizioni di lavoro. “Secondo Marx, il capitalismo distrugge il suolo e il lavoratore e ora più che mai è importante riconoscerlo attraverso l’intersezionalità, collegando e universalizzando le lotte per creare la massima leva contro il capitalismo”.

Noel di Soulèvements de la Terre parla del movimento francese e di come è stata portata avanti la lotta dal basso nell’ovest del Paese, a partire da 2021, quando il movimento è stato creato. Soulèvements de la Terresi basa su una composizione vasta e varia, dai giovani militanti, agli abitanti dei territori coinvolti, alle realtà autonome. Migliaia di persone in questi anni si sono mobilitate a partire comitati di base per lottare per una transizione ecologica. Sono un movimento ecologista a partire dal basso.

Noel parla di come non credano nella transizione ecologica, che è una tattica del governo e per questo deve essere decostruita. Non è altro che lo stato, che si appropria della narrativa ecologica per mantenere lo status quo, rimandando all’immaginario gestionale, e non ecologista. La transizione ecologica, in termini di paradigma gestionale, punta a cooperare con i responsabili del disastro ambientale. Per questo il movimento vuole costruire un dialogo globale, ponendosi in contraddizione alle realtà multinazionali.

“Abbiamo due obiettivi: contrastare le multinazionali e porci come alternativa. Per fare questo abbiamo scelto la questione fondiaria, a partire dai terreni agricoli. Dal punto di vista della gestione del suolo c’è una dinamica di accaparramento. Questa dinamica si struttura attraverso lobbing e soft power, attraverso gli apparati statali ed organizzativi. Tuttavia, ad oggi le masse sono senza terra e senza territori e finché sarà così non possiamo creare una nostra ecologia politica; è una questione che pone in primo piano il problema dello sfruttamento del suolo e del sottosuolo, mettendo in luce il paradigma decoloniale che dobbiamo includere e dobbiamo vedere come un punto da cui partire, creando comunità dalle nostre istanze di partenza”.

La convergenza tra le lotte contro i mega bacini, le mega opere stradali e lo sfruttamento di suolo dà il messaggio che il movimento vuole continuare a lottare e a prepararsi ad una nuova stagione di lotta climatica.

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