1. Memorie del decennio scorso
Facciamo mente locale. Guardandoci intorno, in cosa riconosciamo l’eredità delle due giunte guidate da Virginio Merola? Cosa ha lasciato a Bologna quel decennio, che grossomodo coincide con gli anni Dieci?
Poiché se ne è parlato di recente, qualcuno ricorderà subito la consegna «chiavi in mano» e gratis di una vasta area pubblica a Oscar Natale Farinetti. In quel periodo l’amministrazione fece uno spropositato, scriteriato investimento su FICO, confermatosi poi il progetto demenziale che a noi era sempre sembrato.
FICO è stato la parte più visibile – solo in senso figurato, perché ben poca gente è andata a vederlo – di un processo più ampio. Altre consegne chiavi in mano hanno riguardato l’intera città, proprio in quegli anni offerta in pasto al modello «RyanAirBnB», ovvero: traffico aereo forsennato con relative emissioni climalteranti, inquinamento, rumore infernale tutto il giorno (chiedere a qualunque abitante del Navile); turismo mordi-e-fuggi, con sempre più aree del centro ingurgitate dal «food» (ogni due numeri civici as magna, roba da diventare anoressici per protesta); sregolata crescita di AirBnB, con sottrazione di migliaia di appartamenti al mercato degli affitti e conseguente, devastante crisi abitativa.
Una crisi che da allora si allarga a spirale, pagata soprattutto da studenti e studentesse fuorisede, ma anche dalla classe lavoratrice precarizzata, dalle giovani coppie impossibilitate a convivere se non in condizioni indegne, dalle famiglie sfrattate per far posto agli affitti brevi.
Contemporanea al danno, la beffa: mentre trasferirsi a Bologna per studiare diventava proibitivo, l’amministrazione passava sopra a ogni ostacolo pur di consegnare interi isolati a «studentati» per ricchi, come The Student Hotel (poi The Social Hub) in via Fioravanti, di cui ci occupammo qualche anno fa, Beyoo Laude Living in via Serlio, e i Camplus che spuntano dappertutto.
Legata al suddetto modello, nello specifico alla crescita smodata del traffico aereo, è la tragicommedia, tuttora in corso, del cosiddetto «People Mover», ufficialmente «Marconi Express».
Per chi non è di Bologna: trattasi del costoso trasporto su monorotaia che – tra clamorose defaillances tecniche, buchi di bilancio e numerosi episodi imbarazzanti che hanno dato vita a meme e barzellette – arranca dall’aeroporto alla stazione e viceversa.
Per collegare aeroporto e stazione via treno sarebbe bastato posare poche centinaia di metri di binari. La linea Bologna-Verona passa proprio lì accanto, ci mettevi uno scambio et voila: avremmo avuto un treno suburbano per l’aeroporto, allo stesso prezzo di una corsa per Borgo Panigale, che oggi costa un euro e cinquanta, mentre per prendere il People Mover devi sganciarne undici.
L’amministrazione Merola ricevette più volte questo suggerimento, ma tirò diritto, indifferente a ogni critica, perché – come praticamente ogni progetto di infrastruttura per la mobilità a Bologna – il People Mover non aveva solo una finalità trasportistica, ma anche immobiliare.
Zone di periferia nord-est non ancora cementificate furono occupate dai grandi piloni della monorotaia, e al Lazzaretto fu costruita un’inutile stazioncina intermedia. Ci scende solo qualche forestiero che si sbaglia, se non lo avvertono in tempo. Inutile sotto l’aspetto trasportistico, sì, ma utilissima a supporto della speculazione.
Intorno a quei piloni e a quella fermata oggi cresce il cemento, dopo un po’ che non guardi ti giri e ha coperto altri ettari, è come gli angeli piangenti nemici del Dr. Who: avanza di soppiatto e ti spedisce nel passato, a un’idea di sviluppo urbano vecchia di almeno sessant’anni. Con la differenza, rispetto ai Weeping Angels, che il cemento avanza anche se lo guardi.
Nel frattempo si era realizzata la nuova stazione sotterranea AV, che ha sempre fatto schifo a tutti senza eccezioni. Addirittura la sconfessò a tempo di record l’allora AD di Rete Ferroviaria italiana, in quanto spazio squallido e disfunzionale.
La stazione AV dava le spalle al centro e si affacciava sulla Bolognina, dunque fu ritenuta fin da subito un altro volano per grandi speculazioni, quelle che investirono per prima via Fioravanti e la zona retrostante. Ecco dunque il complesso residenziale della Trilogia Navile, la nuova sede del Comune con intorno piazza Liber Paradisus, la pensilina Nervi, The Social Hub…
Negli anni Dieci via Fioravanti divenne l’avamposto della gentrification di un quartiere popolare e multietnico, e il teatro di uno scontro tra due opposte idee di città. Contro chi cercava di resistere al nuovo andazzo, i poteri cittadini scatenarono sgomberi a tappeto: XM24, Ex-Telecom e tanti altri.
Oggi l’amministrazione Lepore-Clancy ha l’impudenza di esibire quelle ferite al tessuto urbano e alla biodiversità sociale del quartiere come propri fiori all’occhiello. È il caso della sedicente «Piazza Lucio Dalla», che della piazza ha ben poco – è una spianata di cemento con sopra una tettoia in laterizio e cemento armato – e che noi continueremo a chiamare col suo vero nome, pensilina Nervi. La storia di questa presunta «eccellenza» è strettamente legata alla speculazione edilizia e agli sgomberi.
Come ben ricostruito da Wolf Bukowski, «piazza Lucio Dalla» fu realizzata col mezzo milione di euro pagato dall’allora The Student Hotel al Comune, in cambio della sopraelevazione di un piano. Secondo i regolamenti urbanistici cittadini, in cambio di un aumento di cubatura TSH avrebbe dovuto mettere a disposizione più verde. In quel caso, invece, si «monetizzò» la deroga – qui c’è la delibera – e con quei danari fu terminata la pensilina Nervi.
Per costruire The Student Hotel si era sgomberata con violenza una realtà abitativa di oltre ottanta famiglie. La pseudo-piazza è dunque figlia di quello sgombero, e in qualche modo lo celebra ogni giorno.
Quando si parla degli «anni di Merola», con riferimento alle forme dell’abitare, non bisogna dimenticare che l’ex-dipendente di Società Autostrade non è stato solo sindaco per due mandati (2011- 2021), ma anche assessore all’urbanistica, alla casa e alla pianificazione territoriale, dal 2004 al 2009. In quella veste, per dirne soltanto una, diede il via libera alla costruzione di Borgo Lumiera: tredici villette a schiera, al posto di un capannone agricolo, di fronte al monumento ai caduti di Sabbiuno, uno dei luoghi più panoramici e densi di memoria di tutta la collina bolognese, sito a noi sacro, di cui abbiamo scritto più volte.
Il progetto segnò la fine di quella «salvaguardia dei colli» iniziata negli anni Sessanta con l’assessore Giuseppe Campos Venuti, da sempre citata come uno degli ingredienti del «modello Bologna», insieme alla tutela del centro storico e all’attenzione per le periferie.
Periferie che, nell’epoca meroliana, furono aggredite in ogni direzione: a est mostri di cemento in via Scandellara; a ovest il tentativo di distruggere il bosco dei Prati di Caprara; a nord, est e ovest un’orgia di centri commerciali e supermercati.
A Daniele Ara, oggi assessore alla scuola ma allora presidente del quartiere Navile, fu chiesto conto dell’epidemia di nuovi supermercati, vicinissimi l’uno all’altro, mentre diversi centri commerciali già realizzati erano in crisi e ormai mezzi chiusi. Lui diede una risposta da manuale liberista:
«Esiste libertà e concorrenza nel commercio. Decide il consumatore se sono troppi. Bravi o meno bravi.»
Tradotto: che se ne costruiscano senza limiti, poi chi va male chiude. L’idea che il problema fosse a monte, nella cementificazione e nelle colate di asfalto, non sfiorava nemmeno la maniglia della porta dell’anticamera della sua mente.
Il suolo è un mondo, è l’ecosistema più prezioso che esista sul pianeta, ma per costoro è niente, è solo superficie “vuota” da coprire.
Gli anni Dieci furono caratterizzati anche da farlocchi «percorsi partecipativi», la cui vera natura raccontammo facendo inchiesta sul Passante di Bologna.
Passante che è il progetto più pericoloso e impattante nato allora, l’eredità più pesante di quel decennio: un’autostrada a 16/18 corsie che correrebbe dentro la città, attraversando le sue periferie.
L’ideologo di tutta questa tumultuosa trasformazione urbana in senso neoliberale, di questa Bologna da mettere in vetrina, da svendere e da mangiare, è stato ed è Matteo Lepore, il sindaco attuale.
Delle giunte Merola, Lepore fu uomo-immagine e assessore di punta, con una pletora di deleghe tra cui quelle al turismo, alla «promozione della città», alle relazioni internazionali, all’«immaginazione civica», all’«agenda digitale» (Bologna come «smart city» ecc.), allo sport e alla cultura.
2. Per cosa ricordare questi anni e questa giunta
La giunta Lepore-Clancy – come potrebbe essere altrimenti? – porta avanti le stesse politiche di quelle Merola, funzionali agli stessi interessi economici, su scala ancor più ampia e se possibile con maggiore arroganza. Checché ne dica una certa ex-opposizione nel frattempo incorporata e fanatizzata a difesa dello status quo felsineo, la continuità con gli anni di Merola è ovunque si posi l’occhio.
A dispetto dei vacui proclami, la crisi abitativa, conseguenza di politiche che l’amministrazione continua a portare avanti, disgrega sempre più esistenze. Il centro storico è foodificato oltre la saturazione. Ryanair continua a spadroneggiare sulle teste – letteralmente sulle teste – degli abitanti delle periferie nord, dove il passaggio degli aerei in decollo e in atterraggio è incessante.
Soprattutto, la città è sempre più minacciata da immani colate d’asfalto e cemento.
Il mercato immobiliare è in drastica contrazione, a Bologna molto più che nel resto d’Italia. Nel primo trimeste del 2023 le compravendite sono calate del -22,8% rispetto ai primi tre mesi del 2022. Prevedibile: chi ce li ha ormai i soldi per comprarsi casa in una città divenuta costosissima, che comunque ti muovi ti succhia il sangue?
Eppure ovunque si costruisce, si costruisce, si costruisce, si costruisce, si costruisce e ancora si costruisce. Ovunque cantieri, reti arancione, gru. Sembra la riproposizione, con settant’anni di ritardo, del piano regolatore del Dopoguerra, quando si pensava che Bologna dovesse diventare una città da un milione di abitanti.
Fu proprio per correggere le assurdità di quel progetto che nacque la mitica «urbanistica riformista», oggi celebrata, ma per rinnegarla meglio. Basti pensare che gli asili, nella «città più progressista d’Italia», ormai si fanno in project financing, cioè il privato che li costruisce – magari nel parco di un’altra scuola – rientra dell’investimento gestendoli per qualche decennio. E pazienza se questo modello economico ha già prodotto mostri inutili come il parcheggio Michelino.
Un anno fa L’Espresso pubblicò un reportage su Bologna coperta di cemento. Riletto oggi, dopo che le alluvioni del maggio scorso hanno mostrato quali conseguenze può avere un simile consumo di suolo, l’articolo fa molta impressione. Descrivendo la querelle sulla demolizione dell’asilo Roselle, anticipava quella sull’abbattimento delle scuole medie Besta e di parte del parco che le ospita. Progetto contro cui è nata e si è estesa una mobilitazione – una delle svariate in corso in città – che sta creando molte difficoltà alla maggioranza di governo locale.
Sulla città incombe il Passante. Non c’è ancora un progetto esecutivo, eppure i cantieri si sono già insediati, dopo l’abbattimento di interi boschi urbani. Qualcuno ci ha fatto anche un video, «La polka degli abbattimenti».
Insieme al Passante, premono anche tutte le opere che il Passante deve «sbloccare»: allargamenti, nuove «bretelle», nuovi svincoli… Di queste minacce racconta un altro video, Il signore degli Asinelli – Le due torri e il passante di mezzo.
Il signore degli Asinelli – Le due torri e il passante di mezzo. from nemesi produzioni on Vimeo.
E il progetto di tram? Pure quello comincia a perdere parte della sua patina «green». Non solo per realizzarlo si tireranno giù centinaia di alberi – circa settecento, si legge nei documenti, ma queste stime preventive sono sempre per difetto –, ma la realizzazione implica numerose colate di cemento e asfalto e le stazioni, anche stavolta, faranno da volano a nuove urbanizzazioni.
Il tram sarebbe una buona idea. Smantellare la rete tramviaria fu uno dei tanti errori fatti in città durante il boom economico. Il problema è che questa attuazione del tram, tanto per cambiare, prepara nuovo consumo di suolo. Ce ne occuperemo prossimamente.
È un elenco di schifezze già pesante, eppure gravemente incompleto. Le periferie nord e nord-est stanno subendo assalti impetuosi, di cui è faticoso anche solo tenere il conto. Bologna è scossa da conati di cemento. Bisogna tenere d’occhio l’area dell’ex-CAAB, perché anche dalla crisi di FICO si vuole uscire con una «ripartenza», cioè cementificando a tutto spiano. E così pure dalla crisi della Fiera.
Il bello è che quest’amministrazione, annuncio dopo annuncio dopo annuncio, continua a descriversi come «green»: l’obiettivo della «neutralità carbonica della città» entro il tal anno… Tutto il clamore sul limite ai 30 all’ora… Il cantiere della Garisenda come occasione da cogliere per realizzare «un arcipelago di isole pedonali»…
È – tutta – fuffa.
Sono diversivi, o nella migliore ipotesi palliativi, e comunque sempre focalizzati sul centro. Quel che sta accadendo davvero in città, in tutta la città, lo abbiamo appena descritto.
Secondo gli stessi fautori dell’opera, il Passante porterà in città venticinquemila autoveicoli in più al giorno. Di fronte a questo e altri dati di realtà, tanto le vanterie sui 30 all’ora quanto le chiacchiere sulla «neutralità carbonica» di Bologna si rivelano insensate.
Se vivessimo in un film di Frank Capra, le alluvioni del maggio scorso avrebbero fatto riflettere, convinto la classe dirigente a fermare i processi che deturpano il territorio. Dalla tragedia, una nuova consapevolezza. Succede il contrario: a quei processi si dà un’accelerata.
La classe dirigente si è preclusa ogni riflessione nascondendosi dietro un espediente retorico, un escamotage che abbiamo denunciato mentre ancora pioveva: il ricorso al cambiamento climatico come diversivo deresponsabilizzante. «Non è colpa nostra, delle nostre politiche, è il cambiamento climatico! Sono precipitazioni eccezionali, in tot ore sono caduti tot millimetri, cosa possiamo farci», ecc.
A parte il fatto che il cambiamento climatico è conseguenza proprio del paradigma sviluppista che stiamo descrivendo, l’escamotage permette di distogliere l’attenzione dallo stato in cui le precipitazioni trovano il territorio. Stato che è conseguenza di politiche pluridecennali, ed è un’enorme concausa del disastro.
Inaugurato in Emilia-Romagna, questo stratagemma è oggi utilizzato da amministrazioni PD ovunque ci siano alluvioni. Nei giorni scorsi è stato usato in Toscana, come denunciato in quest’articolo.
Tornando a Bologna: per cosa ricorderemo questi anni, questa giunta, questa classe dirigente?
Noi, e con noi molta altra gente, li ricorderemo per il combinato disposto di devastazione ambientale e greenwashing.
3. Due balle «green»
Il lavaggio-in-verde è demandato in gran parte a Coalizione Civica, che giustifica il proprio voltafaccia sul Passante e altri grandi opere, e la propria cooptazione nella sfera del PD, con presunti risultati ottenuti e supposte compensazioni che il suo stare al governo garantirebbe.
Nel 2021, dopo aver approvato la conformità urbanistica del Passante, la maggioranza firmò un ordine del giorno che impegnava Lepore e la sua giunta su tre questioni:
- L’Osservatorio Ambientale per il monitoraggio degli impatti dell’opera: qualità dell’aria, rumore, cantieri…;
- Le opere di mitigazione dell’infrastruttura.
- Il potenziamento del Servizio Ferroviario Metropolitano.
A suo tempo, abbiamo già espresso il nostro parere in merito a questi impegni: sono foglie di fico stese sul Passante per poterlo chiamare «di nuova generazione», «simbolo della transizione ecologica» ecc.
A prescindere da queste valutazioni, dopo due anni ci sembra venuto il momento di una prima verifica: quali di questi impegni sono stati mantenuti?
Secondo la giunta, due: l’Osservatorio è partito ed è una garanzia, si legge; il Servizio Ferroviario Metropolitano è stato potenziato, dichiarano.
La vera risposta è nessuno. Nessun impegno è stato mantenuto. Lo dimostreremo, nei dettagli e documenti alla mano, nella seconda puntata di quest’inchiesta.
Fine della prima puntata – di 2.