Quest’anno la marea transfemminista ha innervato tutta la settimana che precede il 25 novembre. Il femminicidio di Giulia Cecchettin – l’ennesimo di quest’anno – ha fatto realmente “traboccare il vaso” e ovunque c’è stata la capacità di straformare il lutto e il dolore in una rabbia collettiva, travolgente e straripante.
Le piazze moltitudinarie di Padova, Bologna e Milano si sono intrecciate con mobilitazioni e scioperi spontanei nelle scuole e nelle università. Ovunque è stato “rotto” il minuto di silenzio e in tutte le scuole d’Italia è diventato “urla di rabbia”: a Padova studentesse e studenti hanno lanciato in maniera convocata uno sciopero e un corteo per la mattina di sabato 25 chiedendo «educazione al consenso, alle relazioni e una scuola libera dal sapere patriarcale». Sempre nella città patavina è in corso è in corso una mobilitazione permanente in Università, che coinvolge corpo studentesco e docenti: sono state raccolte oltre duemila firme per chiedere alla Rettrice la sospensione della didattica per oggi (venerdì 24 novembre), ci sono state assemblee autoconvocate e dibattiti con centinaia di persone e stasera è previsto un corteo. Mobilitazioni anche in altre città del Nord-Est: in mille hanno attraversato il centro di Vicenza mercoledì sera e altre manifestazioni sono previste oggi a Venezia (con partenza alle 17 da Campo Santa Margherita) e a Trento (appuntamento al Sottopassaggio delle Albere alle 18,30).
È evidente che il 25 novembre assume in questo contesto una valenza politica inedita, complice anche un governo reazionario che non perde occasione di mostrare la propria essenza patriarcale, come è stato dimostrato in ultimo anche dalla Legge di Bilancio che penalizza fortemente le donne. Le piazze nazionali saranno due, una a Roma (appuntamento alle 14,30 al Circo Massimo) e una a Messina (Largo Seggiola ore 15,00). DI seguito l’appello di Non Una di Meno.
Anche questo 25 novembre, Giornata internazionale contro la violenza di genere, con più rabbia che mai e per l’ottavo anno consecutivo, Non Una di Meno chiama la marea in piazza. Quest’anno saremo in due città che per noi rappresentano bene l’urgenza di questo momento storico, a Roma e Messina, per permettere a più persone possibile di partecipare e organizzarsi contro la violenza patriarcale!
La rabbia sale contro la violenza che evidentemente non è un fenomeno emergenziale, ma strutturale e in continuo aumento, e che conosciamo bene in quanto donne, persone non binarie e LGBTQIAPK, con disabilità, persone razzializzate, migranti e seconde generazioni, sex workers e detenutə, che la vivono quotidianamente in tutti gli ambiti delle proprie vite.
Dall’inizio dell’anno sono stati registrati più di 100 casi di femminicidi e transcidi, a cui si aggiungono, di quelli noti, almeno 12 tentati femminicidi, ed anche le aggressioni omolesbobitransfobiche e razziste sono purtroppo numerose.
Oltre alla violenza domestica, negli ultimi mesi si sono susseguiti diversi casi di violenze sessuali che hanno richiamato l’attenzione dei media. Sono state narrate con toni e linguaggi che spettacolarizzano e colpevolizzano costantemente chi la violenza la subisce, alimentando stigma e delegittimazione, spiano il privato delle persone coinvolte, cercano colpe e ragioni lontane, rendono protagonista chi la violenza la agisce giustificando e costruendo attenuanti per l’aggressore e, riducendo tutto a un fenomeno episodico e isolato.
Il governo ha prodotto un’opposizione solo formale a questi fenomeni, strumentalizzando gli stupri di Palermo e Caivano, rispondendo a violenza con violenza e militarizzando il linguaggio e i territori considerati “problematici” a causa della povertà e del degrado sociale, evidenziando ed accrescendo un antimeridionalismo sempre più feroce e discriminatorio. Lo stesso governo che ha portato avanti un attacco spietato alle famiglie omogenitoriali, ai percorsi di affermazione di genere, e più in generale alle esistenze delle persone LGBTQIAPK per cui l’Italia, ancora oggi, non garantisce diritti e tutele minime. A questo, si aggiunge la criminalizzazione del sex work, che riproduce lo stigma e invisibilizza la vita di chi fa il lavoro sessuale.
Nel mentre, in Parlamento, le forze di destra e conservatrici, in aperta complicità con i gruppi anti-gender e anti-scelta, sferravano attacchi continui contro l’educazione alle differenze, all’affettività, alla sessualità e al consenso nelle scuole, l’unico strumento che permette di smantellare fin dalla prima infanzia gli stereotipi di genere e le dinamiche di sopraffazione che stanno alla base della violenza.
Il governo tace anche sulle misure reali per il contrasto a questo portato di violenza, come il reddito di autodeterminazione, l’allargamento dei criteri di assegnazione per le case popolari e, più in generale, le garanzie per il diritto all’abitare, sottraendo fondi ai servizi e welfare svincolati dalla famiglia, e centrati sulla libertà di scelta. Una politica che si concretizza nella sottrazione di risorse ai Centri anti-violenza (CAV), presidi fondamentali nel garantire i percorsi di fuoriuscita dalla violenza, mentre nei criteri per l’assegnazione dei bandi scompare l’approccio femminista, in favore dell’ingresso silente ma costante di gruppi cattolici o fintamente “neutri”, come nei consultori.
Non è un caso se l’accesso all’aborto continua a essere ostacolato e negato. Nei territori dilaga l’obiezione di coscienza con una media del 70% di personale obiettore. La sanità pubblica, d’altra parte, viene smantellata da decenni, compromettendo l’accesso alla salute riproduttiva, sessuale e ai percorsi di affermazione di genere.
Questo attacco sempre più feroce all’autodeterminazione di donne, persone non binarie e LGBTQIAPK, con disabilità, migranti e seconde generazioni, sex workers e alle persone povere, si esprime anche nella recente ma non meno importante cancellazione del reddito di cittadinanza e l’affossamento del – seppur pallido e del tutto insufficiente – tentativo di fissare un tetto per il salario minimo.
Allo stesso tempo, il governo partecipa e finanzia in prima fila all’escalation bellica, con la produzione e invio massiccio di armi, tentativi di moltiplicare le basi militari, oltre quelle già esistenti (non ultimo sul territorio di Pisa, a Capo Frasca, Sigonella e Niscemi), nonché in pratiche di controllo varie; quali ricoprire le Città di Venezia e Messina di telecamere a riconoscimento facciale (prodotte in Israele) già in sperimentazione nel trasporto pubblico di Padova. Uno strumento spacciato come prevenzione di una violenza sistemica che lo Stato risolve in un solo modo: repressione. Le stesse utilizzate per la repressione e genocidio delle nostre sorelle Palestinesi. Lo stato Italiano deve smetterla di essere complice di genocidi in tutto il mondo e schierandosi in aperto supporto dello stato coloniale di Israele, appoggia di fatto il genocidio in corso del popolo Palestinese.
Il fine ultimo di queste politiche è la conservazione e il rafforzamento della famiglia tradizionale: sotto la retorica sulla natalità, si nasconde la riproduzione della nazione bianca e ciseterosessuale, con ruoli e aspettative di genere che da sempre ci stanno stretti e con una buona dose di razzismo. La retorica su famiglia, natalità e Nazione infatti si consolida anche nella chiusura e esternalizzazione dei confini, nel razzismo di Stato, negli attacchi continui a persone migranti e razzializzate che vengono considerate, strumentalmente, come responsabili di tutti i problemi economici e sociali del paese. Contro i confini, contro la violenza che producono, contro le politiche razziste dello Stato, le persone migranti e le seconde generazioni si organizzano.
Siamo consapevoli però di quanto la violenza si nasconda spesso proprio nelle famiglie, nelle istituzioni e che la cultura di dominazione patriarcale ha la sua massima espressione nella guerra, dove violenza e dominio vengono normalizzati, potere e prevaricazione organizzano tanto le relazioni affettive quanto le relazioni tra Stati.
Non vediamo quindi discontinuità vera tra questo governo di estrema destra della Meloni e i precedenti meno conservatori e nazionalisti. Sappiamo bene che in un presente dominato dal capitalismo neoliberale, non ci sono istituzioni che mettano davvero in discussione le fondamenta costitutive della nostra società, ma tramite il pink, rainbow e green washing, sanno solo prendere delle nostre lotte contenuti, depoliticizzandoli, e costruiscono misure insufficienti.
Vogliamo costruire un mondo diverso, contrario alla logica patriarcale e capitalista del conquista e distruggi. Questa spasmodica ricerca di dominio per darsi l’illusione di essere forti. Dominare corpi. Dominare terre. Ed è per questo che la lotta transfemminista intersezionale si intreccia con la lotta ecologista, con la difesa dei territori.
In questa prospettiva non possiamo non citare il ponte sullo Stretto, che occupa un posto d’onore tra le grandi opere, essendo di fatto oltre che un affare economico-politico, anche un grande specchio per le allodole.
Non solo la propaganda e il tentativo di arginarla fagocitano completamente il discorso e le energie impedendo di fatto di pensare a problemi più urgenti, ma, ancor di più, i fautori del Mostro sostengono, da un lato che sarà il volano per tutti gli altri interventi e, dall’altro, che se ci fosse il ponte tutti i problemi sarebbero già risolti, tra cui il calo demografico e lo svuotamento dell’Italia tutta.
Allora ci chiediamo: i nostri territori e chi li abitano contano davvero così poco che la prevenzione dei terremoti, degli incendi e del dissesto idrogeologico -insomma, la cura minima del territorio- possiamo averli solo se funzionali a megacostruzioni di interessi miliardari?
Non solo lo Stato Italiano non permette contraddizioni alle scelte che prende arbitrariamente, ma paragona le manifestazioni di contrarietà per come si amministra il proprio territorio ad azioni sovversive. Lo conoscono bene lə compagnə NO TAV, visti allontanati dalla propria città attraverso la strumentazione del DASPO urbano per il decoro di cui tanto parlano.
Non possiamo aspettare il prossimo disastro per fare qualcosa e, se chi dice di occuparsi di noi non lo fa, dobbiamo occuparcene da solə.
Di fronte a tutto questo saremo ingovernabili, con l’amore, la rabbia, con i nostri corpi e desideri vogliamo far esplodere il vincolo di soppraffazione-dominio-obbedienza nelle case, nelle strade, sui luoghi di lavoro, ovunque!
Sappiamo che la guerra è la manifestazione più totalizzante della violenza patriarcale e ne intensifica gli effetti a tutti i livelli, per questo, e più che mai, siamo al fianco del popolo palestinese che affronta l’ultimo episodio della lunga storia di un genocidio portato avanti da uno degli apparati politico-militari più potenti al mondo, lo Stato di Israele. Non ci sono margini di ambiguità in questa storia di colonialismo, razzismo e violenza, tesa a cancellare il territorio palestinese e, soprattutto, il suo popolo.
Per questo, il 25 Novembre la marea si riprende strade e piazze: per ricordarci che insieme siamo più forti e solo unitə possiamo organizzarci e immaginare insieme come distruggere la violenza patriarcale, che è il fenomeno sociale strutturale più duraturo e pervasivo che conosciamo, così come i conflitti armati, che di questo sistema patriarcale sono diretta conseguenza.
Le maree del 25 Novembre tornano in piazza contro il governo, le sue politiche e le sue retoriche, che dietro una misera facciata di contrarietà alla violenza nei fatti ne riproduce e anzi consolida le fondamenta in tutti gli ambiti della vita: dalla scuola, alla famiglia, alle relazioni interpersonali, agli ospedali, ai tribunali, alle politiche pubbliche.
Il 25 N saremo a Roma e Messina per ribadire che siamo arrabbiate e vogliamo:
-Una trasformazione radicale della società, consapevoli che non saranno pene più severe, militarizzazione e sicurezza ad azzerare la violenza. Anzi siamo sicurə che l’impianto punitivo del sistema sia parte del problema e non la soluzione, che è invece cambiare le fondamenta su cui questo sistema si riproduce
-Scegliere noi chi considerare famiglia e che tipo di relazioni vogliamo avere, liberə da destini biologici e sociali
-Un pieno riconoscimento e implementazione dei percorsi di educazione al consenso, all’affettività, alla sessualità e alle differenze nelle scuole a partire dalla prima infanzia;
-Il rifinanziamento dei Centri anti-violenza, presidi fondamentali per il contrasto alla violenza, e l’approccio femminista come criterio fondamentale per l’assegnazione dei bandi, perché la prevenzione e il sostegno all’autodeterminazione nei percorsi di fuoriuscita da una prospettiva transfemminista sono elementi centrali e non sacrificabili
-Il sostegno all’autonomia economica per donne e persone LGBTQIAPK attraverso misure reali di sostegno economico, unite a servizi e welfare adeguati e svincolati dalla famiglia nucleare
-Una sanità pubblica universale e accessibile, la piena tutela del diritto di aborto e nuovi approcci alla medicina di genere, che garantiscano l’accesso alla salute e all’autoaffermazione di tutte le soggettività fuori da percorsi di colpevolizzazione, patologizzazione e psichiatrizzazione dei corpi
-Il cambiamento delle narrazioni e del linguaggio con cui la violenza viene raccontata nei media e nel dibattito pubblico, per uscire dalle logiche di pornografia del dolore e ri-vittimizzazione
-Un permesso di soggiorno slegato da qualsiasi ricatto lavorativo e familiare e leggi che consentano a chi nasce in Italia in famiglie straniere di avere subito il riconoscimento della cittadinanza
-Ribadire il nostro posizionamento anticarcerario, riconoscendo nel carcere una delle peggiori violenze istituzionali
-Un chiaro posizionamento in favore del popolo palestinese e della sua liberazione e una visione antimilitarista che ci permetta di evidenziare come i conflitti armati siano l’espressione più terribile della violenza patriarcale
-La liberazione e il desiderio, come unici orizzonti rivoluzionari per i nostri corpi, le nostre esistenze e le nostre collettività
Infine questo 25 Novembre gridiamo forte contro la Regione Lazio, perché faccia marcia indietro sulla revoca della delibera che apriva alla casa delle donne Lucha Y Siesta l’uso degli spazi di via Lucio Sestio, a Roma, e che saranno ora messi a bando. Esempio violento dell’attacco istituzionale ai luoghi di liberazione femministi e transfemministi, contro cui saremo ancora più rabbiosamente in piazza.
Proprio per questo, chiamiamo l’assemblea nazionale del 26 Novembre alla Casa delle donne Lucha Y Siesta.
La rivoluzione sarà transfemminista, o non sarà: Il transfemminismo è ingovernabile!