“Lo scontro di civiltà” non è quel che pensi

di Fabrizio Bertolami per comedonchisciotte.org

Huntington pubblica nel ’96 The Clash of Civilizations and the Remaking of World Order, divenuto in seguito un manifesto per una certa parte dell’estabilishment americano. Nel saggio l’autore sostiene che lo spazio politico abbandonato dalla dottrina comunista verrà riempito dagli effetti della risorgenza di fenomeni religiosi, di riscoperta etnica e di affermazione culturale dei paesi non occidentali(1).

L’Europa ex-sovietica e la Russia vedranno un ritorno del cristianesimo soffocato per decenni dai comunisti, la Cina risorgerà grazie a una forte crescita economica, gli Stati Uniti sperimenteranno una maggiore presenza delle lobbies religiose negli affari governativi e dei temi etici nel dibattito pubblico e il Medio Oriente assisterà alla crescita dell’Islam, libero di tornare a espandersi dopo aver assolto la sua funzione in chiave anticomunista.
Tutto ciò porterà con sé una pletora di nuovi problemi e di nuovi conflitti che da culturali potrebbero diventare anche militari. La rinascita dei movimenti religiosi in tutte le nazioni recherà con sé anche un acuirsi delle tensioni in quei paesi in cui vivono corpose minoranze islamiche come tutti quelli dell’area tra il Mar Caspio e il Mar Nero o in quei paesi del Medio Oriente che non gradiscono la presenza e il dominio americano nella regione.

Secondo Huntington, quindi, la Storia non è ancora finita poiché il modello democratico liberale pone molti dubbi sulla sua applicabilità in tutti e ogni contesto, in maniera indipendente dai presupposti culturali.

Tra le proposte alternative, vi è la Repubblica Islamica dell’Iran, ricca non solo di gas e petrolio ma anche di risorse culturali, che potrà divenire non solo un avversario ma potenzialmente un modello per altre forme teocratiche di governo in un’area molto vasta che va dal Libano alla Siria, dall’Azerbaijan all’Afghanistan.

Il centro dell’analisi di Huntington è che la cultura e le identità culturali stanno ridisegnando le forme di coesione, disintegrazione e conflitto nell’era post Guerra Fredda.

Egli sostiene la sua tesi articolandola in cinque punti (2):

  1. Per la prima volta nella storia la politica globale è sia multipolare sia multicivilizzazionale. Il processo di modernizzazione non è più a guida occidentale e non produce più una occidentalizzazione delle altre società né tanto meno porta allo stabilirsi di un’unica civilizzazione universale.
  2. Il potere tra le nazioni sta subendo un ribilanciamento e l’occidente sta soffrendo un declino di influenza sulla scena internazionale a favore sia delle società asiatiche che di quelle fondate sulla civiltà islamica.
  3. Sta emergendo un ordine mondiale fondato sulle diverse civiltà. Le nazioni al centro delle rispettive civiltà come la Russia per quella ortodossa e la Cina per quella sinica agiscono da centro di gravità per le nazioni la cui cultura è simile. Ciò determina un ambiente internazionale nuovamente fondato sulle sfere di influenza che però non sono più ideologiche, come negli anni del bipolarismo russo-americano, ma bensì di natura culturale.
  4. Le pretese universalistiche occidentali entrano in conflitto con i valori e la cultura affermata dalle altre civiltà. Questo vale in particolare per le nazioni
    islamiche e per la Cina. Si generano pertanto situazioni di conflitto nei paesi di confine tra le diverse civiltà e tensioni all’interno delle nazioni in cui la popolazione è divisa tra più culture, come nel caso dell’Ucraina (Huntington le definisce torn countries).
  5. La sopravvivenza dell’occidente dipenderà dalla volontà americana di riaffermare la propria identità occidentale e dalla capacità degli stessi occidentali di accettare la propria civiltà come unica e non universale. Ciò permetterà di respingere le sfide poste da parte delle società non occidentali e questo atteggiamento porterà con sé una riconsiderazione delle politiche multiculturali di diversi paesi europei.

In definitiva Huntington auspica che i vari leader mondiali sappiano accettare questo nuovo scenario multicivilizzazionale cooperando tra loro per evitare una guerra globale, ovvero quello scontro di civiltà che l’autore cita nel nel titolo del suo saggio.

Huntington individua nove forme di civilizzazione identificabili in base alla cultura e, in alcuni casi, alla religione prevalente(3). Esse sono:

  • Civiltà Occidentale
  • Latino Americana
  • Africana
  • Islamica
  • Sinica
  • Hindu
  • Ortodossa
  • Buddista
  • Giapponese

Huntington afferma che :

”le più pericolose forme di conflitto culturale avverranno lungo le linee di contatto tra le civiltà”(4)

e che le organizzazioni internazionali fondate su stati aventi un’affinità culturale, come ad esempio l’UE, possano avere più probabilità di riuscire di quelle che trascendono i valori culturali dei propri membri(5).
Inoltre, secondo Huntington, le persone non utilizzano solamente la cultura per definire la loro identità ma anche la politica. In questo secondo caso gli individui rappresentano sé stessi non in quanto facenti parte di un gruppo ma in opposizione ad un altro (6). Così come già affermato da Fukuyama, anche Huntington rileva come gli stati-Nazione restino attualmente i principali attori politici sulla scena internazionale.
L’autore rileva anche come l’architettura internazionale non sia più caratterizzata dalla ripartizione in due blocchi omogenei ideologicamente con l’aggiunta del blocco dei paesi non allineati. Il nuovo ordine mondiale sarà invece fondato sulle civiltà citate in precedenza.
Citando Henry Kissinger egli definisce cinque potenze maggiori, ciascuna di esse ritenuta centro (core) della rispettiva civilizzazione(7):

  • Stati Uniti
  • Europa Unita
  • Cina
  • Russia
  • Giappone


Le nove civiltà di Huntington

A queste va aggiunta probabilmente anche l’India . Il Giappone rappresenta in realtà un caso a sé stante in quanto la sua cultura è distinta da quella delle altre nazioni asiatiche. Inoltre esso viene usualmente ricompreso nella sfera politica dell’occidente.
Nel caso del continente europeo egli fa notare come la linea di frontiera rappresentata dalla cortina di ferro si sia spostata verso est di diverse centinaia di chilometri.
Questo spostamento la porta ora ad essere una linea di demarcazione tra l’occidente cristiano e l’oriente ortodosso o musulmano (8). Egli rileva anche come le differenze culturali tra le civiltà siano anche la fonte delle differenze nello sviluppo politico ed economico delle nazioni che le compongono(9).
Huntington si pone quindi il problema di come rappresentare questa nuova configurazione dei rapporti internazionali e lo fa
confutando quattro paradigmi apparsi al termine della guerra fredda:

  1. Un mondo:Euforia e armonia: E’ questo il paradigma proposto da Fukuyama nel suo celebre saggio . Huntington afferma
    che il mondo emerso dopo il 1990 è differente rispetto a quello precedente ma non necessariamente più pacifico o orientato verso l’armonia preconizzata euforicamente da Fukuyama(10).
  2. Due mondi; Noi contro loro: Huntington rileva come un simile paradigma possa essere in un certo senso più realistico a patto però di identificare correttamente i due gruppi contrapposti. La divisione più ovvia potrebbe essere tra nazioni ricche e nazioni povere (o sottosviluppate). Egli rileva però come le nazioni più povere manchino, appunto, di risorse economiche e militari per poter sfidare quelle più ricche. Anche a livello culturale l’opposizione non può manifestarsi poiché mentre l’occidente è culturalmente omogeneo (fatto salvo il Giappone) gli altri paesi non hanno nulla in comune che li possa far coalizzare saldamente. Pertanto anche una suddivisione tra occidente e oriente (così come definito da Edward Said nel suo celebre saggio Orientalismo(11)) non sia appropriata e sia meglio parlare di occidente ed il resto (the west and the rest) che almeno implica l’esistenza di molti non-occidente.
  3. 184 stati, più o meno: Una terza mappa del mondo post Guerra Fredda è quella disegnata dalla teoria realista delle relazioni internazionali . Questo paradigma fondato sulla permanenza delle entità statuali nella politica internazionale potrebbe essere quello che meglio descrive la situazione rispetto ai primi due ma soffre anch’esso di alcune importanti limitazioni. Esso assume che tutti gli stati percepiscano i propri interessi nello stesso modo e che nello stesso modo possano agire. In realtà valori, cultura ed istituzioni influenzano il modo in cui le nazioni definiscono i propri interessi.Inoltre anche norme ed istituzioni internazionali concorrono a formare e definire gli interessi nazionali. Stati con culture ed istituzioni affini avranno pertanto interessi comuni, come nel caso di nazioni aventi un ordinamento democratico (come detto in precedenza le nazioni democratiche non si combattono l’un l’altra). Egli afferma che sempre di più, nel mondo post Guerra Fredda, gli stati definiranno il proprio interesse in termini di civilizzazione. La fiducia, ad esempio, può costruirsi attorno ad una lingua comune, ad una religione condivisa, a valori ed istituzioni comuni. D’altro canto, però, gli stati soffrono anche di una crescente perdita di sovranità, funzioni e potere a favore di istituzioni internazionali che sottraggono loro il diritto ad imporre il proprio potere all’interno dei propri confini (12). Contemporaneamente è in atto una tendenza a demandare sempre più potere a strutture sub-nazionali interne agli stati quali regioni, provincie e altre entità politiche locali le quali possono arrivare a richiedere per esse una sostanziale autonomia o addirittura la secessione. Tutti questi sviluppi hanno portato molti studiosi ad abbandonare l’ottica dello stato visto come “palla da biliardo”(13) assunta sin dal trattato di Westfalia del 1648.Secondo Huntington l’emergenza di un sistema internazionale complesso e multi stratificato tende ad assomigliare maggiormente a quello in atto durante il periodo medievale.
  4. Caos assoluto: L’indebolimento degli stati e l’apparizione di stati falliti (Libia, Afghanistan, Somalia, ecc..) contribuisce all’immagine di un mondo diretto progressivamente verso l’anarchia. Huntington suggerisce che così come il paradigma precedente anche questo è abbastanza vicino alla realtà. Egli però afferma che il mondo non è totalmente senza ordine pertanto anche questo modello non può dirsi completo e utilizzabile per comprendere le reali dinamiche in atto a livello internazionale (14).

Ognuno di questi quattro paradigmi, pur descrivendo la realtà in maniera realista e plausibile, soffre ancora di limitazioni.
Sebbene sia possibile combinarli per ottenere un disegno più unitario è altrettanto vero che ognuno di essi, preso singolarmente, è incompatibile con gli altri (15).

Secondo Huntington descrivere il mondo in termini di 7 o 8 civiltà evita alcuni di questi problemi(16):

  • Le forze che lavorano all’integrazione sono reali e ciò che crea resistenza ad esse sono appunto forze di ordine culturale come nel caso dell’Islam o della Cina.
  • In qualche modo il mondo è diviso in due parti e la distinzione centrale è tra l’occidente e molti non-occidente.
  • Gli stati-Nazione sono e rimarranno gli attori più importanti negli affari internazionali ma i loro interessi, le associazioni possibili ed i conflitti tra essi saranno sempre più determinati da fattori culturali e legati alle diverse forme di civiltà a cui appartengono.
  • Il mondo è sicuramente anarchico ma i conflitti che rappresentano il maggior pericolo saranno quelli tra stati appartenenti a civiltà differenti.

A differenza di Fukuyama, che non pone un termine temporale al suo orizzonte interpretativo, Huntington realisticamente afferma che nessun paradigma è valido per sempre (17). Allo stesso modo in cui il paradigma bipolare rimase valido per quasi 70 anni esso divenne infatti obsoleto a partire dagli anni ’90. Al momento, però, un’interpretazione su presupposti di natura culturale può aiutare a distinguere ciò che è più importante da ciò che lo è meno.
Sulla scorta dell’esperienza vissuta da Slovacchia e Repubblica Ceca negli anni ’90, Huntington, in maniera retroattiva, afferma che un approccio basato sulle affinità di tipo culturale avrebbe potuto predire (e aiutare a gestire) tanto la frantumazione dell’URSS quanto quella della Jugoslavia o degli altri casi di instabilità avvenuti negli anni ’90 (18).

La maggiore preoccupazione di Huntington resta comunque il destino dell’occidente e della sua forma di civilizzazione.

Egli rileva come l’occidente abbia caratteristiche specifiche in termini storici, ma soprattutto culturali, rispetto alle altre civiltà (19). Tali caratteristiche sono la causa del processo di modernizzazione dell’occidente:

  • la separazione fra autorità spirituale e temporale, assente nelle tradizioni dell’Oriente ortodosso, dell’Islam, della Cina e del Giappone ma presente invece in quella indù (20).
  • lo stato di diritto, ossia il dominio della legge contro il dominio arbitrario delle autorità al potere (rule of law) ;

“La tradizione dello stato di diritto gettò le basi del costituzionalismo e della difesa dei diritti umani, diritto di proprietà incluso, contro l’esercizio arbitrario del potere. In gran parte delle altre civiltà il ruolo del diritto nell’educazione del pensiero e dell’azione umana è stato molto meno rilevante”(21).

  • il pluralismo sociale. Con tale espressione egli intende la formazione durante i secoli di associazioni di tipo diverso da quelle della famiglia e del clan. Tale tessuto diversificato di associazioni ha spesso agito limitando il potere assoluto dei governanti. Si tratta in sostanza della creazione di una articolata società civile distinta rispetto allo stato. “Tale pluralismo contrasta fortemente con la povertà della società civile, con la debolezza dell’aristocrazia e la forza degli imperi burocratici centralizzati esistenti contemporaneamente in Russia, Cina, nelle terre ottomane e in altre società non occidentali”(22).
  • i corpi rappresentativi, nati dal pluralismo sociale di cui alla voce precedente e sviluppatisi nella forma dei moderni parlamenti (23).
  • l’individualismo opposto al comunitarismo di stampo orientale (24).

Secondo l’autore la pretesa di estendere queste caratteristiche alle altre civiltà si caratterizza come una ideologia che l’occidente utilizza nel confronto con le altre culture per imporre la propria visione del mondo e quindi il proprio dominio.

Tale ideologia è il fondamento della teoria della globalizzazione e dell’illusione che una qualche forma di universalismo si stia imponendo nel mondo. Al contrario, Huntington, afferma che è in atto un processo di crescente auto-consapevolezza all’interno delle altre civiltà fondato sulle proprie, distinte, caratteristiche culturali. Tra queste un punto di primaria importanza è rappresentato dalla specificità religiosa che fonda il processo conosciuto come “ritorno del sacro”. Ciò rappresenta la risposta delle persone ad un mondo percepito come unificato ed unificante ed una reazione al tentativo dell’occidente di imporre i propri valori su quelli delle altre civiltà (25).

Huntington pertanto si pone all’opposto di Fukuyama quando afferma che:

“[Una] società che affermi che la storia sia finita è una società la cui storia sta subendo un declino” (26).

Egli afferma che l’occidente sia una civilizzazione che ha avuto un impatto enorme sulle altre civiltà a partire dal 1500 avendo inaugurato un processo di modernizzazione e industrializzazione divenuto mondiale. Le altre civiltà si sono quindi trovate ad essere succubi di questo processo o in competizione/resistenza ad esso. L’occidente si è sviluppato come una sorta di impero universale in forma di un complesso sistema di federazioni, confederazioni ed altri tipi di istituzioni cooperative che impersonano a livello civilizzazionale il suo impegno verso i valori democratici e pluralistici (27). In passato, altre civiltà, sono giunte al termine sia per la sfida posta da civiltà esterne sia a causa di una disintegrazione interna.
Huntington, comunque, afferma che sebbene certi sviluppi siano probabili nulla risulti inevitabile.

La questione centrale per l’occidente è quindi quella di sapere, o volere, fermare ed invertire il proprio declino (28).

Tra i segnali del declino occidentale l’autore elenca ad esempio aumento di atteggiamenti antisociali come l’uso di droghe, aumento del crimine e violenza generalizzata, il declino dell’istituzione familiare, un generale declino del capitale sociale (in America il processo è stato descritto da Robert Putnam in Bowling Alone del 200029) e dell’istruzione (30).
Tutti questi fattori contribuiscono ad un discredito agli occhi di altre civiltà come quella islamica o cinese che si tramuta in un atteggiamento di superiorità morale da parte di queste ultime.

Oltre all’attacco subito dall’esterno, l’occidente subisce contemporaneamente un indebolimento al suo interno a causa dell’elevata immigrazione proveniente dai paesi non-occidentali.

Il fenomeno è particolarmente accentuato nel caso dell’immigrazione musulmana in Europa e, di quella latino-americana negli USA (31). Nel caso dell’Europa l’immigrazione musulmana si somma ad una generale disaffezione nei confronti della religione cristiana, fondamento della propria civiltà. Huntington riconosce però che esiste un problema maggiore.

Parlando degli Stati Uniti egli rileva come il senso di identità nazionale, fondato sull’eredità culturale europea e sui principi politici di libertà, eguaglianza, democrazia, costituzionalismo e proprietà privata abbia subìto sempre più attacchi da parte di piccole frange, ma molto agguerrite, di intellettuali ed attivisti dei diritti civili (32).

In nome del multiculturalismo essi hanno contestato l’identificazione degli USA con la civilizzazione occidentale negando l’esistenza stessa di una cultura comune americana promuovendo identità culturali sub-nazionali fondate su elementi razziali e etnici (33).
Ciò che è peggio è che a partire dagli anni ’90, secondo Huntington, i leader americani hanno assecondato questa tendenza promuovendo la diversità anziché l’unità del popolo americano (34).

I multiculturalisti hanno anche sfidato l’elemento centrale della cultura americana, il diritto degli individui, sostituendolo con il diritto dei gruppi, definiti in termini di razza, sesso, etnia e preferenza sessuale. L’autore fa notare che nessuna Nazione così costituita possa durare a lungo in quanto società coerente: “Gli Stati Uniti multicivilizzazionali cesseranno di essere gli USA; essi diverranno le nazioni Unite”(35).
L’autore quindi si domanda:

“in un epoca in cui le persone definiscono se stesse in termini culturali, quale posto esiste per una società senza un nucleo culturale e definita solamente da interessi di tipo politico-elettorali?” (36).

Se gli Stati Uniti si de-occidentalizzeranno, l’occidente stesso si ridurrà alla sola Europa e a pochi altri paesi come l’Australia o la Nuova Zelanda.
Senza gli Stati Uniti l’occidente diverrà una piccola e sempre meno influente parte della popolazione mondiale abitante su una piccola penisola della massa euroasiatica e su isole distanti (37). Le risposte ed i rimedi da approntare per evitare questo scenario catastrofico sono quindi di ordine semplice ma stringenti (38):

  • Respingere le istanze multiculturaliste all’interno degli USA (e presumibilmente anche dell’Europa).
  • Rifiutare l’identificazione degli USA con l’Asia a livello internazionale.
  • Abbracciare nuovamente l’Europa in virtù delle comuni radici culturali.
  • Espandere le istituzioni occidentali come la NATO per includere le nazioni occidentali dell’est europeo.
  • Impedire un avvicinamento tra Russia ed Europa.
  • Creare una sorta di Comunità Atlantica che poggi su quattro pilastri (39):
  1. Difesa e sicurezza sotto l’egida della NATO.
  2. Credo condiviso nella democrazia parlamentare e nello stato di diritto.
  3. Supporto al libero mercato e al capitalismo liberale.
  4. Valori comuni fondati sull’eredità culturale europea a partire dalle radici greco-romane, attraverso il rinascimento per giungere sino ad oggi.

Huntington inoltre aggiunge:

“Se gli Stati Uniti e l’Europa sapranno rinnovare la loro vita morale, ricostituire la propria comune origine culturale e sviluppare forme di integrazione politica ed economica oltre a supportare vicendevolmente la propria sicurezza tramite la NATO, essi potranno generare una terza fase di ricchezza economica e influenza politica nel mondo”(40).

L’autore conclude affermando che un mondo in cui le differenze, e le affinità, culturali sono centrali nel definire le alleanze, gli antagonismi e le politiche degli stati, porta con se tre implicazioni per l’occidente in generale e per gli USA in particolare (41):

  1. I governi potranno costruttivamente alterare la realtà solamente se saranno in grado di comprenderla. Mentre gli europei sono stati più rapidi nell’interpretare questa realtà in mutamento, le élite americane non lo hanno ancora fatto. Esse continuano a perseguire un disegno che non tiene conto delle differenze fra le civiltà tentando di costruire un’architettura politica ed economica internazionale multiculturale che Huntington definisce “senza senso”(42).
  2. La politica estera americana è reclutante nell’abbandonare le politiche adottate durante la guerra fredda. La realtà di un mondo multicivilizzazionale suggerisce che la NATO debba essere allargata sino a ricomprendere tutte quelle nazioni occidentali che abbiano affinità culturali abbandonando al contempo l’alleanza, o la cooperazione, con quegli stati che non fanno parte della sua specifica area culturale ( Huntington si riferisce a Grecia e Turchia) (43).
  3. L’enfasi posta sulla superiorità della civiltà occidentale è eccessiva e fuorviante. Le popolazioni appartenenti alle altre “sfere culturali” non hanno intenzione di accettare acriticamente i valori e la cultura occidentale che, all’opposto, vengono percepiti sempre più come una forma di imperialismo.L’universalismo occidentale è pericoloso per il mondo in quanto può portare a guerre tra le nazioni “core” delle diverse sfere culturali. Esso è inoltre pericoloso per l’occidente in quanto può portare a una sconfitta dell’occidente
    stesso (44).

“[…] la civiltà occidentale è importante non perché sia universale ma in quanto unica [..] scopo dei leader occidentali non deve essere quello di imporre i propri valori alle altre nazioni ma al contrario di preservarli all’interno dell’occidente stesso. Questa responsabilità ricade principalmente sugli Stati Uniti”45.

In definitiva, Huntington, sostiene che per preservare la civiltà occidentale sia necessario (46):

  • Raggiungere una maggiore integrazione militare, politica e economica tra le nazioni occidentali e attuare politiche che impediscano ad altre civiltà di sfruttare le differenze tra loro per raggiungere i propri obiettivi.
  • Incorporare nella NATO e nell’EU gli stati dell’Europa centrale, le repubbliche baltiche, Slovenia e Croazia.
  • Incoraggiare l’occidentalizzazione dell’America Latina e l’integrazione nelle strutture politiche, militari e economiche occidentali.
  • Impedire o ridurre le capacità militari degli stati islamici e della Cina.
  • Impedire che il Giappone si avvicini alla Cina abbandonando l’occidente.
  • Accettare la Russia come “stato centrale” della civiltà ortodossa e il suo stato di Grande Potenza Regionale avente interessi legittimi nella sua sfera diinfluenza.
  • Mantenere la superiorità militare nei confronti delle altre civiltà.
  • Riconoscere che l’intervento occidentale negli affari delle altre civiltà è probabilmente la fonte maggiore di instabilità e di conflitto in un mondo multicivilizzazionale.

In sintesi le analisi di Huntington e Fukuyama differiscono tra loro principalmente nell’interpretazione che essi danno alla specificità della civiltà occidentale ed americana in particolare. Sebbene entrambi ritengano che l’occidente abbia una cultura distinta rispetto a tutte le altre, l’uno, Fukuyama, ritiene che essa sia superiore alle altre e che la sua esperienza storica la qualifichi per essere un modello per tutte le altre civiltà indipendentemente dai presupposti storico-culturali (one size fits all).
Huntington, al contrario, ritiene che la specificità occidentale debba essere salvaguardata e difesa più che essere esportata a forza, pena la sua sparizione in un mondo demograficamente più forte e culturalmente troppo diverso. La risposta, curiosamente è però la stessa: la centralità della NATO non può essere messa in discussione e essa deve anzi ricevere più attenzione da parte delle nazioni occidentali.

di Fabrizio Bertolami per comedonchisciotte.org

Articoli Precedenti:

L’Era della Geopolitica

Terra e conquista: idee in guerra

Mare contro terra: la storia infinita

Quando Brzezinski ordinò: alla conquista dell’Eurasia!

Francis Fukuyama e La Fine della Storia

Compendio:

Non avrai altra Propaganda che non sia la mia!

Note:

1 S. Huntington, The clash of civilizations and the remaking of World Order, Simon and Schuster,New York, 2011, p.20.
2 Ibidem
3 Ivi p.29
4 Ivi, p.28
5 Ibidem
6 Ivi, p.21
7 Ivi p.28
8 Ivi p.28
9 Ivi p.29
10 Ivi, p.31.
11 E. Said, Orientalismo, Feltrinelli Editore, Milano 1999.
12 Ivi p.32
13 Ivi p. 35 (vedasi anche F.Fukuyama, La Fine della Storia e l’Ultimo Uomo, Rizzoli, Milano 1992, p.264)
14 Ibidem
15 Ivi p.36
16 Ibidem
17 Ivi p.37
18 Ivi p.38
19 Ivi p.69
20 Ivi p.70
21 Ibidem
22 Ivi p.71
23 Ivi p.70
24 Ibidem.
25 Ivi p.68
26 Ivi p.301
27 Ivi p. 302
28 Ibidem
29 R. Putnam, Bowling Alone, Simon and Schuster, New York, 2000
30 S. Huntington, The clash of civilizations and the remaking of World Order, Simon and Schuster, New York, 2011, p.304
31 Ivi p. 305.
32 Ibidem.
33 Ibidem.
34 Ivi p. 306.
35 Ibidem
36 Ibidem
37 Ivi p. 307
38 Ibidem
39 Huntington segnala come nel 1995 l’EU abbia lanciato un progetto per “rinnovare” l’alleanza atlantica e la relazione con gli USA. Simultaneamente molti leader politici ed economici hanno
espresso un impegno a favore della realizzazione di un’area transatlantica di libero scambio non osteggiata dai leader dei maggiori sindacati americani.
40 Ivi p. 308.
41 Ibidem.
42 Ibidem.
43 Ivi p. 309.
44 Ivi p. 310.
45 Ivi p. 311.
46 Ivi p. 312.

Condividi questo contenuto...

Lascia un commento