Roberto Marini, delegato regionale del WWF Italia per la regione Toscana, è da sempre impegnato politicamente e socialmente sul territorio. All’età di 66 anni ha deciso di attraversare a nuoto lo stretto di Messina, una sfida con se stesso che ci porta a riflettere sull’importanza del mare e sul legame con l’uomo. Una testimonianza umana contro le insensatezze delle grandi opere e di una politica priva di etica e senso civico. Una linea rossa che unisce il disastro annunciato dell’alluvione di Prato, terra di origine e di vita di Roberto, e il disastro che potrebbe avvenire nella acque di Scilla e Cariddi.
Lo abbiamo intervistato.
Per quale motivo hai deciso di realizzare questa impresa che è attraversare a nuoto lo stretto di Messina?
«L’impresa nasce da una giusta propensione umana, la curiosità. Mi sono collegato ai gruppi locali che organizzano questa attività di tipo non agonistico. Si parte da Villa San Giovanni andando in barca con i pescatori, che approdano a Punta Faro e poi a nuoto si torna indietro. Bisogna poi dire che anche la mia attività di ambientalista mi ha portato a voler conoscere in modo chiaro il contesto. Nuotando in acqua profonda la sensazione di stare in mare aperto è particolarmente forte ed è un ulteriore sfida con se stessi, sapendo di poter contare solo sulle proprie forze».
Ma nella traversata eri da solo?
«No, al contrario, eravamo un piccolo gruppo di nuotatori, ognuno con il suo vissuto e motivi personali che hanno spinto a fare questa competizione, inoltre eravamo seguiti da piccole imbarcazioni che erano pronte a dare supporto a ciascuno di noi, ed infatti sono servite perchè, ironia della sorte, il vento di scirocco ci ha spinti leggermente fuori rotta, facendoci nuotare per oltre 6 chilometri invece che 3,5. Non tutti se la sono sentita di arrivare fino in fondo, ma se la prendi in tranquillità puoi farcela, ed io sono felicemente approdato proprio nella mitologica Scilla. É stata un’esperienza entusiasmante, e pensare che in quella occasione ero uno dei partecipanti più anziani. É un percorso che aiuta a rimettersi in gioco, molti dei partecipanti avevano anche problemi personali o disabilità ma dopo questa esperienza hanno recuperato autostima e quasi uno sblocco psicologico importante».
Accennavi anche alla tua curiosità di ambientalista; oggi lo stretto di Messina è sulla bocca di molti per il progetto del fantomatico ponte. Cosa ne pensi? Hai avuto modo di confrontarti con la popolazione locale?
«Io sono arrivato a Villa San Giovanni già conoscendo ampiamente il problema, che da tempo come associazioni ambientaliste approfondiamo. Parlandone con le persone del posto, tra le quali il proprietario della struttura ricettiva nella quale soggiornavo, ho verificato che tutti sono conviti che il ponte sullo stretto è inutile e dannoso, inoltre tutti sono convinti che l’opera non si farà mai. Ci saranno percorsi progettuali, espropri, ma poi l’opera non verrà mai conclusa. Mi è stato riferito che a livello progettuale, il ponte, una volta realizzato, non potrebbe essere percorso per molte settimane all’anno, a causa del fortissimo vento che renderebbe problematico il passaggio dei mezzi; a questo va aggiunto che le opere di accesso e uscita dal ponte sono gigantesche ed in pratica si entrerebbe sul ponte a molti chilometri di distanza dall’attraversamento e lo stesso vale per l’approdo in Sicilia, di conseguenza si allungherebbe notevolmente il viaggio a discapito di chi deve raggiungere Reggio e Messina, senza contare la distruzione del turismo che si perderebbe in tutta l’area. Non parliamo poi degli aspetti geologici e geofisici. Tutto questo a fronte di un servizio di raghetti che in brevissimo tempo riesce, anche in modo economico, a raggiungere la meta e che quindi è già funzionale. Ci sono molti comitati e associazioni che si stanno battendo, ma la sensazione che attraversa la popolazione locale è un misto di rassegnazione e di speranza cinica, nella consapevolezza che di mega progetti in Sicilia e al sud in generale ce ne sono molti che si sono visti solo sulla carta».
Tu vivi nella zona dove si è verificata la recente e distruttiva alluvione, ovvero la zona tra Firenze e Prato. In riferimento alle grandi opere e ai mega finanziamenti, vuoi parlarci dei pericoli che si potrebbero avere in futuro su questo tema e del nesso con il ponte sullo stretto?
«Innanzi tutto dobbiamo inquadrare l’area; la piana fiorentina è una valle fluviale ad altissima densità di popolazione, con notevoli problemi di inquinamento atmosferico, in particolare in inverno. È una piana che dovrebbe essere un parco, ma in realtà è un’area dove sono state realizzate già moltissime opere come il macro lotto di Prato, svincoli autostradali, l’area industriale dell’Osmannoro e capannoni a perdita d’occhio. Da tempo si parla di realizzare un parco che comprenda le ampie aree umide ricche di biodiversità, come l’Oasi di Focognano, un’area che complessivamente dovrebbe arricchire di natura e biodiversità la piana di Firenze e che avrebbe molteplici funzioni per la popolazione, in chiave però ecologica. Purtroppo assistiamo alla sfilata dei politici agghindati con le giacche della protezione civile, che però chiedono finanziamenti esclusivamente per riparare alle emergenze, o peggio, temo, per creare altre opere impattanti ed invasive come argini fluviali, escavazioni in alveo ecc. Si tratta di un’area alluvionale dove peraltro si continua a spingere per la realizzazione della nuova pista areoportuale, ch oggi sarebbe completamente sommersa dalle acque esondate; questa è ottusità politica. I cambiamenti climatici richiederebbero una urgente azione di tipo politico, come la modifica del piano territoriale regionale, la realizzazione di aree naturali di espansione dei fiumi, laddove si è cementificato in modo non consono occorrerebbe rinatularizzare. Non si tratta solo di una tragedia economica, ma anche di una tragedia umana con ben 8 lutti, e dunque urge fare una politica di adattamento con una diversa organizzazione del territorio. Purtroppo non c’è volontà politica. Basti pensare che per la realizzazione della nuova pista
areoportuale si dovrebbe addirittura spostare il fosso Reale, che in questa alluvione ha tracimato, dunque andare ancora una volta verso una ulteriore cementificazione e artificializzazione del territorio, che avrà poi le ripercussioni che possiamo immaginare».
Non resta che ringraziare Roberto per le lucide riflessioni che ci spingono ancora di più a mobilitarci, comprendere ed agire in difesa dell’ambiente e dell’etica umana.