In rete oggi sono comparse dozzine di articoli che ci ricordano la grande “carriera” criminale di Henry Kissinger. Dalla guerra del Vietnam all’assassinio di Allende, dai bombardamenti del Laos alla guerra dei desaparecidos in Argentina, non c’è crimine di guerra della storia moderna nel quale il nostro benemerito premio Nobel per la Pace non abbia messo lo zampino.
Ma Kissinger si è anche distinto per il suo pensiero fortemente “umanitario”: talmente umanitario da accarezzare spesso apertamente i confini dell’eugenetica. In proposito, ripubblichiamo un nostro articolo del 2005 relativo al memorandum NSM-200, detto anche “The Kissinger Report”. Un documento scritto da Kissinger nel 1974, e desecretato nel 1989.
NATIONAL SECURITY MEMORANDUM NSM-200
Il concetto è molto semplice: non ci sono abbastanza risorse al mondo per permettere a tutti di vivere in maniera decente? Invece di consumare di meno, e cercare magari di dividere più equamente quello che c’è, lasciamo morire un paio di miliardi di persone, e il problema non sussiste. Questa è l’essenza, nemmeno tanto velata, di un documento sulla crescita della popolazione mondiale voluto da Henry Kissinger nel 1974, noto come National Security Memorandum 200.
Nato ovviamente con intenti umanitari, esso corre perennemente su una linea di ambiguità che forse ai tempi poteva passare inosservata, ma che oggi sembra suggerire con chiarezza come le premesse di molti problemi attuali – AIDS ed Ebola in Africa, “tsunami” molto particolari, carestie interminabili, esperimenti di controllo meteorologico, ecc. – siano state gettate già trenta anni fa dal lungimirante Ministro degli Esteri di Richard Nixon. L’uomo che reclutava per la CIA i prigionieri nazisti da riciclare in America, l’uomo che firmò la condanna a morte di Allende e di trentamila desaparecidos (e che nello stesso anno vinceva naturalmente il Premio Nobel per la Pace), l’uomo che impose la fine delle “convergenze parallele” in Italia con il sacrificio di Aldo Moro, l’uomo che non sarebbe mai potuto diventare presidente, nelle sue stesse parole, “solo perchè non era americano”.
Ecco alcuni estratti del NSM-200, con nostra traduzione.
NATIONAL SECURITY COUNCIL
WASHINGTON, D.C. 20506 – April 24, 1974
Implications of Worldwide Population Growth
For U.S. Security and Overseas Interests
Per la maggior parte della storia umana, la popolazione mondiale è andata crescendo molto lentamente. Al tasso di crescita stimato per i primi 18 secoli dopo Cristo, ci volevano più di mille anni perchè la popolazione mondiale raddoppiasse di numero. Ma dall’inizio della rivoluzione industriale, con la moderna medicina e le nuove regole igieniche, negli ultimi duecento anni i tassi di incremento demografico hanno cominciato ad aumentare. Ai ritmi attuali, la popolazione mondiale sarà raddoppiata entro 37 anni.
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La crescita delle popolazioni avrà forti conseguenze sul bisogno di alimenti, specialmente nei paesi più sottosviluppati ed a maggiore crescita demografica. Presumendo normali condizioni meteorologiche, ed un trend di crescita di produzione simile a quello più recente, il prodotto agricolo globale potrebbe anche crescere più in fretta della popolazione, ma vi sarebbe comunque il grave problema della distribuzione del cibo e dei finanziamenti, che renderebbe comunque probabili delle carenze, perfino rispetto ai livelli minimi di oggi, nelle nazioni più grandi e maggiormente popolate. Già oggi muoiono ogni anno, a causa, diretta o indiretta, della malnutrizione, dai 10 ai 20 milioni di persone. La situazione potrebbe peggiorare ancora a causa dei mancati raccolti che si registrano ciclicamente.
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I paesi sottosviluppati più poveri e con un maggiore crescita demografica avranno delle grosse difficoltà. Essi troveranno sempre più difficile acquistare l’energia e le materie prime [di cui hanno bisogno], e nei primi anni faticheranno a procurarsi i fertilizzanti indispensabili alla loro stessa produzione agricola. Le importazioni di carburante e di altri prodotti causeranno gravi problemi che potrebbero ritorcersi sugli Stati Uniti, sia per la necessità di dare loro un supporto finanziario ancora maggiore, sia per i tentativi che questi paesi faranno per ottenere condizioni di mercato più vantaggiose, alzando il prezzo delle loro esportazioni.
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Le conseguenze politiche delle dinamiche in corso nei paesi sottosviluppati – crescita rapida, migrazioni interne, alte percentuali di gioventù, crescita lenta degli standard di vita, concentrazioni urbane, e spinte causate da immigrazione esterna – vanno a discapito della stabilità interna e delle relazioni internazionali dei paesi nel cui sviluppo gli Stati Uniti sono interessati, creando quindi dei problemi di natura politica, o addirittura di sicurezza nazionale, per gli Stati Uniti. Più in generale, c’è il forte rischio di danneggiare gravemente gli equilibri economici, politici ed ecologici mondiali, e quindi, con il decadere di questi equilibri, anche i nostri principi umanitari.
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La questione fondamentale su cui ruota la strategia demografica mondiale, oggi 1974, è se l’umanità rimarrà proiettata verso il totale previsto [per metà secolo 21°] di 12-15 miliardi – che significherebbe una crescita dalle 5 alle 7 volte per quasi tutti i paesi sottosviluppati, Cina esclusa – oppure se, nonostante l’attuale vitalità dell’incremento demografico, questo potrà essere deviato al più presto verso un corso di stabilizzazione, che comportasse un tetto finale di 8-9 miliardi al massimo, con una crescita in una qualunque delle grandi zone del pianeta non superiore alle tre-quattro volte.
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Quali sono le difficoltà? Noi non sappiamo se il progresso tecnologico nel 21° secolo ci metterà in grado di dar da mangiare a 8, nè tantomeno a 12 miliardi di persone. Non possiamo avere la certezza che mutazioni climatiche nel prossimo decennio non porranno grosse difficoltà a nutrire la popolazione in aumento, specialmente in quei paesi sottosviluppati che vivono in condizioni sempre più estreme e vulnerabili. C’è la possibilità effettiva che il corso attuale porti a delle condizioni [di sopravvivenza] di tipo malthusiano, in svariate regioni del mondo.
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Ma anche se queste grandi quantità di persone riuscissero a sopravvivere, di nuda e cruda sopravvivenza si tratterebbe, con tutti gli sforzi profusi, nelle annate migliori, a dare loro un sostentamento minimo, e nelle annate peggiori, a vederli dipendere drammaticamente da urgenti interventi di soccorso da parte delle nazioni più ricche e meno popolate. [Mentre] un impegno molto più vigoroso per rallentare la crescita mondiale potrebbe significare la differenza fra enormi catastrofi dovute a malnutrizione o carenza di alimenti, e una semplice situazione di difficoltà cronica.
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Una crescita moderata della popolazione offre vantaggi in quanto i beni risparmiati possono o essere investiti, oppure permettere un più alto standard di vita individuale [un maggiore consumo pro-capite]. Se diminuiscono i beni da accantonare per mantenere meno bambini, e i soldi previsti per costruire scuole, case ed ospedali vengono investiti in attività produttive, gli effetti sulla crescita del prodotto nazionale lordo e sul benessere individuale potrebbero essere notevoli. Inoltre, la crescita socio-economica risultante dalla limitazione delle nascite contribuirebbe ulteriormente al loro abbassamento. Il rapporto [fra benessere e bassa natività] è reciproco, e può prendere l’aspetto di un circolo sia vizioso che virtuoso. Questo porta a domandarsi quanto più efficaci possano essere degli investimenti diretti a controllare il livello della popolazione, piuttosto che non a incrementare la produzione con nuove irrigazioni, maggiore energia o numero di fabbriche.
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Le strategie e i programmi mondiali in campo demografico dovrebbero contemplare due obbiettivi primari:
a) interventi per permettere una crescita stabile della popolazione mondiale fino a 6 miliardi, per la metà del secolo 21°, senza deprivazioni massificate o mancanza assoluta di speranze di sviluppo, e
b) interventi per contenere il tetto massimo il più vicino possibile agli 8 miliardi, e non permettergli di arrivare ai 10, o 13 miliardi, o ancora di più.
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Dobbiamo stare attenti a non dare ai nostri interventi l’apparenza di giocare a favore di una nazione industrializzata contro quelle sottosviluppate.
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Vi è una diversa scuola di pensiero, che dice che un crescente numero di esperti ritenga la situazione demografica mondiale molto più grave, e molto meno addomesticabile con misure volontarie, di quanto generalmente si pensi. Si sostiene che, per evitare una insufficienza di risorse ed altre catasftrofi demografiche ancora maggiori di quelle previste, siano necessarie misure d’intervento ancora più radicali, che ci porteranno ad affrontare questioni di delicato ordine morale. Ciò include, ad esempio, [una revisione del]le nostre stesse abitudini consumistiche, pianificazioni obbligatorie, o uno stretto controllo sulle nostre risorse alimentari. Vista l’importanza di tali argomenti, se ne suggerisce al più presto una aperta valutazione da parte del ramo esecutivo, del parlamento, e delle Nazioni Unite.
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Oggi, a quasi 50 anni da quel documento, Henry Kissinger è morto. Se non altro, abbiamo una bocca in meno da sfamare.
Massimo Mazzucco