La dea cannibale

di Franco Pezzini

Chiara Daino e Ginevra Ballati, Dea Culpa. Breviario per l’Anima stanca, pp. 25, € 18,72 (versione Kindle € 8), UrsaMaior, Pistoia 2023.

Aviatica: degli avi, atavica. Il gioco per assonanza con aviaria mi garbò un monte sottendendo anche le ossa cave degli uccelli – ossa cave che battezzano anche il sito di Ginevra Ballati; la stessa Ginevra che, in sororale scherno, rise: «pensavo fosse alfa privativa e intendessi il senso di colpa senza viatico, senza soluzione». Meraviglia dell’essere ali diverse della stessa Arpia.

(da finali Marginalia e Noterelle)

Uno spettro si aggira per l’Europa, e sicuramente in Italia: lo spettro del senso di colpa. Senso di colpa che non ha nulla a che vedere con il vittimismo lamentoso di moda tra gli arroganti, anche nei palazzi del potere; e neanche con l’esame di coscienza o il pentimento per il male fatto – abbia l’esame connotati confessionistici o invece del tutto laici, ma con il prosieguo non accidentale del tentare una riparazione. Il senso di colpa – la cannibalizzante “Dea Culpa” del titolo – ha invece ben poco in comune con le categorie morali: è un sedimento dell’animo, spesso eterodiretto, incistato da educazioni manipolatorie, ricatti affettivi o morali, violenze psicologiche. Un’entità cieca e idiota come certe divinità di Lovecraft, e che però alligna nel caos che abbiamo dentro, segnando intere esistenze. È appena il caso di ricordare come le vittime del senso di colpa siano i soggetti più sensibili, non gli infamoni che sgomitano e di colpe ne avrebbero tante da sentire – ma tant’è. E le psicoterapie fan quel che possono.

La prima trascrizione mitologica del tema, lo sappiamo, riguarda Oreste che per aver ucciso la madre – Clitemnestra, assassina del marito Agamennone – viene inseguito dalle Erinni, demoni punitrici della colpa. Ovvio, in tal caso non si parla di bagatelle, c’è di mezzo un parenticidio, ma la vicenda (appunto) mitica va anzitutto letta in chiave simbolica, e l’assoluzione di Oreste nel processo all’Areopago grazie agli dei luminosi Atena e Apollo finisce col sottolineare l’esistenza di un complesso gioco di equilibri psicologici e sociali, di colpe stratificate a danno dei più giovani, di pesi di ricatti affettivi. Perché le Erinni si muovono contro Oreste e non, prima, contro Clitemnestra? Il senso di colpa, lo denuncia già il mito, è spesso a senso unico.

In genere la Dea Culpa resta saldamente insediata come Custode della soglia di scelte (di vita, di lavoro, di relazioni…) dove non ci siamo allineati alle attese altrui. Quando Aleister Crowley inalbera il suo “Fa’ ciò che vuoi” non parla banalmente di capriccio o licenza, come spesso è stato interpretato (anche sul filo, va detto, di incoerenze della sua vita): evoca la ricerca di una nostra vera volontà – il nocciolo duro dell’essere creature desideranti, di ciò che sentiamo necessario per noi, di ciò cui sembra giusto tendere per realizzare i nostri carismi. E non per subire i progetti degli altri, calati magari con le migliori intenzioni sulle nostre teste da agenzie educative e sociali: a imporsi alla “vera volontà” (o presentarsi come sua caricatura, in un sembiante peloso di libertà) è ancor oggi spesso quella dei genitori, del gruppo di appartenenza, eccetera. Ora, non ci sarebbe bisogno del beffardo Sgt. Pepper Crowley per portare avanti tale istanza di libertà & responsabilità, e per mettere a fuoco che imparare a desiderare – e desiderare bene – sia fondamentale. E-ducere richiama l’idea di tirar fuori quel che sta dentro, e non calare da fuori, magari sfiduciando capacità esistenti e sogni forti in nome di un realismo di corto periodo, o invece facendo pesare sui piccoli lentezze e ritardi adulti: e il tutto all’insegna di quel sentimentalismo che – ci ricorda Jung – è una sovrastruttura che copre la brutalità. Tanto più in un’Italietta dove ancor oggi occorre spiegare che mammismo e patriarcato finiscono con l’essere facce della stessa medaglia, così come lo sono il feticcio del vero uomo e l’ometto manipolatore e vittimista (no, generale: abbiamo davanti non il mondo al contrario, semplicemente un mondo vecchio e marcio, che continua a funzionare così, ma si spera di tirarlo giù). Occorre ancora spiegare tutto questo, se no non ci si arriva, proprio per una diffusa mancanza d’abitudine a una libertà responsabile – e, a monte, a un’educazione a ragionare.

L’ordigno di fine di mondo (copyright dottor Stranamore) brandito dal mondo vecchio è il senso di colpa. Come non sarebbe stato necessario per generazioni precedenti convocare a fini educativi Pierino Porcospino, così non lo era per la nostra ammonire i piccoli con frasi come “Pensa ai bambini del Biafra”, puntando il dito sulle relative terribili immagini. Non c’era bisogno, semplicemente, e restava (considerando l’uso di quegli infelici) almeno di cattivo gusto: ma il senso di colpa è terribilmente efficace, scava rapidamente – come i tarli – e permette all’Ordine d’incassare risultati. Poco importa a che prezzo.

E a questo tema è dedicato il bel volumetto qui presentato, un breviario organizzato in due parti: anzitutto due serie di testi affilatissimi e controllati, Preghiere Principali con sette liriche (Provvedi, premia, castiga: Patto di Dolore, Sorte dei miracoli, Endocardio Blues, eccetera) e Prediche Perpetue con sette omelie (Ma che colpa abbiamo noi?: Distinzione severa, La fistola di Kafka, La Nonna e il Macellaio, Epidemia Aviatica, eccetera); e due filoni di elaborazioni artistiche del tema (tra l’altro varate prima dei testi, con parallela e pari dignità, non di mere “illustrazioni”), con sette acquerelli e sette pittogrammi.

Nella mappatura del “senso di colpa in tutte le sue declinazioni, sfumature e manifestazioni” si tenta così un esorcismo di “pietà invisibili” e demoni sensibili: il tutto con lo scudo di quell’ironia (magari amara, ma altrove surreale e bambina) che tanto fa paura ai manipolatori, improvvisamente privati della dignità vittimista dei tiranni. A fianco di chi ha subito la violenza insufflante del senso di colpa, scende in campo Till Eulenspiegel. Ah, la retorica pelosa sulla solitudine del potere…

In dialogo col lettore, “l’Anima stanca enuclea il nocciolo di ogni umano patire, d’ogni troppo umano provare”: non appunto per ostentato vittimismo ma per “la comunione dell’anima silente senza amnistia” e “la fortuna della psichiatria”. Così per esempio in Reati Retroattivi, che mette in campo le accuse a chi svolga un’attività inutilmente culturale (Chiara Daino ha fatto studi classici, appassionandosi di lingue non immediatamente spendibili negli affari d’oggi, ed è stata attrice e cantante):

Apologia per l’anima mia stanca

chiedo venia a destra e a manca:

il senso pratico – del cilicio

[deprecor significa sacrificio]?

Basta mi penta in ginocchio sui ceci

per tutte balorde scelte che feci

sciolte – dal corpo, Teriaca del desco:

l’inutile greco! Non parlo tedesco;

scusate se non studiai medicina

se non canto per la sana autostima

s’in fabbrica non mi spacco la schiena

se il mio lavoro è una messa – in scena.

[…]

In Autoimmune e Barzellette, dove gli antichi traumi da sensi di colpa si confrontano con ricadute molto materiali:

[…]

Trentacinque anni dopo: «malattia autoimmune non diagnosticata» e finii tra i malati invisibili.

«Belin, lo dicevo NON FOSSE colpa mia».

«Le malattie autoimmuni, come le allergie, insorgono per un senso di colpa inespresso», tiè!

«Tutto per quel chilo di fagiolini che non mangiai a tre anni?»

O nei ricordi della nonna (Distinzione severa), una figura intensa che emerge anche altrove – assieme a memorie ben altrimenti grevi:

[…]

«Ricorda, Bambìn, che l’umanità si divida – alla grezza – in due: chi ha sofferto e TUTTO esige come dovuto risarcimento e chi ha sofferto e si sentirà in colpa anche per una risata. Purtroppo rientri nella categoria sbagliata, quella dotata di fantasia; priva di egotismi e zuppa di poesia». Mai dimenticai l’insegnamento di mia Nonna Greca, benché avessi soltanto cinque calendari sulla schiena.

MAI mi fece sentire in colpa perché non vissi atrocità della Guerra; voleva semplicemente insegnarmi: ringraziare e ridere; affrontare e assolvere.

Me stessa.

[E anche il mio stupratore].

O nel ritratto di un prete illuminato (Liturgia e Psichiatria), che non sta a un uso ricattatorio della catechesi:

«Cosa ne pensa del SENSO DI COLPA»?

«Che non devi rugare le gonadi alle divinità. Fiorisci dove sei piantata, stronza».

[Quanto mi manca Don Emanuele: m’aiutò più d’ogni strapagato professionista della psiche]

O nei dialoghi col padre (Ammenda e Comanda):

Reale è non sentirsi all’altezza e l’Autore deve fare ammenda come l’Alcolista [raddoppio le scuse, essendo la stessa persona: la sobrietà mi altera].

«L’insuccesso mi ha dato alla testa» e Flaiano canzonava, pescino.

Il senso di colpa è un ricordo bambino: «se il tuo papà si distrae o è stanco – il paziente muore. Se è stanco o si distrae un cuoco: brucia il sugo». Così il neurochirurgo pediatrico mi rimproverò con asprezza salomonica; ingrata io, io infame creatura di tre anni – affamata d’attenzioni.

[…]

Emblematiche invece, tra le immagini, quella della casetta sotto un grande arco di rovi, cilicio incombente, “naturale”, che la stringe dai due lati; del cuore dai colori acquei/lacrimali o piuttosto sclerotico/minerali, che volto in orizzontale evoca un pesce del profondo; della stella nera che danza sorgendo in apparenza da una fenditura nel ghiaccio; dell’osso tra due rovi come stuzzicadenti spinosi, o della falena tuffata a testa in giù.

Le autrici. Chiara Daino in arte Dama, attrice, cantante Heavy Metal e scrittrice coltissima e intensa con un’ampia e poliedrica produzione dallo stile immansueto, dal 2019 al 2023 ha ristampato i suoi primi volumi (La Merca; Virus 71; Metalli Commedia). Tra le altre pubblicazioni: Gloria (Gattili, 2020); Siete Dei (Leggio, 2016); e il bellissimo Siamo soli – morirò a Parigi (alla Perec: Zona, 2013). Editor e prefatore, dal 2013 collabora continuativamente con le edizioni abrigliasciolta. Un suo precedente lavoro, 5 marzo. Il “rigore” di Pasolini (pubblicazione indipendente, 2022), abbinava già testi suoi a tavole di un artista eccellente – in quel caso Tiziano Riverso – con risultato splendido.

Ginevra Ballati, artista e illustratrice, lavora nell’ambito della didattica dell’arte e dell’educazione museale, seguendo progetti per conto di enti pubblici e privati tra Toscana e Emilia Romagna. Ha illustrato libri per bambini (fiction e non), libri di poesia, riviste, manifesti pubblicitari. Tra le ultime pubblicazioni: Gioco (Domitilla Pirro, effequ, 2022); Fiabe di ieri, oggi (Sibilla Santoni, Etrù, 2020); Libro di Hor (Francesca Matteoni, Vydia, 2019). La sua produzione vede tavole brulicanti di animali in ambientazioni surreali (come un Ghoul vagamente lovecraftiano, 2021, Isola verde, 2023, con un piccolo mammifero in riposo sopra un teschio fluttuante, la serie delle Mucche, il magnifico Nessie in the sky with diamonds, 2023, dove il mostro del lago scozzese lo solca sereno sotto un cielo radiante di stelle), di situazioni morbidamente oniriche, di oggetti e frutti in continui giochi di prestidigitazione.

Le collaborazioni tra autori sono sempre una buona notizia, permettono ai lavori una marcia in più e presentano il valore aggiunto di un dialogo tra arti diverse che fa bene a tutti. In questo caso il tema di un ingombrante senso di colpa per impatto patito (le allusioni restano vaghe anche se spesso comprensibili, ma i dettagli biografici non sono così importanti) ha avvicinato in un progetto comune due autrici dall’esigente interiorità e dalla scintillante, ironica fantasia. Fino alla presa d’atto (Reati Retroattivi) che

[…]

non ho amici non ho avversari

ho compagni di cella lapidari:

«il senso di colpa dona reflusso;

non siamo che dei – fossili di lusso».

E quanto al lascito manipolatorio (Esergo Rapace), “Il Biafra rima solo con se stesso”, come chiarisce una notula finale:

Biafra: «non sapevamo dove fosse Sondrio, ma conoscevamo la capitale del Biafra». Stefano Piffer riassunse le colazioni della nostra generazione: marmellata di sensi di colpa spalmati su pane tostato. Rifiutando mangiare le trippe assassinammo asili nidi africani; diventando anoressici – ci guadagnammo inferno.

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