Tra ricordo e continuità. Ciao “Cattivo Maestro”

Questo testo scaturisce dai pensieri privati e condivisi, di due giovani militanti che si sono trovati a vivere il ricordo di qualcosa di grande. Un flusso di considerazioni e pensieri che, ci possono permettere di parlare di un io comprensivo di due esperienze, empiricamente divise come le nostre due persone, ma spiritualmente connesse dall’oggetto del nostro pensiero e dagli strumenti utilizzati per comprenderlo.

Da quando siamo ritornati a Padova ho ripensato molto spesso al funerale di Toni e più lo faccio più mi convinco di aver assistito – e in qualche forma partecipato – a un evento estremamente poetico. Poetico nella forma, potente del contenuto.

Qualche minuto prima delle tre, ci chiamano a gran voce dalla scalinata della cappella “Avanti, entrate!”. Questa semplice frase mi ha permesso di ignorare le differenze percepite inizialmente fra me e le altre compagne di trasferta ma anche la moltitudine di filosofi, pensatori, militanti politici venuta a salutare Toni; mi ha permesso di sentirmi legittimato, alla pari di tutte quelle grandi persone, con le loro incredibili esperienze e sterminata cultura, a prendere parte a quella che di fatto è stata un’assemblea, partecipata dalle tante espressioni e forme di lotta che grazie a Toni e al suo lavoro sono nate o si sono trasformate.

Un’assemblea, non un momento di puro cordoglio, ma un attimo nello spazio di unione fra dolore e speranza, fra riposo e lotta, il grande e profondo respiro prima di un montante dal basso, accompagnato dalla melodia (tutt’altro che monotona) dell’ouverture de Il Flauto Magico di Mozart, che Nina ci ha offerto, regalandoci l’emozione di ritrovarci tutti lì, pensando Toni “ciascuna e ciascuno a modo suo”.

Un’assemblea radunatasi per la grande forza, creativa e positiva, che una singolarità come Toni Negri esercitava su tutto, anche quando quest’ultima scompare, lasciando da soli, ma tutti assieme, familiari, studenti, navigatori, militanti e professori universitari, dimostrando in sostanza ciò che ci ha detto Judith Revel, salutando suo marito “Toni era un uomo di tutti, Toni era un uomo comune”. 

E come ogni assemblea che si rispetti, una volta finita, andiamo tutti insieme a bere in un semplice locale di Parigi. Inconsueto per una cerimonia funebre, di sedersi ad un tavolo e un bicchiere di vino rosso alla volta, ridere insieme. Mi trovo all’interno di una celebrazione originale della morte, che rimanda per certo all’insolenza di Toni verso i rituali di potere. Così al tavolo, una cerimonia gioiosa di vissuti prende atto e io, noi, assistiamo e osserviamo e partecipiamo alla gioia, ascoltando il coro profano.

Per molte ore questo rituale prosegue, la sua potenza poetica e politica si dispiega e si imprime. 

Negli anni, seppur pochi di militanza, ho sentito compiersi in me, un gradino alla volta, un processo emotivo e reale di giustificazione della scelta di vivere la partecipazione politica. Quella sera il gradino è stato alto, fondante e fondamentale. L’ascolto del passato, le riflessioni sul presente, gli occhi delle persone che hanno fatto la tua stessa scelta, colmi di speranza; occhi che magari hanno scritto le pagine che leggiamo per capire e incidere sul mondo. É il progetto d’amore di cui parlava Toni, è lo sguardo, è la scelta collettiva. 

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