La Giornata della memoria pone, quest’anno più che mai, un inevitabile grumo di questioni che è bene affrontare partendo da alcuni dati, numeri e fatti. Provo a riportarli nella maniera più semplice e diretta, pur cercando di rendere la complessità delle questioni.
La Shoah è stato l’unico genocidio?
No, la Shoah non è stato l’unico genocidio e la definizione di genocidio si adatta ad eventi che differiscono molto nelle dimensioni e nelle modalità della Shoah. La definizione di genocidio sancita nella Convenzione sul genocidio redatta dalle Nazioni Unite nel 1948 è questa:
«Per genocidio si intende ciascuno degli atti seguenti, commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, come tale: a) uccisione di membri del gruppo; b) lesioni gravi all’integrità fisica o mentale di membri del gruppo; c) il fatto di sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale; d) adozione di misure miranti a impedire nascite all’interno del gruppo; e) trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo a un altro”)». Enciclopedia delle scienze sociali Treccani (1994)
Rientra pertanto nella categoria del genocidio il fatto di danneggiare (in maniera letale o meno) i membri di un gruppo definito su base etnica, religiosa, nazionale o “razziale”, colpendoli non per le loro azioni perché sono semplicemente membri di quel determinato gruppo. Pertanto il concetto di genocidio si applica ad una pluralità di situazioni anche molto diverse dalla Shoah. Per quanto ne so si adatta (quantomeno come “concreto rischio di genocidio”) a quanto sta accadendo a Gaza. Mentre trovo sbagliato dire: “il genocidio di Gaza è come quello della Shoah”, perché parliamo di un contesto completamente diverso, di modalità, dimensioni, eccetera completamente diversi. Questa è ovviamente un’analisi storica, basata sia sulla comparazione che sull’analisi delle differenze tra i fatti storici.
Altra cosa è la memoria. La memoria non è la storia, non è il tentativo razionale di ricostruire i fatti, ma il ricordo pubblico e privato degli stessi conservato da singoli o gruppi umani. Pertanto essa è sempre irrazionale, emotiva e parziale. Nella memoria ogni vittima ha il proprio peso nell’animo di chi la ricorda e questo non è comparabile, contestualizzabile, razionalizzabile in alcun modo.
Pertanto un conto è ricostruire e narrare i fatti storici con le loro unicità e affinità, altro stilare una sorta di “classifica” delle vittime decidendo quali hanno più diritto alla memoria di altre o, al contrario, trasformare l’eguale diritto alla memoria in parificazione tra fatti storici diversi.
La Shoah è stata un genocidio come gli altri?
No, la Shoah ha avuto caratteristiche uniche. Negli anni Ottanta del XX secolo alcuni storici conservatori tedeschi (Nolte, Hillgruber, eccetera) provarono a sostenere la tesi secondo cui le purghe staliniane e i Gulag sovietici erano parificabili alla Shoah. Io trovo perfetta la risposta a queste tesi che diede Primo Levi nel 1987:
«Che “il Gulag fu prima di Auschwitz” è vero; ma non si può dimenticare che gli scopi dei due inferni non erano gli stessi. Il primo era un massacro fra uguali; non si basava su un primato razziale, non divideva l’umanità in superuomini e sottouomini: il secondo si fondava su un’ideologia impregnata di razzismo. Se avesse prevalso, ci troveremmo oggi in un mondo spaccato in due, “noi” i signori da una parte, tutti gli altri al loro servizio o sterminati perché razzialmente inferiori.
È bensì vero che nei Gulag la mortalità era paurosamente alta, ma era per così dire un sottoprodotto, tollerato con cinica indifferenza: lo scopo primario, barbarico quanto si vuole, aveva una sua razionalità, consisteva nella reinvenzione di un’economia schiavistica destinata alla “edificazione socialista”. […]
Neppure dalle pagine di Solzenicyn, frementi di ben giustificato furore, trapela niente di simile a Treblinka e Chelmno, che non fornivano lavoro, non erano campi di concentramento, ma «buchi neri» destinati a uomini, donne e bambini colpevoli solo di essere ebrei, in cui si scendeva dai treni solo per entrare nelle camere a gas, e da cui nessuno è uscito vivo. […]
Nessuno ha mai attestato che nei Gulag si svolgessero “selezioni” come quelle, più volte descritte, dei Lager tedeschi, in cui con un’occhiata di fronte e di schiena i medici (medici!) SS decidevano chi potesse ancora lavorare e chi dovesse andare alla camera a gas. E non vedo come questa «innovazione» possa essere considerata marginale e attenuata da un “soltanto”. Non erano una imitazione “asiatica”, erano bene europee, il gas veniva prodotto da illustri fabbriche chimiche tedesche; e a fabbriche tedesche andavano i capelli delle donne massacrate; e alle banche tedesche l’oro dei denti estratti dai cadaveri. Tutto questo è specificamente tedesco, e nessun tedesco lo dovrebbe dimenticare; né dovrebbe dimenticare che nella Germania, nazista, e solo in quella, sono stati condotti a una morte atroce anche i bambini e i moribondi, in nome di un radicalismo astratto e feroce che non ha uguali nei tempi moderni». Primo Levi. Buco nero Auschwitz. La Stampa 22 gennaio 1987, ripubblicato on line nel 2017.
Trovo questa risposta illuminante perché illustra bene le caratteristiche specifiche e uniche della Shoah. Caratteristiche che appartengono non alla sfera della memoria, ma a quella della storia e che emergono anche dal destino delle persone deportate dall’Italia in quanto categorizzate come “di razza ebraica” (ovvero potevano essere anche non credenti o convertiti al cristianesimo, per i nazisti e i fascisti restavano “ebrei”). Il sito della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea riporta la Statistica generale degli ebrei vittime della Shoah in Italia 1943-1945. Essa riporta che le persone identificate in quanto “ebree” dai nazifascisti furono 7.579, delle quali 451 riuscirono a salvarsi, 322 morirono in stato di detenzione in Italia e 6.806 vennero deportate nei lager nazisti. Di questi 6.806 deportati, gli assassinati furono 5.969, i bambini deportati furono 733, quelli assassinati nei lager 612. Ecco, credo che queste cifre, riferite ad una piccolissima parte delle vittime della Shoah, facciano capire al meglio l’unicità del sistema di sterminio nazista.
Vi è poi un altro aspetto di quello che scrive Primo Levi che rappresenta un’importante intuizione storiografica: la Shoah è stata il punto d’arrivo della modernità capitalista e statalista, con il suo razzismo e la sua organizzazione industriale. La Shoah poteva essere commessa solo dalla borghesia europea e da nessun altro.
La Shoah quindi come si collega con gli altri genocidi della modernità capitalista e statalista?
Possiamo dire che la Shoah è unica ma non è sola. È il punto d’arrivo di tutti i genocidi commessi nell’ambito della modernità capitalista e statalista dal XV secolo in poi, è il punto d’arrivo di una pratica di metodica e costante persecuzione iniziata nella Spagna di fine XV secolo con la cacciata di ebrei e mussulmani, proseguita nello sterminio e sfruttamento di tutti i popoli colonizzati, nella tratta degli schiavi dall’Africa, nel tentativo di annientare l’avanguardia organizzata della classe lavoratrice. Hitler voleva creare un grande impero coloniale nell’Europa centro-orientale nel quale i tedeschi “ariani” sarebbero stati i padroni e tutte le altre popolazioni ridotte in schiavitù o sterminate, voleva distruggere l’Unione Sovietica e gli ideali socialisti, voleva eliminare tutte le “vite indegne di essere vissute” (cioè le persone con disabilità), voleva soppiantare le religioni monoteistiche con il culto della forza e della “purezza razziale”.
Lo sterminio degli ebrei inizia sistematicamente nel 1941, nei territori sovietici invasi dai nazisti, iniziò all’interno dello sterminio di 27 milioni di cittadini e cittadine sovietiche; si sistematizza utilizzando per gli omicidi i gas venefici, già usati per uccidere le persone con disabilità; raggiunge il culmine dell’ “efficienza” ad Auschwitz, dove i deportati e le deportate venivano divise tra chi poteva lavorare e chi era considerato “inutile” e quindi inviato subito alle camere a gas e ai forni crematori.
Tutto questo è stato unico, ma è stato possibile perché già prima c’erano stati secoli di colonialismo e razzismo e solo perché in quel momento era in corso la guerra razzista e anti-comunista di Hitler contro l’Unione Sovietica. Insomma la Shoah non cade dal cielo, non si può dimenticarne l’unicità ma neppure isolarla dal “prima” e dal “dopo”, non si può considerarla “a parte” e neppure come qualcosa che riguarda solo gli ebrei e i nazisti. La Shoah è unica, ma è quello che lo stato-nazione e il capitalismo hanno potuto fare dispiegando pienamente sé stessi. Per questo la Shoah non và messa in contrapposizione con gli altri genocidi del capitalismo e dello stato-nazione (precedenti e successivi) nè vista in maniera a-storica come se non c’entrasse nulla con essi, ma vista piuttosto come un fatto unico che si trova all’interno di un dispiegarsi di fatti in continuità.
Sul rapporto tra Shoah, genocidi coloniali e stermini nazisti in generale vale la pena di leggere il libro di Enzo Traverso La violenza nazista, una genealogia (Bologna: Il Mulino, 2010) e il suo articolo Olocausto e memorie anticoloniali del 11 giugno 2022 su Jacobin.
Quale è la storia del razzismo in Italia e come questa storia intreccia quella della Shoah?
I combattenti e le combattenti del risorgimento italiano erano animati da ideali democratici e repubblicani, in qualche caso già proto-socialisti. Garibaldi e Mazzini erano apertamente internazionalisti e anti-razzisti. Ma, grazie soprattutto all’azione delle classi possidenti e delle potenze straniere, la monarchia dei Savoia, ha potuto impadronirsi del risultato delle sollevazioni risorgimentali e costruire uno stato monarchico, accentratore, classista e colonialista. Lo stato borghese italiano prese come propria ideologia ufficiale il nazionalismo comune a tutte le potenze europee dell’epoca e per essere considerato al pari di esse iniziò una serie di aggressioni coloniali: Eritrea, Etiopia, Somalia e Libia. A queste decisioni dei governi, l’avanguardia organizzata delle classi lavoratrici italiane si oppose con una combattività e una solidarietà internazionalista che non ebbe eguali in nessun paese europeo, così come si oppose alla Prima guerra mondiale imperialista.
Di fronte alle lotte della classe lavoratrice, la borghesia italiana fu costretta a gettare la maschera “liberale” e a consegnare il paese al fascismo, ovvero all’alleanza tra grande capitale e ceti medi organizzata in un regime totalitario. Questo regime portava il precedente nazionalismo alle estreme conseguenze, perseguitando sia l’avanguardia organizzata della classe lavoratrice che le minoranze di lingua tedesca, slovena e croata. Per buona parte del regime fascista la discriminazione fu ideologica e culturale/linguistica, non “razziale”, tant’è che la comunità ebraica italiana si divise tra fascisti, indifferenti e antifascisti, esattamente come il resto della popolazione.
La natura criminale del regime fascista si espresse con particolare ferocia contro i popoli colonizzati. Nel 1929-1931 si consumò la deportazione di massa delle popolazioni della Cirenaica (in Libia), che costò almeno 40.000 vittime. Nel 1935-1941 vi fu l’invasione e l’occupazione dell’Etiopia, che fece almeno 350.000 vittime. Proprio a partire dai crimini coloniali il regime attuò una svolta in senso apertamente razzista: nel 1937 furono varate le leggi razziali che discriminavano le popolazioni dell’Africa Orientale, a cui seguirono nel 1938 quelle contro le persone di origine ebraica. Il legame tra colonialismo e leggi razziali venne pubblicamente rivendicato da Mussolini nel corso del suo discorso del 18 settembre 1938 a Trieste. Sul tema può essere interessante vedere la mostra on line La persecuzione degli ebrei in Italia 1938-1945 della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea.
Con l’ingresso del Regno d’Italia nella Seconda guerra mondiale al fianco della Germania nazista la condizione delle persone discriminate in quanto ebree peggiorò, mentre il regime commetteva nuovi eccidi e deportazioni in Grecia e Jugoslavia. Di fronte alle disfatte sui campi di battaglia, il 25 luglio 1943 il Re fece arrestare Mussolini e l’8 settembre rese pubblica la resa del Regno d’Italia agli anglo-americani. Il paese venne immediatamente invaso dai nazisti che liberarono Mussolini e lo misero a capo di un regime fantoccio. Ebbe così inizio la lotta di liberazione contro gli invasori tedeschi e i traditori fascisti. Non solo il regime fascista ordinò l’arresto di tutte le persone schedate come ebree e la loro reclusione in campi di concentramento, dove furono consegnati ai nazisti, ma i suoi sgherri eseguirono l’arresto di almeno 1.951 uomini, donne e bambini ebrei destinati alla deportazione e allo sterminio (leggi qui).
Vennero deportati nei lager anche 23.000 partigiani e partigiane, lavoratori e lavoratrici in sciopero o presi a caso per alimentare l’economia schiavile nazista, di essi ne morirono circa 10.000. Vennero deportati anche più di 600.000 militari italiani, che al 90% scelsero di rimanere nei lager piuttosto di tornare a combattere per Mussolini.
In questa situazione drammatica di guerra e persecuzione una parte consistente della popolazione italiana, grazie all’esempio delle forze della Resistenza, iniziò a liberare sé stessa da vent’anni di lavaggio del cervello fascista e a partecipare alla lotta. Non solo ci fu il sostegno alle formazioni partigiane, ma anche una vastissima solidarietà che mise in salvo la maggioranza della comunità ebraica italiana, a fronte di 6.806 ebrei deportati se ne salvarono circa 22.000, grazie all’aiuto della Resistenza, della Chiesa, di tante persone comuni e anche grazie al rifiuto di molti poliziotti e carabinieri di eseguire gli ordini di nazisti e fascisti.
Non si può pertanto dire “italiani brava gente”, abbiamo una storia non solo di oppressione ma anche di crimini coloniali e complicità diffusa con il regime fascista, ma neppure si può applicare il concetto di “colpa collettiva”. Attraverso passaggi complessi e contraddittori il grosso della popolazione italiana alla fine sostenne la Resistenza e salvò i perseguitati.
Solo pochi traditori fascisti furono quindi direttamente complici della Shoah, così come prima solo un numero relativamente limitato sul totale della popolazione aveva preso parte ai crimini coloniali. Si trattava spesso delle stesse persone. Il generale Rodolfo Graziani fu infatti responsabile delle deportazioni in Cirenaica e dell’impiccagione di Omar Mukhtar, autore di rappresaglie e massacri in Etiopia, comandante dell’esercito del regime fantoccio tra il 1943 e il 1945 e quindi responsabile dell’assassinio di resistenti e complice della Shoah. I partigiani non riuscirono ad eliminarlo e la “giustizia” borghese lo rimise in libertà appena 5 anni dopo la fine della guerra, consentendogli anche di divenire presidente onorario di un partito i cui eredi oggi governano l’Italia.