Educare alla repressione: la scuola che vorrebbe Valditara

Ad Acerra, l’8 gennaio il collettivo de Liguori ha occupato la propria scuola per porre in luce il biocidio che da anni devasta la Terra dei Fuochi, causa di tumori e altre malattie mortali tra Napoli e Caserta. Il 31 gennaio sono state consegnate delle lettere che comunicavano la sospensione a settanta studentɜ, alcune di tre giorni e altre di cinque, in base a chi era stato identificato come “semplice” occupante e chi come “promotore”.

A Roma, nella notte tra il 4 e il 5 dicembre nove scuole sono state occupate dai rispettivi collettivi.

​Al Liceo Tasso venti giorni dopo arriva la risposta del preside: per lɜ centosettanta studentɜ che avevano deciso di autodenunciarsi in quanto occupanti sono stati disposti dieci giorni di sospensione, attività socialmente utili e 5 in condotta nella pagella di fine trimestre, proposta acclamata anche dal Ministro dell’Istruzione e del Merito Valditara.

Al Liceo Virgilio invece la preside ha deciso di dividere lɜ studentɜ per diversi gradi di partecipazione all’occupazione: chi l’ha rivendicata per la prima volta ha ricevuto “solo” un avviso scritto, per “i recidivi” che avevano già partecipato lo scorso anno sono stati organizzati duecentottantasei consigli di disciplina, di cui sei per coloro che sono statɜ individuatɜ come organizzatorɜ che rischiano fino a quindici giorni di sospensione.

Al Liceo Visconti sono stati rimossi da ogni classe i viaggi d’istruzione e le ore di PCTO svolte in orario scolastico verranno contate come vere e proprie assenze.

Al Liceo Mamiani trentaquattro studentɜ hanno ricevuto una convocazione a dei consigli di classe straordinari poiché ritenutɜ responsabili dell’occupazione, non riconoscendola come un atto politico agito da una comunità ben più ampia.

A Modena uno dei rappresentanti dell’Istituto Barozzi, intervistato a proposito di alcune criticità della propria scuola durante uno sciopero a novembre, pochi giorni fa ha ricevuto notizia di una sospensione di dodici giorni, perché le sue dichiarazioni risultavano diffamatorie al Consiglio d’Istituto.

Dulcis in fundo i provvedimenti presi al Liceo Severi Correnti di Milano, a seguito dell’occupazione iniziata il 30 gennaio scorso in solidarietà al popolo palestinese. Più di ottanta studentɜ erano già statɜ identificatɜ e denunciatɜ durante i giorni di autogestione, di cui cinquanta ieri sono statɜ singolarmente convocatɜ per un interrogatorio, rischiano ora fino a quindici giorni di sospensione e quindi la bocciatura. In questa occasione il Ministro Valditara ha preso la palla al balzo andando in visita all’istituto milanese, a cui è seguita una dichiarazione in cui sostiene che «studenti di questo tipo (che occupano) non possano essere promossi all’anno successivo».

Alla luce dei provvedimenti disciplinari utilizzati a seguito di una serie di occupazioni in diverse scuole d’Italia, vogliamo esprimere con forza quanto sia inaccettabile la risposta messa in atto dai presidi e dalle figure di autorità delle scuole coinvolte.

Da Napoli a Roma e infine Milano: provvedimenti che vanno dalle sospensioni all’eliminazione di viaggi d’istruzione, fino alla revoca degli spazi concessi ai collettivi studenteschi. Il tutto avviene tramite collegi docenti eccezionali nei quali la voce studentesca viene sistematicamente silenziata. Una sorta di “ stato d’eccezione” applicato al mondo della scuola.

Le mobilitazioni sono state animate dalle rivendicazioni più variegate, a dimostrazione della volontà studentesca di immaginarsi una scuola e un futuro differente in maniera complessiva.

L’ipocrisia di presidi e docenti avanza di fronte alle richieste mosse da giovani che dalla loro nascita “convivono” con la crisi climatica, sono sempre più immersi in una precarietà non solo lavorativa ma esistenziale e sono costretti a vivere quotidianamente luoghi del sapere acritici e contaminati da discriminazioni: esiste un rabbia ancora inesplosa, che sta iniziando a dilagare in ogni scuola.

Viene nuovamente dimostrato che l’idea di scuola canonica non comprende la possibilità di un interscambio di idee, di una formazione che lasci spazio all’innovazione culturale e didattica. È folle pensare a come questa scuola accolga solo coloro che sono prontə ad abbassare la testa e accettare le ingiustizie che avvengono dentro e fuori le mura scolastiche.

Gli spazi di cultura sono fatti per stimolare e per fornire gli strumenti necessari per comprendere la complessità del mondo e di conseguenza anche le criticità e contraddizioni contenute in esso. Studiare, leggere, informarsi, dovrebbero essere azioni mosse dalla volontà di scoprire il presente per migliorare il futuro, ma sono ormai azioni che si limitano all’obiettivo di ricevere un voto. Non ci dobbiamo sorprendere come la diretta conseguenza di questa consapevolezza sia il dissenso, insieme alla volontà di mobilitarsi e mettersi in gioco: ma sempre più spesso le nuove generazioni sembra possano essere messe a tacere con la forza, e le loro conoscenze limitate per paura che possano sfociare in processi di movimentazione sociale.

Da questa situazione viene rivelato anche come i viaggi di istruzione, pensati per ampliare la nostra cultura e la nostra curiosità di scoprire il mondo, sono in realtà un premio per studentə meritevoli e la prima carta per un meschino ricatto.

Si palesa l’ipocrisia di una scuola che ci chiede di prendere parola, di far sentire i nostri bisogni e prendere spazio, ma con cautela perché si potrebbe diventare scomodi. Ci viene insegnato ad avere paura delle conseguenze e delle punizioni che ne deriveranno, come la paura di perdere l’anno e non essere ammessə all’esame di stato solo per aver rilasciato un’intervista in cui esprimiamo un pensiero critico.

In questi termini, la scuola italiana si colloca perfettamente nel contesto socio-politico attuale, in cui la violenza e la repressione verso chi manifesta il dissenso sono spesso normalizzate, giustificate e glorificate.

D’altronde, un modello di scuola ancora basato sulla riforma Gentile, che non ha mai preso in considerazione la pedagogia necessaria a costruire una scuola che offra una formazione valida non può che non rispondere in questa maniera autoritaria. Riconosciamo come questo sistema scolastico, teorizzato da chi non ha mai creduto nella validità della disciplina pedagogica, porti ancora con sé gravi carenze. Denunciamo con forza che ancora oggi la scuola si basi su una riforma che concepisce la stessa come classista, selettiva e autoritaria.

Ed è proprio per questo che, in solidarietà allə ragazzə che stanno subendo le sproporzionate conseguenze della scelta di alzare la testa ed esprimere le necessità della collettività studentesca, rivendichiamo una scuola che si basi su una nuova concezione di insegnamento, che senza inerzia dannosa ascolti coloro che la attraversano tutti i giorni, iniziando dal supporto delle comunità studentesche in lotta e non dal loro ostacolamento.

Non accettiamo che la scuola ci insegni a sottostare ciecamente all’autorità. Non vogliamo ci trasformi in individui senza capacità critiche, pronti a piegarci alle dinamiche di sfruttamento capitalista senza battere ciglio e senza alzare la testa.

Perché è questo che la scuola ci insegna, oggi.

Rivendichiamo una scuola nuova, libera dalla concezione autoritaria dell’insegnamento, e dai ricatti imposti da questa stessa classe autoritaria. Rivendichiamo una scuola che ci formi, come parte critica della società, e ci dia strumenti per attraversare la nostra vita senza condannarsi a sottostare alle dinamiche di potere e di sfruttamento nel mondo del lavoro.

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