La conquista della Luna

Nestor Halak per Comedonchisciotte.org

Perché poi “conquista”. Nel migliore dei casi si tratta solo di un primo sbarco di un paio di esploratori. È come se il primo uomo che ha messo piede in Sicilia, e un primo uomo ci dovrà pure essere stato, avesse detto di aver conquistato la Sicilia. Ovviamente neppure se lo sognava.

Ma lasciamo perdere. Oggi si sgolano pure a parlare della conquista di Marte, senza che neppure ci si avvicini a poterlo raggiungere. Qualche giorno fa ho letto una notizia di tono entusiasta su un gruppo di “astronauti” che si allenava a “conquistare” Marte chiudendosi per un tot di tempo in un certo luogo e facendo finta di essere sul pianeta. Mi ha ricordato irresistibilmente una “missione” dei boy scout.

Ho abbastanza anni da potermi ricordare in prima persona quel luglio del 69, anche se ero molto giovane, e devo dire che all’epoca ero assolutamente entusiasta delle missioni spaziali e a dire il vero anche degli avvistamenti ufo, tanto che collezionavo ritagli di articoli di giornale come si usava prima dell’avvento di internet.

Nonostante fossi preparato dalla lettura degli articoli ufologici alle teorie più bizzarre, non ricordo di aver mai neppure lontanamente immaginato che il primo sbarco sulla Luna o i successivi potessero essere un imbroglio e neppure ricordo di aver udito all’epoca di teorie che smontassero gli avvenimenti: nonostante già non credessi alle motivazioni umanitarie degli yankee in Vietnam, la mia fede nel programma Apollo era intatta e tale è rimasta negli anni a seguire, al contrario della mia credenza negli ufo, perciò imbattermi in tempi relativamente recenti in teorie organiche e documentate che sostengono la falsità delle missioni lunari è stato all’inizio piuttosto sorprendente.

All’epoca, tra la fine degli anni sessanta e i primi settanta, si discuteva molto sull’utilità di spendere tutto quel denaro per le missioni spaziali, ma non avevo mai sentito nessuno che dubitasse seriamente che si trattasse di un imbroglio, tranne una persona: mia nonna. L’anziana signora sosteneva infatti che non era vero nulla. Non che confutasse le fotografie o parlasse delle fasce di Van Allen che probabilmente nemmeno sospettava esistere, semplicemente, in base alla sua esperienza, riteneva una fola che degli esseri umani potessero passeggiare sulla Luna, perciò liquidava seraficamente come falsa tutta la faccenda.

Ricordo il mio stupore di ragazzino: ma come, nonna, lo dicono tutti, lo dice la televisione, fanno vedere anche i filmati, se non fosse vero, qualcuno lo sosterrebbe, qualcuno lo scriverebbe sui giornali, Ruggero Orlando non confermerebbe! Non persi neppure tempo a prendere sul serio l’ipotesi, nel clima dell’epoca mi pareva semplicemente la bizzarria di un’anziana che vedeva il mondo con occhi superati dai tempi.

L’aria che tirava allora era che la nostra generazione non fosse soltanto l’ultimo grido in quel momento, ma l’ultimo grido per sempre, in tutti i tempi, in omnia secula seculorum come piace dire agli ecclesiastici. Bob Dylan lo aveva detto chiaramente: non credete a nessuno che abbia più di trent’anni. Che noi potessimo diventare vecchi e fuori moda era escluso. Difatti, a ben guardare, tra le folle oceaniche di turisti in mutande, si vedono ancora per certe isole greche vecchi hippies mezzi pelati eppure ancora coi capelli lunghi che si aggirano stupefatti guardando passare i loro nipoti già anziani grassi e tatuati,  incapaci di capire cosa mai sia accaduto e di accettare di non essere più gli strepitosi giovani più giovani di un tempo.

Ma alla fine gli uomini sono davvero stati sulla luna nel 69? Parliamoci chiaro ciò che è inconfutabilmente sorprendente in tutta la vicenda è che a distanza di cinquant’anni da quelli avvenimenti, e nonostante tutti i pretesi e straordinari progressi tecnologici, nonostante l’aumento della ricchezza delle nazioni, non solo nessuno mai più ha messo piede sulla Luna, ma neppure si è avvicinato a farlo. Ed è naturale che questo fatto porti a chiacchiere e sospetti.

Le aspettative dell’epoca erano completamente diverse, si favoleggiava che nell’anno 2000 i viaggi spaziali sarebbero diventati routine, Stanley Kubrik se ne usci col suo fantastico film (che tra parentesi mi fece diventare un cinefilo), secondo il quale nel 2001 gli uomini sarebbero stati in grado di disseppellire un enorme monolito nero sulla luna ed organizzare una spedizione umana nell’orbita di Giove. Ma in realtà nulla di tutto questo si è mai realizzato. Nel 2001, al posto della missione in orbita gioviana, si sono visti un paio di aerei schiantarsi sui grattacieli di New York e questo è tutto. Spettacolare, sì, ma scientificamente poco interessante. Eppure certi plutocrati “visionari” americani parlano ad ogni piè sospinto di una francamente infattibile spedizione su Marte e la Nasa reclamizza il suo imminente ritorno sulla Luna, ma nei fatti nulla accade. Mi pare più che legittimo chiedersi perché.

I sostenitori della falsità degli allunaggi del programma Apollo hanno una risposta facile a tutto ciò: semplicemente sostengono che l’allunaggio non c’è mai stato, non era fattibile allora e non è fattibile oggi, sostengono che è stato solo simulato in teatro a scopo di propaganda. Sarebbe insomma solo una produzione di Hollywood e qualcuno azzarda addirittura opera dello stesso Kubrik. Questi negazionisti, come va oggi di moda dire, portano tutta una serie di indizi a sostegno della loro ipotesi, che vanno dalla falsità delle foto esibite, alla inadeguatezza della tecnologia dell’epoca, alla presunta impossibilità per un organismo umano di sopravvivere all’attraversamento delle fasce di Van Allen.

E’ giusto che il cielo fotografato dalla Luna appaia privo di stelle? Le foto mostrano davvero indizi di una illuminazione artificiale con faretti da set? Era possibile uno sbarco sulla Luna senza microchip e con le competenze tecnologiche degli anni 60? Confesso di non avere le competenze tecniche necessarie per farmi un’idea precisa in proposito, quello che veramente non mi convince nell’ipotesi dello sbarco simulato è che potesse ingannare gli esperti del settore, in primis, i russi.

Si era in piena guerra fredda, i sovietici avevano competenza spaziali di primordine, sicuramente comparabili con quelle americane, come potevano non accorgersi del trucco? La risposta di molti dei sostenitori del falso allunaggio è che i sovietici se ne accorsero, ma decisero di non rivelare nulla sostanzialmente perché pensavano di non avere i mezzi per far passare la notizia di fronte al grande pubblico e che pertanto rivelando la verità sarebbero solo riusciti a fare la figura degli invidiosi. Rosiconi, direbbero a Roma.

Vi pare una teoria sostenibile? A me francamente no. Chi ricorda anche vagamente il clima dell’epoca sa bene che mezzo mondo era di simpatie sovietiche ed avrebbe immediatamente sostenuto la notizia. Anche all’interno dei paesi occidentali, del “mondo libero”, come si diceva allora, c’erano importanti partiti comunisti, vicini all’Urss, che avevano una stampa molto potente e molto diffusa con un seguito di milioni di persone prontissime a credere a quanto pubblicavano, insomma, non erano certo quei quattro gatti soli e praticamente senza voce che si sono recentemente ritrovati a dover contrastare le follie pandemiche.

Le menzogne sul Vietnam, per esempio, magari non saranno state esposte in prima serata in televisione, ma avevano trovato lo stesso il modo di raggiungere buona parte della popolazione. La situazione dell’informazione era molto diversa da quella di oggi: solo immaginandosi che fosse uguale a quella odierna  è possibile dare un senso, seppure vago, ad una simile ipotesi. Anche tralasciando tutta la tematica relativa all’estrema difficoltà di mantenere segreto tutto il lavoro occorrente per una messa in scena di tali dimensioni, non vedo alcun modo credibile per poter superare l’obiezione del silenzio sovietico.

Rimane tuttavia intatta la domanda di fondo: perché dopo cinquant’anni di esponenziale ed ininterrotto progresso, nessuno è più tornato a calpestare la Luna?

La risposta che normalmente viene data è che la corsa alla Luna fu essenzialmente un derivato della guerra fredda. La competizione che si svolgeva in quegli anni tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica non si limitava soltanto alla rivalità politica e militare tra due modelli di società differenti, ma coinvolgeva anche i risultati culturali, tecnici e scientifici che questi modelli differenti erano capaci di raggiungere. La corsa allo spazio era uno dei campi di punta dove la superiorità tecnologica, economica e culturale di una parte poteva essere dimostrata. Fu dunque possibile, in quel contesto, investire enormi risorse per l’acquisizione di un singolo risultato, cosa che ai nostri giorni non è più politicamente fattibile. In effetti se andiamo a confrontare  la percentuale del bilancio americano destinata alla Nasa negli anni 60 con quella odierna, si nota immediatamente che non ci sono confronti possibili.

Ma personalmente ci aggiungerei anche ciò che raramente viene detto da mentori dell’autenticità dello sbarco e cioè che oggi mancano modelli sociali alternativi a quello presente, manca la rivalità ideologica, manca il coinvolgimento popolare, manca soprattutto un governo eletto che abbia realmente il potere che è oramai detenuto quasi per intero dagli oligarchi. L’importanza dell’acquisizione di traguardi collettivi non immediatamente funzionali a qualcosa di pratico, che quasi sempre non è niente di più che il profitto immediato della banda di psicopatici che dirige il mondo, è irrimediabilmente declinata. La nostra società sembra divenuta incapace di grandi sforzi collettivi.

Un’altra motivazione che viene meno spesso chiamata in causa è l’enorme aumento della complicazione e conseguentemente dei costi di qualsiasi progetto si decida di portare avanti: se negli anni 60 di decideva di costruire un’autostrada da Milano a Napoli, la si realizzava con relativa snellezza ed in tempi accettabili, per fare la medesima cosa oggi occorrerebbe conformarsi ad una mole tale di regolamenti , permessi ed interessi differenti che i tempi diventerebbero biblici e i costi proibitivi. Vedasi ad esempio la ferrovia ad alta velocità in val di Susa.

Per dare un’idea, se mio nonno voleva abbattere un albero di troppo sul suo terreno, semplicemente lo abbatteva magari con l’aiuto di qualcuno, se voglio farlo io devo munirmi di una perizia di un “esperto certificato” che si farà pagare cifre esorbitanti dato che il suo intervento è obbligatorio, di un permesso comunale rilasciato da un apposito ufficio dopo appuntamenti on line che non puoi prendere se non hai numeri spid da esibire, di moduli da riempire e tasse da pagare, devo infine rivolgermi ad una ditta specializzata e autorizzata, che dovrà rispettare tutta una serie di norme di “sicurezza” e “tutela” ragionevoli e irragionevoli.

Se mio padre perdeva le chiavi della macchina, prendeva quelle di riserva che teneva in un cassetto e con poche lire si faceva fare una copia in una ferramenta, se io perdo le chiavi della macchina, ho un bel problema, mi dovrò rivolgere al concessionario che l’ha venduta, che si rivolgerà alla casa produttrice che “attiverà” la nuova chiave ed entrambe le aziende faranno a gara per approfittarsi il più possibile della situazione caricando i costi a livelli inverosimili fino a far valere una chiavetta di ferro e plastica diverse centinaia di euro: i tempi e i costi sono imparagonabili. Sarebbe poi interessante sapere se queste procedure hanno davvero ridotto i furti di auto.

Oltre alla capacità di compiere sforzi collettivi, la nostra società sembra aver perduto anche la semplicità: il mitico ufficio “complicazione affari semplici” di fantozziana memoria, ne ha fatta di strada.  E infine in caduta libera la tolleranza alla perdita e al dolore. Negli anni 60 qualche astronauta morto nel tentativo di “conquistare” la Luna poteva essere messo tranquillamente in conto, oggi complicherebbe le cose ben più di quanto accadeva allora: vogliamo fare imprese rischiose … senza correre rischi, addirittura combattere guerre dove a morire sono soltanto gli altri.

Aggiungerei anche che il preteso formidabile avanzamento della scienza e della tecnica forse non è poi così formidabile. O meglio è limitato ad alcuni campi specifici che riguardano soprattutto la manipolazione dei dati, molto meno le apparecchiature che usiamo per la manipolazione degli oggetti concreti. Ci piace immaginarci molto virtuali, ma le nostre industrie continuano ad essere basate sulle stesse fonti di energia sulle quali erano basate negli anni 60, le nostre automobili sono sostanzialmente le stesse, funzionano allo stesso modo anche se hanno uno  schermo al posto di un indicatore analogico, lo stesso vale per gli aerei, le navi i treni. Le auto elettriche esistevano già ed erano poco pratiche anche allora, come esistevano i telefoni, la televisione e la tecnologia nucleare.

Se dagli anni 60 andiamo indietro di cinquant’anni e arriviamo ai primi anni del ventesimo secolo, ho il sospetto che i progressi compiuti in quel cinquantennio non fossero poi così inferiori a quelli compiti dagli anni 60 ad oggi: c’è dunque stata veramente questa accelerazione esponenziale della tecnologia? La nuova tecnologia informatica ha certo portato grandi vantaggi nella reperibilità delle informazioni per la grande maggioranza delle persone, ma ha anche portato ad una possibilità di controllo e sorveglianza del singolo molto più oppressiva e onnipresente da parte del potere. Se da una parte ha molto semplificato, dall’altra ha anche molto complicato.

In ogni caso, qualunque sia il vero motivo, tecnico, politico, finanziario, culturale o altro, resta il fatto incontrovertibile che in cinquant’anni dalla grande impresa o, per quelli che non ci credono, dalla finta grande impresa dello sbarco umano sulla Luna, la nostra società non è stata fin’ora e non è ad oggi in grado di ripeterla. Nonostante questo, bizzarramente, i media continuano a parlarne con grande enfasi, ammaestrandoci che manca poco, che i nostri mezzi sono sbalorditivamente aumentati, che stiamo per tornare sulla Luna, belli, green, gay friendly, ma, per il momento inesorabilmente a chilometri zero. Se non è quest’anno, sarò l’anno prossimo,  o quello dopo.

Anzi, stiamo per conquistare anche Marte: gli astronauti multigender già si allenano in garage!

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