Patrick Zaki: dalla prigionia alle battaglie globali per i diritti umani e la pace

Venerdì 12 luglio 2024, penultimo giorno di questa edizione di Sherwood Festival, è approdato a Padova per la presentazione del suo nuovo libro, Patrick Zaki, nato nel 1991 a Mansura, in Egitto. Il talk ha toccato tantissimi aspetti, la sua reclusione e le connessioni con l’uccisione di Giulio Regeni, le primavere arabe e la disillusione, il regime di Al-Sisi, le battaglie per i diritti umani fino ad arrivare alla Palestina e all’attuale escalation globale.

Patrick Zaki ha studiato alla Germany University of Cairo prima e all’Università di Bologna poi e ha lavorato presso la Egyptian Initiative for Personal Rights. È proprio per il suo lavoro per questa ONG che è stato detenuto nelle carceri egiziane per quasi due anni, dall’inizio del 2020 alla fine del 2021.

Il libro Sogni e illusioni di libertà è stato pubblicato nel 2023 da La nave di Teseo. Fa parte del genere del “diario di prigionia”, che ricorda Antonio Gramsci o Se questo è un uomo di Primo Levi, anche quest’ultimo autore d’altronde faceva notare come la moneta di scambio tra detenuti fosse il tabacco.

La primavera 2011 in Egitto

Lo sfondo del libro è da rinvenire nell’evento della Rivoluzione Egiziana del 2011. Lorenzo Feltrin, dell’Associazione Ya Basta! Êdî Bese!, ha chiesto di cominciare a narrare come avesse vissuto quegli eventi.

Patrick specifica come la Rivoluzione egiziana del 2011 non sia scoppiata da un momento all’altro ma anzi, tutti avevano lavorato duramente per ottenerla, lui all’epoca aveva soli 19 anni. Tutti, nessuno escluso, si sono messi a lottare durante la rivoluzione a causa della forte corruzione del Paese, nel contesto trentennale di un medesimo presidente.

Uno dei movimenti nati prima della rivoluzione (dal nome ‘basta’ in arabo) lo ha condotto al far politica, dopo di questo infatti Patrick ha iniziato a far parte in uno dei movimenti politici di sinistra in Egitto.

Patrick riferisce di avere iniziato a partecipare alla rivoluzione sin dagli esordi ed è stato un evento nevralgico nel dimostrare l’importanza della partecipazione. Tuttavia non è stato per nulla semplice, perché nel durante amici e compagni cadevano ammazzati da pallottole e tank della polizia durante le proteste.

La gran parte degli Egiziani partecipava alla rivoluzione per la situazione economica drammatica del Paese ma non solo, la tematica delle torture perpetuate dalla polizia era molto centrale.

Due furono gli eventi principali a incendiare le proteste: in primis, l’uccisione di un ragazzo egiziano all’interno di una stazione della polizia. In quel caso i poliziotti presenti avevano addirittura filmato le torture e le violenze sessuali contro questa persona; la polizia ebbe poi a giustificare la morte dicendo che quella persona aveva ingoiato marijuana per nasconderla.

In secundis, il bombardamento in una Chiesa ad Alessandria, solo dopo un po’ di tempo si è scoperto però che era lo stesso regime ad averlo causato, nell’intento di diffondere il terrone e di reprimere gli egiziani col terrore.

Patrick Zaki era tra quelle persone entrate in piazza Tahrir il 25 gennaio 2011 sfondando il cordone della polizia, quella scena è un ricordo fortissimo, un vero e proprio simbolo di libertà. Ma ci sono dei risvolti terribili: tanti amici e compagni cecchinati.

La violenza della polizia era mostruosa, nessuno era in grado di controllarli e la paura tra i protestanti si diffondeva.

In questo processo che provava a portare al cambiamento si è rimasti fino al 2013: dopo ci si è fermati e si perso tutto. Il problema che ha condotto alla perdita sta nel fatto che nel 2013 non c’era una struttura politica che potesse prendere il potere e fare passi concreti. Un po’ come in Italia, dice Patrick, in cui non c’è un’unità ‘di sinistra’, che potesse portare a concretizzare la rivoluzione.

Il regime dopo il 2013

Un modo di dire importante recita che se si fa la rivoluzione a metà, si subiscono degli effetti, ed è stato così dopo la primavera in Egitto. La corruzione ed il sistema militare era profondamente radicato nella società egiziana. Prima del 2013 nelle elezioni si sfidavano due forze: conservatori dei fratelli musulmani da un lato e precedente regime militare, dall’altro. A quel tempo non si sapeva cosa fare e per quale parte parteggiare.

Ma tutti i regimi sono intelligenti, hanno le chiavi di comprendere la società, e si è spinto per l’attuale dittatore Al-Sisi.

Anche la sinistra è caduta nella trappola e da quando Al-Sisi ha presso il potere si è perso e tuttora si è perdenti. Da quando ha preso il potere ha portato avanti una lotta contro tutti i partiti e chi faceva politica contro la sua posizione. Si è iniziato a fare campagne ed arresti in primis contro i Fratelli Musulmani. C’è un evento da riferire: in un solo giorno hanno ucciso 1200 persone che erano per strada in protesta a difendere i Fratelli Musulmani. Dopo di che hanno cominciato ad arrestare tutti gli human right defender, avvocati, o militanti, giornalisti contro il regime. Il regime ha diffuso la paura, e tutti gli egiziani oggi hanno paura del regime. Dopo il colpo di Stato il potere è concentrato nelle mani del regime: educazione, economia, salute. Tutti i giovani, in questo momento storico, devono effettuare un esame presso le università militari.

In questo momento ci sono oltre cinquantamila prigionieri politici, moltissimi dei quali in misura cautelare, che può protrarsi anche due anni prima che inizi il processo.

Patrick Zaki è stato uno di quelli: per 18 mesi con l’accusa di far parte di un gruppo terroristico solo perché aveva fatto parte di un network di human right defender ed era di sinistra. La rivoluzione portava sogni – il regime ci porta incubi.”

La connessione con Giulio Regeni

Nel libro si cita a più riprese il caso di Giulio Regeni (rapito, torturato e assassinato dagli apparati di sicurezza egiziani a inizio del 2016, il processo è ancora in corso in Italia). Tra la storia di Patrick Zaki e quella di Giulio Regeni c’è un grosso legame.

Zaki racconta che all’epoca della sua detenzione in Italia c’erano un sacco di proteste e manifestazioni, per tale motivo veniva ritenuto un prigioniero fortunato perché il caso era sotto l’attenzione di tutti, anche – o soprattutto – grazie al caso di Giulio Regeni.

Quando Patrick Zaki è scomparso per poche ore già in Italia si aizzava lo spavento proprio perché si sapeva cosa era successo a Giulio Regeni.

Entrambi, alla fin fine, sono stati rapiti, bendati e portati in stazione di polizia. Lo scenario di Patrick Zaki è andato oltre queste azioni, comparendo poi davanti ad un investigatore di polizia, cosa che – purtroppo – non è successa a Giulio Regeni.

Tutti sapevano che le loro storie erano connesse, basti pensare come la polizia stessa chiedesse a Patrick se stesse lavorando sul caso Regeni.

Un poliziotto prima, il giudice poi, per più volte mi hanno interpellato chiamandomi “Giulio” proprio perché questa connessione era ormai lampante, entrambi collegati all’Italia.

Patrick dice come lo abbiano trattato come un italiano proprio perché hanno visto l’Italia che si è occupata del suo caso.

“Le mobilitazioni in Italia mi hanno salvato la vita.”

Ma la responsabilità di quello che è successo a Regeni è del Governo italiano che ha il compito di prendere posizione su quanto accaduto. L’Egitto non è un safe country e le violazioni dei diritti umani sono chiare e palesi.

Finanziare l’Egitto per stoppare l’arrivo dei migranti è un modo per non riconoscere né il caso di Patrick Zaki né la verità su Giulio Regeni. “Il governo Italiano sta di fatto dando soldi all’Egitto con la quale costruirà carceri. I soldi delle tasse degli Italiani stanno finanziando la repressione in Egitto”.

Diritti umani e situazione economica in Egitto

È fortissima è dunque la repressione in Nord-Africa, in particolare per quanto riguarda i militanti che hanno preso parte alle mobilitazioni del 2011. Basti pensare al compagno Omar Radi in Marocco, recluso con un procedimento pretestuoso legato all’attivismo politico ormai dal 2020.

La situazione egiziana è catastrofica. Prima dell’attuale regime 1€ corrispondeva ad 8 pound egiziano. Attualmente 1€ corrispondono a 52 pound egiziani. Il regime egiziano ha fatto crollare la moneta di 40 punti. Attualmente il salario medio è 102 euro. E la vita è molto cara.

La popolazione egiziana corrisponde tra 130/150 milioni e più del 65% di essi vive sotto la soglia della povertà. C’è carenza di cibo come riso e pane, scarseggia – per la prima volta per il Paese – l’elettricità, dato che l’Egitto ha deciso di inviarne gran parte all’Europa. “È il momento più difficile della storia egiziana”.

Doppio Standard Palestina

La presentazione termina concentrandosi su quel che sta accadendo in Palestina.

Patrick specifica come è stato tra i primi a definire Netanyahu un criminale di guerra, dopo il 7 ottobre, tuttavia, tantissimi mi hanno chiesto di non parlare, molti giornalisti sono scomparsi, tanti eventi e discussioni rimandate o eliminate.

C’è un genocidio in atto in Palestina e stanno ammazzando un’intera popolazione con le armi di UE e USA. “Il problema è che c’è un doppio standard quando si parla di Palestina”.

Dopo lo scoppio della guerra russa-ucraina tutti i paesi occidentali hanno supportato anche economicamente l’Ucraina, ma quanto successo in Palestina è completamente diverso. Ancora adesso, a luglio inoltrato, si dichiara che il Governo di Israele ha tutto il diritto a difendersi ed usano parole gentili (e vacue) come “Pace!”.

La questione palestinese d’altronde non nasce il 7 ottobre ma nel 1948 quando il territorio fu occupato con violenza. Patrick si ravvisa ancora molto sorpreso su come alcuni partiti in Europa affrontino la questione palestinese.

Tutti sono stati troppo lenti nel prendere posizione sulla questione palestinese. E questo dimostra anche come dentro la sinistra sia necessario fare un ragionamento su come cambiare informazione o come fare autocoscienza. “Questo dimostra come i diritti umani sono solo per bianchi e persone privilegiate. Le persone nere o non bianche non hanno nessuno spazio nei diritti umani dell’Occidente”.

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