La “verdad histórica” di López Obrador che scagiona l’Esercito sul caso Ayotzinapa

A quasi dieci anni dalla sparizione forzata dei 43 studenti della scuola rurale di Ayotzinapa e al termine dei suoi sei anni di mandato, il presidente uscente López Obrador ha consegnato ai genitori delle vittime un dettagliato report sul caso nel quale costruisce una nuova “verdad histórica” che scagiona l’Esercito dalle sue responsabilità nella sparizione forzata degli studenti, stigmatizzando ed attaccando l’operato delle organizzazioni di difesa dei diritti umani che accompagnano i genitori nel lungo e tortuoso cammino che conduce alla verità e alla giustizia.

Il report è il punto finale di una storia, quella tra il Comitato dei Genitori e il Presidente, iniziata più di sei anni fa in campagna elettorale, quando l’allora candidato di Morena aveva cavalcato l’indignazione popolare per il caso promettendo ai familiari di chiarire cosa fosse successo la notte tra il 26 e il 27 settembre 2014 a Iguala e di chiudere con la stagione dell’impunità. Promesse che, a distanza di sei anni, rimangono tali e determinano l’indiscutibile tradimento finale del Presidente alle 43 giovani vittime e ai loro familiari. 

Dopo l’iniziale fiducia e speranza da parte del comitato dei genitori, il rapporto con il Presidente AMLO ha cominciato a deteriorarsi quando la contro inchiesta del Grupo Interdisciplinario de Expertos Independientes (GIEI) ha raggiunto il nodo inestricabile del coinvolgimento diretto dei militari nella tragica notte di Iguala dove sono stati fatti sparire i 43 giovani “normalisti”. Da questo momento in poi l’atteggiamento del Presidente è cambiato, ha insinuato dubbi, ha cercato di dividere i genitori, ha preso la difesa delle istituzioni coinvolte, tra le quali l’Esercito, e promosso e avvalorato una politica di ostruzione al prosieguo delle indagini indipendenti, rallentando l’apertura degli archivi militari e concedendo la visione di appena 15 su 800 documenti (come richiesto dal GIEI), fondamentali per scoprire il destino dei ragazzi, e anzi negando l’esistenza di quanto richiesto dagli inquirenti indipendenti.

Questo repentino cambio di posizione ha prodotto, in primis, un rallentamento nelle indagini e a seguire, la rinuncia a continuare il lavoro da parte del giudice speciale per il caso, Omar Gómez Trejo, in aperta polemica e contrasto con la Fiscalía General de la Republica, provocando il malcontento dei genitori che riponevano estrema fiducia nel giudice. Come se non bastasse, AMLO lo ha sostituito con un giudice senza alcuna esperienza in casi di violazioni dei diritti umani e senza una discussione previa con le famiglie delle vittime. Qualche mese più tardi, era l’estate scorsa, anche il GIEI ha abbandonato il caso e il Paese denunciando l’impossibilità di continuare il proprio lavoro stante la negativa del Governo all’accesso alle caserme e agli atti richiesti riposti sotto chiave negli archivi militari.

Tra i punti che più hanno colpito, e probabilmente ferito i familiari delle vittime, vi sono quelli relativi alla strenua difesa dell’esercito: «certamente non ci sono dubbi sulle responsabilità dello Stato – ha scritto nel suo report il Presidente – sia per omissione, sia per occultamento e fabbricazione della cosiddetta “verità storica” da parte dei funzionari federali, statali e municipali coinvolti, ma le accuse all’Esercito, senza prove [per forza, non gliele danno, le prove], produce molta sfiducia e sostengo che potrebbe obbedire a un desiderio di vendetta di persone o istanze provenienti dall’estero per indebolire un’istituzione fondamentale dello Stato messicano».

Le organizzazioni di difesa dei diritti umani, come avvenuto negli ultimi mesi, sono al centro dell’attacco del Presidente: nella sua ipotesi, López Obrador insinua che vi siano possibili influenze nordamericane nella politica messicana (un tema, quello dell’invasione yankee, sempre molto sentito nel Paese), in particolare della DEA. Gli avvocati, il Centro Prodh, lo stesso GIEI e la giornalista indipendente Anabel Hernández per AMLO sono tutti potenziali agenti al servizio degli Stati Uniti e lui l’inossidabile ed onesto difensore della Patria. «È tempo di rivedere il comportamento di coloro che hanno guidato le richieste di presunta giustizia – ha minacciato AMLO – in particolare i loro legami con il governo degli Stati Uniti e le sue agenzie».

López Obrador, infatti, nel report rimarca ancora una volta che “per colpa” del Centro Prodh sono state liberate decine di persone coinvolte nei fatti, a causa di un ricorso presentato sulle torture subite dalle persone arrestate durante la costruzione della “verdad histórica”. Una chiave di lettura che la stessa ONG ha smentito categoricamente: «né il Centro Prodh né altre organizzazioni che rappresentano i genitori – il Centro de Derechos Humanos de la Montaña Tlachinollan, Fundar y Serapaz – abbiamo mai promosso alcun ricorso perché fossero rilasciati, né rappresentiamo legalmente gli accusati o siamo “dietro” alla sentenza […]. È paradossale che oggi, mettendo in discussione le conseguenze procedurali dell’accertamento dell’esistenza della tortura nel caso, si finisca per relativizzare la gravità di questa violazione dei diritti umani e, di fatto, si difenda l’indagine della precedente amministrazione».

Da parte del Comitato dei genitori al momento non è arrivato ancora alcun commento al report con il quale López Obrador costruisce la sua “verdad histórica”. Cristina Bautista, madre di Benjamín Ascencio, ha dichiarato che ancora non c’è una postura unitaria dal momento che i genitori stanno leggendo il report e che lo stesso sarà discusso in una riunione il 26 luglio, nel contesto della consueta marcia mensile per i 118 mesi dalla sparizione forzata dei giovani.

Con questo report López Obrador, pur ribadendo il proprio sostegno alle famiglie, insinua ancora una volta tra di esse il seme velenoso del sospetto, al fine di dividere e indebolire la lotta e di difendere l’Esercito dalle gravissime responsabilità nel caso. Ma soprattutto, leggendo tra le righe, come sostiene il sociologo Raúl Romero «nella narrativa desde arriba le vittime diventano carnefici», trasformando una lotta tanto importante come quella di Ayotzinapa sui diritti umani e contro l’impunità, in un attacco personale dove la vittima sembra essere proprio il Presidente con la consueta retorica dell’attacco alla quarta trasformazione del Paese.

Ma in questo caso di trasformazione non si può parlare: con la sua “ipotesi”, López Obrador ripercorre con inquietante similitudine il cammino dell’ex Presidente Enrique Peña Nieto, costruendo la sua “verdad historica”: un’ipotesi ancora molto lontana dalla verità e dal ridare giustizia alle vittime e ai loro familiari.

Condividi questo contenuto...

Lascia un commento