Riceviamo e pubblichiamo questo contributo che ci arriva dal Bangladesh in forma anonima per ragioni di sicurezza.
Sono passati quattro giorni da quando s è accesa la speranza di un futuro migliore in un paese che, per quanto minuscolo, ospita più di 170 milioni di abitanti.
Stiamo sempre parlando del Bangladesh, dove il 5 agosto si è dimessa la prima ministra Sheikh Hasina, a seguito del sanguinoso mese di luglio 2024, durante il quale decine di migliaia di studenti hanno protestato, prima contro il sistema di assegnazione dei lavori pubblici poi contro l’intero governo.
I media occidentali hanno tutti riportato la notizia, sia quelli più piccoli a respiro interculturale, che quelli più grandi conosciuti da tutti. Si è esultato a gran voce nel supportare gli studenti del Bangladesh che, stando a quanto riportano le stesse testate, sono sul punto di cambiare per sempre la storia di questo paese.
Questo non è sbagliato, anzi: gli studenti hanno fatto quel che ci si aspettava da anni. Nonostante ciò sarebbe davvero semplicistico ridurre questo momento storico a qualcosa che va celebrato e basta, senza analizzare la situazione con una lente critica.
La forma di autoritarismo sotto il quale il popolo bengalese viveva ormai da un ventennio era una condizione asfissiante, della quale tutti soffrivano e che andava fermata.
Tuttavia, quel che è passato in secondo piano subito dopo le dimissioni di Hasina, è che il paese sta incontrando non poche difficoltà a rimettersi in sesto. A causa dello sciopero indetto ormai da tempo da parte della polizia, della grande corruzione che permea tutta la classe dirigente del Bangladesh e il costante tentativo degli estremismi islamici di prendere il potere, non sono giorni facili per la popolazione bengalese che sta vivendo una situazione a dir poco caotica.
Parlando proprio delle lotte violente che si stanno instaurando tra islamici e induisti, spesso a danno di questi ultimi in quanto minoranza nel paese, bisogna fare un passo indietro per comprenderne le dinamiche.
Il Bangladesh è un paese estremamente povero con un tasso di alfabetizzazione ai minimi e nel quale dunque vige una mancata secolarizzazione capace di garantire una convivenza pacifica tra le due religioni. Per questo diventa inevitabile che una situazione politica instabile come quella attuale diventi l’occasione perfetta per i più fanatici per spargere odio anche attraverso azioni violente che passano quasi inosservate.
È dunque indispensabile comprendere che mentre da una parte la lotta portata avanti dalla generazione studentesca mira a incamminarsi verso un’autentica democrazia pacifica, dall’altra una considerevole fetta di popolazione ha come interlocutore sopratutto i piccoli politici delle proprie città.
E sono soprattutto questi esponenti locali dei maggiori partiti politici di opposizione a cavalcare abilmente le paure e le ansie della popolazione, nel tentativo di appropriarsi della vittoria e di ridurre il risultato delle lotte studentesche a un mero cambio di partiti al potere.
Tutto questo ci dimostra che la riforma di cui ha bisogno il Bangladesh sia innanzitutto strutturale. Che per un vero cambiamento bisogna iniziare dal basso, dal popolo. Questo si può fare garantendo in primis un’istruzione minima a tutti i cittadini senza lasciare nessuno indietro, senza distinzione di sesso e senza demonizzare alcuno in base alla propria situazione socio-economica.
Queste sono dinamiche ancora molto determinanti in Bangladesh: sei bravo a scuola e i tuoi genitori possono permetterselo? Allora studi, forse. Non sei molto portato e i tuoi genitori non possiedono abbastanza denaro nemmeno per garantirti un pasto caldo la sera? Vai a lavorare. Non si può fare affidamento su quello Stato che legittima la condizione di milioni di lavoratori bambini che già a 7 o 8 anni si ritrovano per strada a essere sfruttati.
Formalmente il Governo temporaneo è stato affidato a una figura desiderata fortemente proprio dai giovani, ovvero a Muhammad Yunus, vincitore del Nobel per la Pace nel 2006 grazie alla sua “Grameen Bank”. Ora bisogna attendere le nuove elezioni nella speranza che i voti non vengano manomessi.
Il futuro è incerto in Bangladesh. C’è speranza nel cambiamento, e questa speranza ce l’hanno data proprio i giovani: sono gli studenti che si improvvisano vigili per gestire il traffico nelle caotiche strade di Dhaka; e ancora, sono i collettivi auto-organizzati di persone sia induiste che soprattutto musulmane a trascorrere la notte assieme per garantire la sicurezza nei templi a dipingere il Bangladesh che si desidera raccontare all’Occidente.
Ed è proprio questo spirito di fratellanza tra le persone e questo mettersi a disposizione per la comunità che si spera possa gettare le basi di questo nuovo capitolo del Bangladesh, un paese tanto colorato quanto turbolento.