Tempi di vacanze e di spiagge assaltate da italiani e turisti, ma sono spiagge particolari perché non appartengono più alle persone o alla natura; sono spesso occupate da privati che ne hanno fatto l’ennesima fonte di profitto sulle spalle della collettività. Tanto è ormai la normalità usare natura e beni collettivi pagandoli spiccioli allo Stato per ricavarci lauti guadagni.
E così le spiagge sono strapiene di stabilimenti balneari attrezzati dove a costi non bassi, il cittadino paga per qualcosa che dovrebbe essere a disposizione e libero. I posti di spiaggia libera si restringono sempre di più, quindi a meno che non si vogliano fare chilometri o trovare posti sperduti, si è quasi costretti a pagare per stare sulle nostre spiagge.
Ci sono casi emblematici come le spiagge liguri, che spesso sono di qualche metro e in quei pochi metri viene occupato anche il centimetro quadrato dagli stabilimenti privati per accaparrarsi il vacanziero. Poi ci si lamenta che la vita è cara, ma ciò è ovvio se tutto viene costantemente messo a disposizione di chi ci deve fare profitto.
Ma chi di profitto ferisce, di profitto perisce, perché c’è chi lo sa fare meglio degli altri e sono le multinazionali. Così arriva la Red Bull che si prende 120 mila metri quadrati di litorale nel triestino dando l’elemosina di 9 milioni di euro (che per multinazionali di quel tipo, ci pagano il caffè al CEO), per farci il parco giochi della vela per il titolare Dietrich Mateschitz.
Vista la situazione, adesso gli stabilimenti balneari italiani protestano, perché non vogliono che gli si porti via il bocconcino prelibato, esattamente come è successo per gli agricoltori, che prima trasformano il cibo in merce avvelenando l’impossibile e poi quando arrivano i giganti per fare le stesse cose ma con molta più potenza economica, allora non va più bene. Ma se tu accetti che il profitto sia la sola e unica logica per la quale lavori e pensi, non puoi lamentarti se chi, facendo gli stessi ragionamenti, ti spazza via. Abbiamo voluto privare i cittadini e la natura dei loro spazi e farne un negozio e ora le conseguenze nefaste sono evidenti.
Tra l’altro per rendere gli stabilimenti balneari sempre più appetibili, si effettuano lavori con ruspe, camion e varia per rubare spazi a dune o altro che possa in qualche modo diminuire la possibilità di piazzare ombrelloni, sdraio, giochi, intrattenimenti con attrezzature di ogni tipo. Gli stabilimenti si inventano mille servizi e vendite di qualsiasi cosa e a fine giornata spesso si passano trattorini (che inquinano e consumano combustibili fossili per uno degli innumerevoli assurdi e insensati usi degli stessi) o si incaricano persone (spesso immigrati) per livellare la sabbia, perché quelle scomode cunette che si creano devono essere eliminate per fare in modo che il turista cammini sulla sabbia piatta come se fosse sul pavimento di casa.
E come se già la gestione delle spiagge da parte dei privati non fosse una aspetto assurdo, sempre in nome del sacro profitto, adesso arrivano pure gli stabilimenti firmati da stilisti di grido che battezzano quei luoghi con firme, colori, stoffe, mobilia, accessori, trasformandoli in “emozionanti esperienze di stile”. Il tutto a caro prezzo ovviamente e rendendo quei posti ancora più esclusivi, perché si sa, l’italiano si deve distinguere mostrando il suo lato fashion e su come è bravissimo a buttare i soldi.
Chissà se mai arriverà un giorno in cui le persone riprenderanno l’uso delle proprie spiagge, finalmente libere e a disposizione di tutti o dovremo tutti vestirci da lattine di Red Bull o chi per lui, prima di buttarci in acqua.