Le tristi storie delle morti dei re (I)

di Franco Pezzini

La foresta che uccide

Siamo nella New Forest, e con una certa difficoltà sui percorsi tra gli alberi stiamo cercando la Rufus Stone, il monumento memoriale della strana morte di Guglielmo II Rufus (c. 1057-1100), re d’Inghilterra dal 1087 a quel fatale evento. Inevitabile richiamare il Grande Bardo: laddove un monarca un po’ successivo, Riccardo II, deposto da Enrico Bolingbroke futuro Enrico IV (1399) consegna una delle più alte lamentazioni dell’opera di Shakespeare, che ogni potente – non solo monarchi, ma presidenti del consiglio, onorevoli, capitani d’industria… – dotato di un minimo di intelligenza dovrebbe per parte propria meditare. Così The Tragedy of King Richard the Second, circa 1595:

Per amor di Dio, sediamoci sulla nuda terra

a recitar le tristi storie delle morti dei re.

Come alcuni vennero deposti, altri ammazzati in guerra,

altri ossessionati dai fantasmi di quelli che avevano deposto,

alcuni avvelenati dalle mogli, altri assassinati nel sonno:

tutti morti ammazzati. Perché dentro la vuota corona

che cinge le tempie mortali di un re,

tiene corte la morte: e là si insedia, beffarda,

schernendone il potere, ghignando alla sua pompa,

concedendogli un breve respiro, una piccola parte –

sovraneggiare, incuter timore, fulminar con lo sguardo –

riempiendolo di sé e di vuote illusioni,

come se questa carne che cinge di mura lo spirito

fosse bronzo indistruttibile. E dopo averlo così lusingato,

viene alla fine e con uno spillo da nulla

perfora le mura del palazzo, e addio re!

Copritevi le teste, non canzonate un impasto di carne e di sangue

con riverenze solenni, gettate via rispetto,

tradizione, formalità e il dovere dell’etichetta,

poiché mi avere frainteso per tutto questo tempo.

Io vivo di pane proprio come voi, provo desideri,

assaporo il dolore, ho bisogno di amici. Così asservito,

come potete venirmi a dire che sono un re?

Mentre l’Inghilterra sobbolle di contraddizioni (cfr. qui), gli aggregatori nostrani di notizie web ci informano delle ultime tensioni dietro le quinte di Buckingham Palace (dispettucci e immaturità che in età plantageneta o Tudor si sarebbero risolti in modo un tantino più radicale con veleno, ceppo o magari botte di malvasia) e re Carlo può fare i comprensibili scongiuri di fronte all’affrettarsi dei protocolli sul decesso del sovrano, non è male riflettere sul rapporto tra il potere e la morte. Gestito in Inghilterra con una dose robusta di teatro macabro: e qualche caso eccellente merita memoria.

Arriviamo infine al sito cercato. Siamo (se ha senso l’indicazione geografica di un luogo perso tra gli alberi) a Lower Canterton nei pressi di Brockenhurst nella New Forest, Hampshire, a poca distanza dal cimiterino di Minstead dove riposa Sir Arthur Conan Doyle. La Nova Foresta era stata istituita da Guglielmo il Conquistatore, 1079, per le partite di caccia reali, facendo

abbattere trentasei chiese parrocchiali, con tutte le case ad esse annesse, e i poveri abitanti rimasero senza casa o dimora. Ma questo atto malvagio non rimase a lungo impunito, perché i suoi figli ne patirono le conseguenze: Riccardo fu colpito da un’aria pestilenziale; Rufus trafitto da una freccia; e Enrico suo nipote, da Roberto suo figlio maggiore, mentre inseguiva la sua selvaggina, restò appeso tra i rami e così morì.

Così il seicentesco Richard Blome. In realtà ad ammazzare (tra il 1069 e il 1075) il secondogenito del Conquistatore, Riccardo di Normandia, più o meno quindicenne, durante una partita di caccia, non fu “un’aria pestilenziale” ma la sfortunata collisione del collo del ragazzo con un ramo sporgente. Quanto a Enrico – più spesso citato come Riccardo –, figlio del primogenito Roberto, pare curiosa la circostanza che muoia tra 1099 e 1100 nella stessa foresta dove pochi mesi dopo finirà accoppato Guglielmo Rufus, alla cui corte vive.

Il Conquistatore – noto anche come il Bastardo perché nato da un’unione more danico illegittima per la Chiesa, fondatore della dinastia normanna in Inghilterra e antenato di tutti i re successivi, abile condottiero e capace amministratore (istituisce tra l’altro il Domesday Book per il censimento delle proprietà fondiarie, 1086) fino a essere riconosciuto come uno degli uomini più ricchi della storia, nonché mattatore del celeberrimo Arazzo di Bayeux, era morto di peritonite nel il 9 settembre del 1087, vicino a Rouen, dopo una brutta caduta da cavallo che l’aveva visto infortunarsi con il pomolo della sella. Per il ritardo nelle esequie, il cadavere gonfio di gas di putrefazione e di pus della peritonite, premuto nella bara, letteralmente era esploso. E anche in seguito per le vicende della storia i suoi resti avranno poca fortuna, al punto che ne rimarrà solo un femore. Per il fortunato nipote del bisnonno Fulberto, a suo tempo preparatore di salme oltre che conciatore, il disgustoso episodio sembra paradossale. Ma sic transit eccetera.

Gli succede il figlio Guglielmo II Rufus, cioè “il Rosso” (forse per i connotati fisici). Rispetto al grande padre omonimo, resta una figura minore, forse schiacciata dal paragone: un uomo (parrebbe) di puri istinti, che sa gestire la vita pratica – militare, amministrativa – molto meglio di quella interiore. Scarsa devozione e una notevole disinvoltura sul piano morale gli resteranno appiccicati come un’etichetta, in particolare in campo sessuale: può interessarci poco la sua plausibile bisessualità, ma di fatto non si sposa e si dà allegramente da fare con donne anche maritate. Certo la dolce vita della corte, con le sue mode, i lussi e Sardanapalo imperante, non è fatta per piacere ai rigoristi di Chiesa: ma lui ci metterà del suo.

Consideriamo che il Rosso i rivali li ha tra i familiari, i propri fratelli e i parenti del padre; e la morte – meno di due anni dopo la sua ascesa al trono – del fedele e diplomatico consigliere del Conquistatore, l’arcivescovo italo-normanno Lanfranco di Canterbury, finirà a condurre a una serie di conflitti, passi falsi e contraccolpi nei rapporti della monarchia britannica con la Chiesa, ben oltre i limiti del regno del Nostro. Eventi futuri come l’assassinio di Thomas Becket e lo scisma anglicano trovano qui ideali prodromi (miticamente evocati nei cattivi rapporti tra Artù e i monaci in racconti dalla storicità discutibile).

Tra beghe diplomatiche col papato, successi militari (Scozia, Galles, Francia…), controllo di ribellioni dell’aristocrazia normanna, Guglielmo ha quarantatré o quarantaquattro anni quando il 2 agosto 1100 va a cacciare nella New Forest. E lì, in circostanze non chiare, una freccia lo raggiunge al polmone. Probabilmente non fa in tempo a ricordare i due familiari già morti sul posto, ma il contesto rimane poco chiaro. La Anglo-Saxon Chronicle riporta solo che Guglielmo è stato “colpito da una freccia da uno dei suoi uomini”. Di lì la corsa a identificare il possibile Lee Harvey Oswald della situazione: e salterà fuori il nome di un certo nobile Walter Tirel o Tyrrel (forse signore di Poix, forse fuggito per timore delle conseguenze del suo colpo accidentale, forse tanto abile da far escludere l’accidentalità del colpo), anche se i dettagli progressivamente affluiti resteranno incontrollabili – compresi i giuramenti di Tirel, ormai in salvo da qualunque conseguenza, di non essersi neppure trovato lì. Se ancora adesso emergono dubbi sulla morte di Lady Diana, è difficile pensare di risolvere con qualche certezza questo cold case del 1100.

Colpito, il re era caduto da cavallo e la freccia era penetrata più a fondo, uccidendolo. Il corpo, rinvenuto nella foresta, verrà portato a Winchester da popolani del luogo: suscitando qualche sospetto, il fratello minore di Guglielmo, Enrico, che aveva preso parte alla caccia, si affretta a Winchester per mettere al sicuro il tesoro reale – con qualche malumore del tesoriere – e poi a Londra, per farsi frettolosamente incoronare come Enrico I. Regnerà fino al 1135, e verrà detto “leone della giustizia” per le sue riforme in materia.

Che si veda l’episodio (come in alcune cronache) quale atto di giustizia divina contro il pessimo Rufus, o come un incidente fortunato – la caccia era pericolosa – che mette d’accordo tanti, o ancora come una procedura accelerata per risolvere in modo “pulito” un problema dinastico (ma vi si oppone che per Enrico sarebbe stato meglio aspettare un momento successivo, cioè che si fosse consumato il regolamento di conti tra Guglielmo e l’altro fratello Roberto) l’evento non sconvolge l’Inghilterra, e il dubbio resta.

Tra le varie ipotesi, la più intrigante resta comunque quella offerta da Margaret Murray ne Il dio delle streghe (1933), con un occhio agli studi di James Frazer:

Se […] si ammette che la religione professata da Rufus non era quella cristiana ma quella pagana, il suo comportamento diventa coerente e la sua vita e la sua morte sono consone alla sua religione.

Per cui la sua stirpe avrebbe considerato il re come dio “o come diavolo, se si usa la terminologia cristiana”, in riferimento alla nascita in Normandia di Roberto il Diavolo, nonno di Rufus. L’esclamazione asseverativa da Guglielmo II preferita, “Per vultum de Luca” non avrebbe richiamato la devozione alla venerata icona del Volto Santo di Lucca, ma un richiamo al norreno Loki, divinità/trickster poi demonizzata. I suoi amici più stretti sarebbero stati pagani, o contrassegnati da una patina solo leggera di cristianesimo. I suoi valori erano le virtù pagane, e la sua ferocia anche. La sua diffusa accettazione da parte della popolazione, si spiegherebbe con la sua adesione alla Vecchia Religione, ricollegabile all’ironia con cui trattava il cristianesimo e a una fiducia in se stesso da dio incarnato. Quanto alla morte, “egli sapeva che per lui era giunto il momento supremo”: la sera prima parlò a lungo coi ciambellani, e quel giorno sbrigò gli affari come per lasciarli a posto, mangiando poi e bevendo più del solito. Avrebbe poi consegnato due frecce nuove a Walter Tirel spiegando che era giusto venissero assegnate a chi sapeva “come assestare con esse colpi mortali”, e liquidato con una risata – e un dono – un monaco che aveva avuto in sogno un brutto presagio per quella caccia. Lo scambio finale con Tirel (“Walter, fa’ giustizia secondo quanto hai sentito”, “La farò, mio signore”) avrebbe siglato il tutto. La freccia di Tirel l’avrebbe poi raggiunto al cuore, e il re – spezzata la canna della freccia – si sarebbe gettato a terra per farla entrare a fondo. Secondo un’altra versione, avrebbe addirittura minacciato “in nome del diavolo” Tirel che esitava. Lo stesso tema su cui Guglielmo di Malmesbury insiste, lo sgocciolamento a terra del sangue del re durante tutto il percorso di trasporto del corpo, per quanto irrealistico, concorderebbe con “la credenza secondo cui il sangue della Vittima Divina deve versarsi sulla terra per renderla fertile”. Lamentazioni e riti funebri sarebbero stati particolarmente solenni, ma il lutto addolorato per lui della gente di campagna si ascriverebbe al loro mantenuto paganesimo. In compenso la notizia si sarebbe diffusa un po’ troppo velocemente, persino in Italia, come se fosse stata attesa o segnalata tempestivamente anche a grande distanza. La morte il 2 agosto a ridosso della festa del raccolto, Lammas, il giorno prima, permetterebbe di far considerare Rufus come Vittima Sacra della Vecchia Religione.

Le tesi di Murray sul dio delle streghe, dopo un trentennio di successo, e un’influenza innegabile sul pubblico popolare – fino a offrire basi “scientifiche” a un intero movimento, la nuova stregoneria Wicca – dagli anni Sessanta hanno trovato smentite sempre più convinte. Oggi in genere vengono screditate per l’impossibilità di dimostrare ciò che resta un’ipotesi suggestiva, intrigante ma difficile da sostenere nelle impalcature generali, di un’ipotetica Internazionale pagana. Alcune intuizioni sono state però recuperate da Carlo Ginzburg e altri studiosi, e in fondo pensare a sopravvivenze locali del paganesimo – per esempio nell’Inghilterra di Guglielmo II, in grazia di un lascito norreno – potrebbe non essere così incredibile. Resta il problema di testimonianze confuse, portatrici di indizi e non vere prove. Sembra anzi suggestivo avvicinare a Margaret Murray (1863-1963) il profilo e le intuizioni di un’altra fortunatissima autrice britannica, Agatha Christie (1890-1976), in apparenza diversissima e un po’ minore di età, pure vicina nell’interesse per l’archeologia e in particolare l’egittologia. Se Christie, nei suoi testi narrativi, mostra d’inseguire l’intreccio di mitologia e fantastico con una comprensione mitico-simbolica assai più profonda di quanto non sia usuale trovare in un poliziesco, gli indizi evidenziati da Murray per ascrivere al presunto culto del Dio cornuto personaggi come appunto Rufus, e poi Thomas Becket, Giovanna d’Arco, Robin Hood e Gilles de Rais uniscono all’improbabilità storica più volte denunciata dai critici una febbricitante vivacità romanzesca. Nel caso Christie abbiamo una narratrice che nella sua narrativa d’intrattenimento svela un’acuta percezione di una serie di meccanismi storico-antropologici (si pensi solo a The Mysterious Mr. Quin, 1930, alla ricchezza mitica stratificata in Dieci piccoli indiani o ai suoi pregevoli racconti occultistici), al contrario nel caso Murray abbiamo una studiosa che “fa” senza volerlo narrativa fantastica: e opere come Il dio delle streghe, pubblicato per un pubblico popolarissimo, possono leggersi anche come un romanzo appassionante e ricchissimo di trovate.

Lo stesso sito dell’incidente è comunque discusso: quello attualmente mostrato, a parte la difficoltà di definire con un nome un punto preciso della foresta, è fissato in via di tradizione. Presso il villaggio di Minstead, l’iscrizione oggi sulla pietra memoriale (o meglio sul suo sostituto in ghisa) riporta:

Qui sorgeva la quercia, sulla quale una freccia scoccata da Sir Walter Tyrell verso un cervo, rimbalzò e colpì Re Guglielmo il Secondo, detto Rufus, sul petto, per la quale morì all’istante, il secondo giorno di agosto, anno 1100.

 

Affinché il luogo in cui un evento così memorabile non potesse essere dimenticato; la pietra racchiusa fu eretta da Lord John Delaware che aveva visto l’albero crescere in questo luogo.

—–

Visto che questa pietra era stata molto mutilata e le iscrizioni su ciascuno dei suoi tre lati erano deturpate, questo monumento più durevole, con le iscrizioni originali, fu eretto nell’anno 1841 dal responsabile Wm [William] Sturges Bourne.

 

Re Guglielmo il Secondo, detto Rufus, rimasto ucciso come già riferito, venne posto su un carretto, appartenente ad un certo Purkis, e trasportato da qui a Winchester, e sepolto nella Chiesa Cattedrale di quella città.

Un trasporto del corpo sul carretto di Purkis, un povero carbonaio: meditatelo, signori del potere.

[1-continua]

Condividi questo contenuto...

Lascia un commento