Babygirl significa tante cose. Halina Reijn porta in scena la passione carnale di una dirigente d’azienda con il suo stagista, un’avventura alla scoperta di sé stessi che è smaccatamente indulgente ma sempre sorprendente.
Babygirl vuol dire attraente, sexy… ma significa anche innocenza, oppure eleganza e dolcezza. L’essenza del film ruota proprio intorno al titolo, che con un nome ci apre due mondi opposti dove essere Babygirl.
Intesa da una parte come l’estetica tratta dal sottogenere BDSM del DDLG (Daddy Dom and Little Girl/Babygirl), che comprende immagini e atteggiamenti innocenti che danno all’indossatrice adulta una rappresentazione fanciullesca.
Dall’altra come l’ultima locuzione giovanile uscita direttamente da TikTok, pronta a confondere chi si trova fuori dalla generazione Z, spalancando al contempo una riflessione sull’imporsi di uno stile semplicemente senza pregiudizi. Aperto e pronto a tutto. La verità è che non esiste una definizione chiara, se non che si tratti di personaggi maschili considerati non solo attraenti ma anche dolci e interessanti. È interessante perchè babygirl segna un’interessante pietra miliare nella linguistica web, quella in cui un termine femminile viene applicato a una figura maschile in modo non peggiorativo o dispregiativo.
Nicole Kidman e Harris Dickinson sono le due facce di “Babygirl”, protagonisti di questo film sulla negoziazione delle dinamiche di potere, che arriva nell’anno dell’esplosione delle commedie romantiche mainstream, la cui protagonista conduce una vita normale fino a quando non si trova di fronte all’appetibile pene di un uomo decisamente più giovane di lei.
Anche il questo caso Romy (Nicole Kidman), una potente dirigente di una società di spedizioni di New York, conduce una vita tutto sommato normale, fin quando i suoi desideri segreti vengono messi a nudo da uno stagista – la cui sicurezza di sé è al limite dell’insolenza – appena arrivato, Samuel (Harris Dickinson), iniziando una relazione, per certi versi oscura, costruita sulla dominazione e sul consenso, alla ricerca costante dell’orgasmo. Il personaggio di Dickinson sfrutta la posizione di potere di Kidman per manipolarla e farla diventare la sottomessa della loro relazione, anche se lei è entusiasta di assecondarlo, soprattutto a causa del sesso insoddisfacente (ma molto regolare) con l’affettuoso marito interpretato da Antonio Banderas. Orgasmi, grida e sbuffi, pelle nuda, sesso a quattro zampe, fisting e perversioni abbondano in un film che ha quantomeno la capacità di interrogarsi sul “il rapporto delle donne con il proprio corpo” e “il divario di orgasmi, l’enorme divario di orgasmi, che ancora esiste”, come dichiara la regista.
“Babygirl” sfrutta il sesso in tutte le sue prestazioni per affrontare il tema del lavoro e delle dinamiche inter-ufficio, offrendo un’interpretazione irriverente di ciò che accade oggi nella cultura aziendale, in cui la vita delle persone sempre più inserita in tempi dettati dal capitalismo si riduce a delle mura che ci intrappolano. Il film ci presenta una società, sempre più radicata nella tecnologia e nei ritmi serrati, in cui ogni cosa è controllata. Il che alimenta il desiderio di uscirne.
Romy dalla sua posizione di potere non replica le movenze dei dirigenti maschi, ma si confonde tra quelle di un’adultera provocante e una tremante slave, a cavallo tra il desiderio di sottomissione e il rifiuto di sottomettersi; ci coinvolge nel suo conflitto interiore su ciò che le sembra razionale e ciò che non lo è, combatte la sua personale battaglia erotica distruggendo ogni regola aziendale che oggi governa le relazioni sul posto di lavoro. Samuel d’altro canto la spinge a superare i limiti, èd è proprio la relazione non conforme con un suo sublaterno, nell’ultimo gradino della scala oltretutto, e che potrebbe mettere a rischio tutto ciò che ha costruito con fatica negli anni, la vera eccitazione.
È il tête-à-tête a essere sbilanciato in ogni suo accento, compresa le due generazioni che si scontrano. “Babygirl” cerca di introdurre la possibilità che le relazioni possano essere altro che monogame, superando l’idea del possesso in tutte le sue forme, in primis all’interno della canonica coppia etero, ma lancia una provocazione che non si gioca fino in fondo, lasciando un po’ in sospeso – con anche dei buchi di trama – il reale superamento dei ruoli di potere. Ma anche il grande merito di raccontare una storia d’amore non convenzionale, un patto d’amore a se stessi, non per forza sempre all’interno di una coppia. L’eccitazione non diventa e non rimane un tabù, la centralità è il piacere, quello femminile per una volta e sostanzialmente invita uomini e donne a parlare di più tra loro dei loro desideri clandestini a letto.
Maschietti. Prendete appunti.