Cade neve rosa su New York, con uno spettacolo poetico ma dal sapore amaro, come la crisi climatica che la provoca.
Adattando il romanzo americano del 2020 di Sigrid Nunez, What Are You Going Through, nel suo primo film in lingua inglese che sarà nelle sale dal 20 dicembre, Pedro Almodóvar ha realizzato un film dove il melodramma e la teatralità sono ridotti al minimo, dando vita a un lungometraggio molto misurato sulla vita, la morte e le responsabilità dell’amicizia.
Ciò che contraddistingue Pedro Almodòvar è la capacità di raccontare dei mondi estremamente complessi, e talvolta stigmatizzati, con estrema lucidità ma soprattutto senza giudizio. L’altra qualità che lo caratterizza è quella di aprire a temi di attualità estremamente importanti, inserendo in The Room Next Door uno slancio biografico rispetto a ciò che pensa: «Il film parla di una donna che muore in un mondo agonizzante – ha dichiarato in conferenza stampa – Il cambiamento climatico non è in dubbio, con un mondo in fiamme credo che ciascuno di noi debba manifestare contro questo negazionismo».
Il film, nella sua struttura, è piuttosto semplice. Parla di due donne, entrambe sulla sessantina, che sono amiche da molto tempo ma non si vedono da anni: Ingrid (Julianne Moore), una scrittrice di successo da poco tornata nella Grande Mela e Martha (Tilda Swinton), un’ex corrispondente di guerra per il New York Times. Si ritrovano quando la prima scopre la malattia, ormai a uno stadio terminale, della seconda.
È essenzialmente un film a due voci, con lunghe conversazioni sulla morte. Martha, ammettendo che la guerra è stata sia una scarica di adrenalina quanto un orrore, rivela anche che non è una stoica quando si tratta di dolore e che pensa “di meritare una buona fine”. Non ha smesso di voler vivere, ma si è stancata di combattere ad armi impari. Ingrid, d’altro canto, ha appena pubblicato un libro sulla sua paura della morte, eppure dopo qualche tentennamento sarà colei che la aiuterà a compiere il passo finale.
Il film presenta una serie di altri personaggi: è il caso de l’uomo con cui entrambe uscivano, un profeta del cambiamento climatico interpretato da John Turturro oltre che di Alessandro Nivola nei panni di un poliziotto asciutto che pubblicizza con orgoglio la sua santità. Nonostante le divagazioni, si torna sempre alla triste bellezza della decisione di Martha. È proprio qui che si inserisce il punto di vista di Amodòvar, perché teorizza l’opportunità di una dolce fine, serena e dignitosa. Contro la miseria della polizia e dei timorati di Dio, in un mondo prossimo al collasso climatico.
The Room Next Door non è un dibattito morale sul tema dell’eutanasia, ma pone l’accento sulla possibilità di prendere il controllo del proprio destino. Il film in un certo senso non parla esclusivamente di morte, ma nell’onestà senza mezzi termini con cui affronta l’argomento si schiera con forza dalla parte della vita e dell’avere diritto di scelta.
Il regista, che fino al 25 settembre non sarà entrato nell’ultimo quarto di secolo – come ci tiene a ribadire – usa James Joyce per sviluppare una riflessione dolcemente sentita sull’invecchiamento e sul fatto se sia sano o meno trovare gioia anche nelle circostanze più disperate.
“(…) La neve cadeva su ogni punto dell’oscura pianura centrale, sulle colline senza alberi, cadeva lenta sulla palude di Allen e, più a ovest, sulle onde scure e tumultuose dello Shannon. Cadeva anche sopra ogni punto del solitario cimitero sulla collina dove era sepolto Michael Furey. (..) come la discesa della loro ultima fine, su tutti i vivi e su tutti i morti”, recita a un certo punto Martha servendosi a piene mano di “Gente di Dublino” per dire che la vita ci appare come la discesa della neve infinita, che copre tutti, che non fa sconti, e distrugge la possibilità di rifugio nelle certezze che abbiamo, invitando allo stesso tempo, una volta arrivato il disgelo, a costruircene delle altre.