Se V per Vendetta influenzò massicciamente la cultura pop e il cinema mainstream venendo visto come un’allegoria dell’oppressione autoritaria del capitalismo, la figura di Joker non è da meno. Ricorderete come per anni a maschera di Guy Fawkes riempiva scioperi e cortei, la utilizzavano gruppi come Anonymous e Occupy Wall Street, l’abbiamo ritrovata nelle primavere arabe come a Euromaidan, fino al movimento pro-democrazia di Hong Kong.
Anche Joker nella Gotham City di Todd Phillips ha creato sicuramente un immaginario, ci sono schiere di facce dipinte di bianco che lo acclamano e lo considerano un eroe; è diventato un po’ un fenomeno, oggetto di ossessione da parte dei “fan”, soprattutto dopo che un mediocre film per la TV ha raccontato la sua sanguinolenta ascesa alla fama.
Folie à deux significa follia condivisa, forse come due amanti che viaggiano sulla stessa lunghezza d’onda o forse come uno scontro all’interno della testa di una persona disturbata. Si gioca molto sul concetto di doppio e di coppia in questo sequel dove Joker combatte nel costante tentativo di capire quanto voglia essere spietato assassino e quanto – allo stesso tempo – voglia tornare Arthur Fleck.
La trama potrebbe essere riassumibile in tre righe, anche se presentato come un “musical jukebox da sogno”, in realtà è più un dramma giudiziario, dato che tutto ruota principalmente intorno al processo per i cinque omicidi commessi nella precedente parte della storia, quella di cui al film Joker del 2019.
Arthur (Joaquin Phoenix) sta deperendo nell’ospedale statale di Arkham, la cui routine quotidiana prevede di essere svegliato da chiassosi secondini che gli chiedono di raccontare barzellette mentre si dirige al bagno; non parla più molto – assolutamente non sorride più, men che meno si abbandona alle sue liberatorie risate – fin quando non incontra Harleen “Lee” Quinzel aka Harley Quinn (Lady Gaga) con cui inizia un’avventata relazione. Anzi, i due si innamorano profondamente, aggiungendo alla già esistente adorazione di sé, un narcisismo patologico che non lascia presagire niente di buono. L’amore è l’unica cosa che Arthur abbia mai desiderato e che da sempre gli è mancato, per questo non si cura dei consigli del suo avvocato Maryanne Stewart (Catherine Keener) che lo mette in guardia da Lee che vede in lui solo il folle pazzo che ha ucciso senza pietà una serie di persone, è attratta dal sangue, dalla malvagità, dal dolore. Anche quando cantano, lui si concentra nelle litanie d’amore, lei in quelle sul potere. Sono eseguite in maniera magistrale con un alternarsi di voci, roche e stanche “nel mondo reale”, intonate, potenti e suadenti nei sogni di Arthur, con la capacità di cambiare registro e timbro affrontando dei grandi classici della musica americana, come i grandi classici Get Happy di Judy Garland, For Once in My Life di Stevie Wonder, That’s Entertainment! di Fred Astaire, That’s Life di Frank Sinatra.
Inoltre, insiste perché si dichiari pazzo e pensa che la migliore difesa sia trattare “Joker” e “Arthur” come personalità distinte che vivono nello stesso corpo. Arthur stesso è combattuto. Capisce che l’appello all’infermità mentale è la sua unica possibilità. Ma desidera anche riabbracciare il suo destino di Joker, quel clown spaventoso che gli ha dato la celebrità e gli ha portato l’amore.
Inizia il “Processo del secolo” , in aula ci sono sia il giudice Herman Rothwax (Bill Smitrovich) che ordina fin dall’inizio che non è consentito alcuno scherzo, che il procuratore distrettuale di Gotham, Harvey Dent, che – come sapranno i più appassionati lettori della saga di Batman, ideata da Bill Finger e Bob Kane e pubblicato dalla DC Comics – sarà destinato a diventare il diabolico Due Facce (non in questo film).
La disavventura musicale cammina sul confine tra realtà e fantasia, dove si raccontano i retroscena cupi e crudi dell’infanzia violenta di Arthur Fleck, i suoi problemi di salute, la figura di sua madre, fino alla creazione della sua nuova identità e quindi la sete di sangue. Si analizza tutto questo ma non lo si vede compiere nessuna delle elaborate rapine che lo hanno reso uno tra i più famigerati nemici di Batman.
L’idea di concentrarsi sul periodo di Fleck precedente al crimine, è ciò che ha reso Joker nel 2019 così innovativo. Un successo inaspettato, con un incasso di oltre un miliardo di dollari, è stato candidato a undici Oscar e ne ha vinti due, tra cui quello per il miglior attore a Joaquin Phoenix. Nel sequel ci si aspettava azione, un po’ di più quantomeno di quella che può regalare una grigia aula di un tribunale.
Apprezzabile il coraggio e forse un pizzico di incoscienza – o forse sopravvalutazione – ma Joker: Folie à Deux crolla sotto il peso delle aspettative. Ne esce sconfitto principalmente il protagonista: la figura di Joker viene infatti del tutto spogliata del lato politico, si spegne del tutto quella rabbia nata dal senso di ingiustizia e dall’emarginazione sociale; non emerge – per di più – quel outsider bistrattato dalla società, tratto peculiarissimo di tutto il suo essere.
I sostenitori di Joker si radunano in migliaia fuori dal tribunale, la sua furia omicida ha avuto un impatto su tutte quelle persone disilluse dalla società, creando un’influenza che Todd Phillips vedeva nel primo film come la necessità intestina della gente di avere un leader che gli dica cosa fare e come. Alla fine del processo non c’è Joker, ma c’è Arthur e l’unica consolazione rimane un finale lasciato aperto.