L’Italia vuota dove ci si ammassa in città insostenibili

Le due maggiori critiche che alcune persone fanno a chi vuole percorrere strade alternative a quelle del sistema “lavora, produci, consuma e crepa” sono:
1) Chiunque riesce a cambiare è sicuramente ricco sfondato, solo con tanti soldi si può fare e chi ci riesce è figlio dei reali di Inghilterra o qualcosa di simile.
2) Non è sostenibile vivere in campagna e non lo potrebbero fare tutti i 59 milioni di italiani. 

Queste critiche provengono normalmente da due tipi di persone

1) Soggetti frustrati da una vita senza senso e infelice, che devono per forza dare addosso a chiunque riesca nel cambiamento, perché non potrebbero mai ammettere a se stessi che qualcuno ce l’ha fatta. Se infatti accedesse questo, certificherebbe la loro inettitudine e miseria morale. In poche parole, se non ci riescono loro (o non vogliono), non ci deve riuscire nessuno e chiunque ci prova va attaccato, deriso, calunniato, gli va gettato addosso più fango possibile.
2) Soggetti pagati da qualcuno che ha interessi diversi da chi con il suo cambiamento potrebbe intaccare questi interessi.

In questa occasione analizziamo la seconda critica, anche grazie all’aiuto del bel libro di Filippo Tantillo che si intitola L’Italia Vuota, dove l’autore fa un viaggio nelle aree interne e remote d’Italia.
L’autore non fa che certificare con le sue storie quello che diciamo da sempre, ovvero che l’Italia da sud a nord, da est a ovest è un paradiso terrestre abbandonato ovunque. Le persone si concentrano nelle grandi città o nei luoghi maggiormente antropizzati e tutto il resto è un semi deserto. L’autore evidenzia le enormi potenzialità di persone, natura e idee che contraddistinguono quella che lui chiama l’Italia Vuota e dove le istituzioni e sopratutto la politica, sono spesso l’ostacolo maggiore per una reale rinascita di questi preziosi luoghi. Posti dove si fanno arrivare anche soldi che però, come da tradizione italica vengono spesi male o peggio, creando a volte più danni che altro, laddove la prassi italiana è: diamo soldi e il problema è risolto. Oppure si cerca di attrarre un turismo che ben poco ha a che vedere con le potenzialità vere di quei luoghi. Potenzialità che sono proprio l’indipendenza da qualsiasi logica mercantile e di sfruttamento grazie alla loro inestimabile e intrinseca ricchezza.
E in questo ragionamento rientra anche la risposta a chi dice che non si possono ripopolare i luoghi marginali di cui appunto l’Italia è strapiena. Infatti le persone che prima abitavano le campagne si sono riversate nelle città, ergo quei paesi sono rimasti abbandonati o semi abbandonati. Quindi senza postulare alcun esodo biblico, basterebbe che le persone ritornassero ad abitare i luoghi che hanno abbandonato. Chi li ha abbandonati per andare nelle città probabilmente non lo farà; ma i giovani, o comunque persone che si accorgono che le città sono sempre più invivibili, stanno facendo questo passo.
Ma guardiamo anche ai dati, per smentire ulteriormente i deliri di chi afferma che andare a vivere in campagna sarebbe insostenibile, considerando pure che la popolazione italiana è in costante diminuzione dal 2014 e se non ci fossero gli immigrati, odiati da tanti ma indispensabili per tutti, in primis per i razzisti, la nostra “razza” italica scomparirebbe fra non molto, visto che figli se ne fanno sempre meno.
In ogni caso è evidentemente un’assurdità affermare che tutti i 59 milioni di italiani si trasferiscano domani mattina nelle campagne, anche perché il 25% della popolazione già vive in campagna e qui si smaschera la prima stupidaggine dei deliranti.
Il resto degli italiani per il 34% vive in grandi città e per il 41% in città piccole e medie e, guarda caso, le persone che vivono nelle grandi città in maggior parte sono proprio quelle che se ne sono andate dai loro paesi di origine che ora sono abbandonati. Provate a trovare girando per la città un milanese a Milano o un torinese a Torino e ci metterete una settimana a trovarne uno (se lo trovate).
Quindi le campagne e i posti abbandonati ovunque in Italia, potrebbero tranquillamente riospitare le persone che già prima ci abitavano, loro o le loro famiglie di provenienza. Inoltre la campagna è di gran lunga più sostenibile rispetto alla città che di per sé e l’insostenibilità in tutto e per tutto, a iniziare dalla cosa più elementare e cioè la difficoltà ad auto prodursi cibo ed energia.
In città i consumi, le spese, l’inquinamento, lo stress sono altissimi e quindi l’esatto contrario della sostenibilità. In campagna essendo vicini alla natura, tutti questi aspetti sono minori se non assenti e inoltre gruppi di persone che vivessero in progetti di ecovicinato, non solo sarebbero sostenibili ma porterebbero all’indipendenza quei luoghi, cosa che le città, dipendenti in tutto dall’esterno, avrebbero molto difficilmente. E oltre all’indipendenza porterebbero lavoro, creatività, speranza e positività, aspetti che il cittadino che corre dalla mattina alla sera all’impazzata facendosi largo fra smog, cemento, lamiere e caos, fa assai fatica ad ottenere.
Lo ribadisce Tantillo quando parla dell’arte e degli artisti che: « Sentono che nelle città le combinazioni possibili sono esaurite, che non c’è più spazio per la produzione artistica, che si sono ridotte a luoghi di consumo, che sono devastate dalla natura corrotta e megalomane del capitalismo mercantile».
Coniugando quindi la lotta a qualsiasi spreco, i bassissimi consumi energetici, idrici e di altro tipo, l’indipendenza energetica e alimentare, la tutela del territorio, la riscoperta delle relazioni dirette con gli altri e l’aiuto reciproco, la vita in campagna è la vera risposta sostenibile che percorreranno sempre più persone, che piaccia o meno a chi non riesce a sopportare che ci sia chi vuole stare meglio e aumentare la propria qualità della vita.

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