Vogliamo dire in che senso ripetiamo che l’aborto è violenza.
L’aborto è violenza perché è sanguinoso
Perché è fatto come è fatto
Perché espone alla galera
È violenza perché è vissuto sotto valori dettati dalla società capitalistica-cristiana
È violenza perché si vive con sensi di colpa, lascia il rimpianto e i sensi di colpa e di peccato, come se si fosse rinunciato a un’occasione di realizzarsi.Il sottosopra 1975, “Fascicolo speciale sessualità, procreazione, maternità, aborto”
Il 28 settembre ricorre la giornata internazionale per un aborto libero e sicuro. In un momento in cui in Italia i diritti delle persone che vogliono abortire si vedono sempre più sgretolati da una legge che non permette l’autodeterminazione dei corpi e da tutti quei provvedimenti varati nell’ultimo anno che lasciano sempre più spazio ai gruppi provita, è necessario innanzitutto ribadire che abbiamo sempre abortito, e sempre abortiremo.
La legge 194/78 che regola l’aborto in Italia è una legge stantia, da superare, frutto di un accordo tra PCI e DC. Nonostante fu una grande vittoria dei collettivi femministi, fu allo stesso tempo aspramente criticata. Quando l’allora Presidente della Repubblica Leone nel 1976 sciolse le camere per evitare che la legge sull’aborto fosse scritta dal basso dalle femministe, fu chiaro come lo Stato benché avesse capito che non era più possibile non ascoltare le voci dei movimenti femministi, voleva continuare ad avere il controllo della riproduzione. Cosa che fece proprio con la 194, approvata nel 1978 con il governo Andreotti IV.
In sintesi, secondo una parte del movimento, il testo della legge appena approvata, pur favorendo la creazione di un nuovo spazio di espressione per le donne, finisce per ridurlo gradualmente. Questo perché restano attivi tutti i meccanismi che, di fatto, ostacolano l’attuazione delle loro decisioni e rendono il loro percorso estremamente difficile, quasi come se fosse un rito punitivo.
“La legge, all’epoca, in una lettura di antagonismo tra medico e paziente mi sembrava limitante perché prevedeva l’autorizzazione del medico, un certificato che documentasse lo stato di necessità dell’IVG. Poi ho riconosciuto come molto positivo il fatto che la 194 garantiva IVG negli ospedali pubblici e gratuitamente anche se la diffusione della sanità privata è tale da rendere poco credibile una proposta del genere (…) Vedo come un suo grave limite l’obiezione di coscienza, che tutto sommato ritengo giusta, ma che in assenza di meccanismi correttivi ha fatto si che negli ospedali la maggioranza di ginecologi si sottrasse all’applicazione della legge, il problema è che i ginecologi di ogni reparto di ostetricia finiscono con il vedere ridotta la loro attività professionale ai soli aborti, cosa non ammissibile”. (Luciana Percovich, La coscienza del corpo).
È interessante vedere come in questi anni nei movimenti si discute di ecotransfemminismo, di parentele postumane, di come poter vivere famiglie transpecie che possano vivere insieme al territorio e le sue comunità, su come ri-creare forme di vita che tengano insieme le lotte per l’autodeterminazione dei corpi con quelle della sopravvivenza della Terra non antroponormata, immaginando nuovi mondi riproduttivi per “sovvertire ‘attuale ordine familista ed eccezionalista, per interrompere la sofferenza ecologica di popoli ed ecosistemi.” (Angela Balzano, Per farla finita con la famiglia).
Nel frattempo che noi femministe ragioniamo, complessifichiamo, ci ascoltiamo per creare immaginari e desiderare mondi nuovi vediamo sgretolarsi i nostri diritti all’autoderminazione. Rileggere la politica, ripartire da quando una legge per l’aborto non esisteva ancora ma si lottava per averla.
“Il lavoro politico va orientato e la soluzione va cercata nell’affermazione del corpo femminile che è: sessualità distinta dal concepimento, capacità di procreare, percezione della sessualità interna, cavitaria: utero, ovaie, mestruazioni. E il rapporto con le risorse, la natura, la produzione e la riproduzione della specie va impostato nel senso della socializzazione anziché dei tentativi di razionalizzare, mantenendola, la struttura familiare, la proprietà privata, lo spreco.” (il Sottosopra, 1975).
Un report uscito da “Medici del mondo” dal titolo “Aborto ad ostacoli: come le politiche di deterrenza minacciano l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza in Italia” prova a fare un punto di quello che è lo stato dell’aborto in Italia nel 2024.
La legge 194 consente di richiedere un’interruzione volontaria di gravidanza entro i primi 90 giorni dal concepimento, ma presenta diverse ambiguità che sono state sfruttate dai provita, creando nel tempo vari ostacoli. Tra questi, si evidenziano gli elevati tassi di obiezione di coscienza (nel 2021, la media nazionale era del 63,4% tra i ginecologi) e la presenza di gruppi antiabortisti all’interno di ospedali e consultori.
In particolare, la situazione degli obiettori di coscienza non è omogenea, con picchi dell’84% tra i ginecologi in Abruzzo, del 77,8% in Molise e dell’85% in Sicilia. Nella Provincia autonoma di Trento, invece, la percentuale è del 17,1%, seguita dalla Valle d’Aosta (25%) e dall’Emilia-Romagna (45%). In Italia effettuano l’IVG il 59,6% delle strutture con reparto di ostetricia e ginecologia (nel 2020 erano il 63,8%), anche qui con forti differenze tra le Regioni. Sono disponibili, come media nazionale, 2,8 punti IVG ogni 100mila donne in età fertile. I valori più bassi si registrano in Campania (1,5 punti IVG per 100 mila donne), Molise (1,8) e nella Provincia autonoma di Bolzano (1,8) (report Medici del Mondo).
È interessante notare che i dati che abbiamo a disposizione, come riporta “Mai Dati, dati aperti sulla 194”, sono sempre indietro di 3 anni e non sono nemmeno completi. Non solo mancano i dati reali sull’obiezione di coscienza, ma anche quelli delle persone che abortiscono: questo mancato accesso reale ai dati impedisce di riuscire a valutare con certezza l’entità del mancato accesso all’aborto. Se l’Istat, infatti, raccoglie (in modo parziale) il numero delle persone che accedono all’IVG, per l’obiezione di coscienza la raccolta dei dati è differente, si legge infatti “Come sono raccolti i dati sugli obiettori all’interno degli ospedali non lo sappiamo con esattezza. Possiamo immaginare, dalle risposte che ci hanno mandato, che si passi dall’avere dei sistemi di raccolta “digitalizzati” a dei fogli volanti scritti a mano e consegnati di persona “a chi di dovere” e a chi deve spedirli in Regione”.
Un altro fattore da considerare, che difficilmente emerge dai dati, è che non basta essere non obiettore per eseguire aborti (cioè per essere tra quelli che garantiscono una procedura medica), e quelli che eseguono aborti sono un sottoinsieme dei non obiettori che sono a loro volta un sottoinsieme di tutti i medici. Non solo, quindi, i numeri che abbiamo a disposizione sono preoccupanti, ma probabilmente sono anche sottostimati.
Ma il problema dell’obiezione di coscienza, per alcune persone, non è nemmeno il primo che incontrano: chi non fa parte del sistema di genere binario è escluso a priori dal diritto all’IVG. Le persone non binarie, trans e intersex non sono nemmeno previste per la legge 194. Per quanto riguarda la salute sessuale e riproduttiva delle persone trans e l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza, la situazione è complessa: se per le donne cisgender l’accesso all’aborto è già difficile, per le persone trans con utero ma con una “M” sui documenti, l’accesso non è neanche previsto. Questo riflette la mancata considerazione da parte dello Stato dell’esistenza di persone con utero che non si identificano come donne.
Si tratta di un controllo feroce dello Stato sui corpi: su quelli delle donne, la cui salute mentale è minacciata dalla necessità di affrontare una maternità forzata e non dalla decisione di abortire; su quelli delle persone trans e con utero, la cui stessa esistenza viene negata di fronte alla mancanza di un diritto fondamentale; e in modo ancora più violento, sui corpi di persone razzializzate che per motivi di permessi di soggiorno scaduti, per scarsa conoscenza della lingua o per mancanza di informazioni adeguate, non riescono ad accedere liberamente ad un servizio che dovrebbe essere garantito.
Da quando si è insediato il governo Meloni il diritto all’IVG è minato ancora di più dall’interno. Lo scorso 23 aprile il Senato ha approvato un emendamento all’articolo 44 del disegno di legge per l’attuazione del PNRR intitolato “Norme in materia di servizi consultoriali” nella quale si permette l’ingresso dei pro-vita all’interno dei consultori. Questo accadeva da sempre, in quanto era già previsto dall’articolo 2 della 194 ma ora si esplicita l’appoggio governativo alla presenza di questi gruppi nella sanità pubblica e i percorsi per l’ingresso di associazioni e gruppi antiabortisti nella sanità pubblica potrebbero essere più agevoli, non richiedendo convenzioni o altri provvedimenti amministrativi.
Negli ultimi anni, il Piemonte è diventato un simbolo delle politiche legate antiabortiste. Il 30 maggio scorso, l’assessore alle Politiche sociali della Regione, Maurizio Marrone, rappresentante di Fratelli d’Italia, ha consegnato ai volontari del Movimento per la Vita le chiavi della “Stanza per l’ascolto”. Questo spazio, situato all’interno dell’ospedale Sant’Anna, è il primo in Piemonte per numero di interruzioni volontarie di gravidanza, con 2.500 casi nel 2021, di cui il 90% avvenuti a Torino e il 50% a livello regionale. La “Stanza per l’ascolto” è il risultato di un accordo tra l’Azienda Città della Salute e della Scienza di Torino e il Movimento per la Vita, dove i volontari ricevono le donne e offrono un sostegno economico a coloro che decidono di non interrompere la gravidanza.
È simbolico come è proprio al Sant’Anna di Torino che i pro-life hanno aperto la prima stanza dell’ascolto perché quando fu varata la legge 405/1975 sulla gestione dei consultori famigliari e chiusura dell’esperienza dei consultori autogestiti, ci fu l’occupazione del Sant’Anna, nata dalla volontà di avere un confronto a tutto campo con l’intera organizzazione ospedaliera.
“Fu un momento assai intenso. Dormivamo lì, incontravamo al mattino infermiere e primari, stavamo insieme alle donne che dovevano abortire. Ricordo anche le tante riunioni fatte per stendere una bozza di legge sull’interruzione di gravidanza come movimento femminista torinese; alla fine avevamo pronta una nostra proposta, discussa proprio nel merito, punto su punto, come noi la volevamo. Volevamo un cambiamento complessivo della medicina, contro la dipendenza dal medico e dall’istituzione ospedaliera, volevamo che il corpo delle donne fosse valorizzato, rispettato, non era solo un mirare all’aborto” (Percovich, La coscienza de corpo).
Ricordando che quando fu varata la legge 405/75 le femministe dei consultori autogestiti che praticavano self help come pratica politica avevano capito subito la pericolosità di una legge che toglie i consultori alle femministe e li depoliticizza.
“State confermando l’impressione di questa legge sui consultori come di uno strumento usato contro di noi, per normalizzare, accogliendo la domanda, una situazione esplosiva. Una mossa per svuotarli di contenuto, per disinnescare la loro pericolosità” (A cura di, Narrazioni e pratiche di un lavoro sociale, Maria Teresa Battaglino).
In questo momento i consultori famigliari sono luogo dover poter richiedere la Ru486 ma nella realtà in molti consultori non viene spiegato alle donne che hanno un’alternativa al ricovero in ospedale. E anche nei casi in cui la pillola Ru486 venga somministrata, si fa in ambulatorio, quindi con l’obbligo di sottoporsi a più appuntamenti, mentre in altri Paesi si può prendere a casa propria, con l’aiuto della telemedicina”, scrive Federica di Martino.
Ma non ci sono solo gli antiabortisti nei consultori, la difficoltà di accedere alle informazioni, i medici obiettori, la negazione della Ru486, ma ci sono anche altre pratiche che rendono l’accesso all’IVG complesso: “il linguaggio denigratorio, l’ascolto del “battito” del feto (su cui la comunità scientifica non è unanime) e la negazione degli antidolorifici sono solo alcune delle pratiche a cui sempre più di frequente vengono sottoposte le donne” (Report “Aborto a ostacoli”).
Senza contare che tutto questo mina notevolmente la salute mentale delle persone che vogliono accedere ad un’interruzione volontaria di gravidanza.
In questo panorama desolante non mancano però le risposte dal basso di mutuo aiuto, che parallelamente alla lotta per andare oltre la 194 mappano il territorio italiano per aiutare le persone a trovare ospedali con medici non obiettori (come Obiezione respinta), accompagnamenti all’IVG quando il diritto viene negato o piattaforme come Women on Web che supportano l’accesso all’IVG con procedura farmacologica anche quando è ostacolata dalle legislazioni nazionali. Oppure Women Help Women, un’organizzazione composta da attiviste femministe, personale medico professionista e ricercatrici che prevede un servizio di telemedicina che fornisce informazioni, supporto e pillole abortive.
Oltre al mutuo aiuto, è importante lottare per un aborto libero e sicuro, per un’educazione sessuale transfemminista nelle scuole, per consultori capillari, per una contraccezione gratuita, per un’informazione sull’IVG non violenta né colpevolizzante, per eliminare le settimane di ripensamento per accedere all’aborto, affinché non esistano stanze dell’ascolto, affinché i pro-vita escano dai consultori, affinché non ci sia l’ascolto del battito del feto, per avere accesso ai dati attuali, per depenalizzare l’aborto fuori dalle strutture ospedaliere e per eliminare la presenza di medici obiettori negli ospedali.
“La nostra pratica politica non accetta di frazionare e di snaturare i nostri interessi: vogliamo fin d’ora partire dalla materialità del corpo, analizzare la censura che gli è stata fatta, e divenuta parte della nostra psicologia. Agire per il recupero del nostro corpo, per un sapere e una pratica diversa che parta da questa analisi materialista. Senza la quale analisi è ridicolo parlare di «libera disposizione del corpo», e il conseguimento delle riforme servirà a soffocare la nostra lotta anziché svilupparla” (Il sottosopra, 1975).