L’ITALIA E’ SOTT’ACQUA, MENTRE L’URAGANO AMERICANO HA DELUSO I CLIMATOLOGI

In questo ennesimo fine settimana di catastrofi ambientali vediamo l’Italia flagellata da frane, alluvioni, crolli, esondazioni.

Da quanto tempo nel vostro comune non si fa manutenzione seria e profonda a strade, rete fognaria, ponti, fossi e canali?

Da quanto tempo la tanto sbandierata “cura e salvaguardia” del territorio è lasciata a se stessa?

“E’ colpa del cambiamento climatico”. Non di trenta anni di tagli e politiche di austerità anti sociali e anti popolari. E via alle drammatiche situazioni che vediamo nei vari territori, dove si userà l’emergenza per riconfigurare vita civile, economia e assetto del territorio. Che non è lasciato affatto alla deriva, nel senso che al momento giusto sarà curato alla grande: assicurazioni obbligatorie anticatastrofe, accentramento della popolazione rimanente verso le metropoli, e tutto quello che volete, inclusa la speculazione edilizia e la legittimazione totale delle politiche green di deindustrializzazione e disoccupazione in corso.

E’ con l’emergenza che si fanno le politiche shock.

Da dove viene l’idea, l’ideologia del catastrofismo per il reset generale?

Buona lettura.

Di Franco Maloberti

Per un po’ di giorni siamo stati bombardati dalle previsioni catastrofiche riguardanti l’uragano Milton. Le televisioni nostrane hanno fatto vedere grandiosi preparativi, con pannelli di legno avvitati a protezione delle case di pseudo-cartone degli americani. Poi, grandi serpenti di macchine che fuggivano dalle zone del possibile “landfall”. Tutto questo non è così ingiustificato, dato che un uragano non è una pioggerellina da niente. Gli uragani sono cattivi, ma gli uragani nella zona del golfo del Messico non sono una rarità.  Viene allora il dubbio che l’enfasi sia stata per far credere che questo disastro annunciato sia colpa dei “cambiamenti climatici”, quelli che una volta erano “riscaldamento globale”.

Infatti, se c’è siccità è colpa dei “cambiamenti climatici”.  Se c’è la pioggia è colpa dei “cambiamenti climatici”.  Se fa caldo d’estate è colpa dei “cambiamenti climatici”.  Se fa freddo d’inverno è colpa dei “cambiamenti climatici”.  Il tutto declamato da impaurite bellocce dei telegiornali. Figuriamoci allora se c’è un uragano!

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Ci sono sempre dei baldi climatologi che spiegano al volgo che i “cambiamenti climatici” sono quelli che hanno peggiorato la situazione negli ultimi vent’anni o giù di lì. Poverini, non sanno che l’asse dei tempi del clima è di centinaia o anche di migliaia di anni e usare un periodo di qualche decina è da stupidi o in malafede. Poi, che ora la situazione sia peggiore è tutto da dimostrare.

Torniamo a Milton. È un uragano che è cresciuto di categoria nel golfo del Messico per arrivare, al largo, a categoria cinque, il massimo della scala Saffir-Simpson. Vicino alla costa, come sempre avviene, ha ridotto di intensità ed ha effettuato il “landfall” in categoria tre. Dopo aver attraversato la Florida, facendo uno sconquasso relativo, è diventato tempesta tropicale.

Questo Milton è un bell’uragano, ma non così anomalo. Se si va sul sito https://www.weather.gov/mob/tropical_events si trova la storia degli uragani del passato e si può verificare che come questo Milton ce ne sono stati parecchi, e anche di molto peggio. Tra i peggiori, quelli di categoria cinque, abbiamo il San Felipe del 1928, il Labor Day del 1935, Camille del 1969, Andrew del 1992, Michael del 2018, e, il più noto, Katrina del 2005 che distrusse New Orleans. Poi, ce ne sono molti di categoria quattro distribuiti a caso negli anni.

Si trova anche un sito, il geopop.it, che fornisce la statistica degli uragani più forti e distruttivi della storia. Milton è nelle liste ma questo è per prestazioni prima del “landfall”. Comunque, per la velocità dei venti, vince Allen del 1980 con 305 km/h, seguito da Labor Day (1935) con 295 km/h. Per la pressione minima al vertice c’è Wilma (2005) con 882 mbar seguito da Gilbert (1988) con 888 mbar. Milton è sempre in media classifica.

In realtà, da un punto di vista della frequenza, c’è un leggero incremento nel numero di tempeste tropicali, ma questo è, presumibilmente, dovuto all’aumentata raffinatezza degli strumenti di osservazione. Ora si usano satelliti e misure remote dei parametri fisici, tipo pressione e velocità del vento. Decine di anni fa questo non era possibile e molte tempeste tropicali, inclusi gli uragani che si esaurivano nell’oceano, non erano registrati.

Come nascano gli uragani non è molto capito. Una spiegazione semplice è che si formano nelle zone tropicali e subtropicali dove la temperatura del mare è alta e per l’umidità si formando delle perturbazioni che portano in alto l’aria calda e umida. Questa, arrivata in quota, si condensa e attira altra aria calda provocando così un processo a reazione positiva. Perché, e come venga innescata la reazione positiva, non è chiaro e non si capisce quale sia il legame tra tempeste tropicali e gli irregolari cicli El Niño-La Niña. Ora c’è El Niño (fase calda) e nonostante questo il NOAA (Atlantic Oceanographic and Meteorological Laboratory-AOML) non lancia allarmi. Quanto prevede è, grosso modo, la norma.

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La novità dei nostri tempi è che, come sembra, ci siano tecnologie atte a creare, controllare e dirigere gli uragani. È ormai consolidata la tecnica di inseminazione delle nuvole per provocare la pioggia. Invece, per gli uragani il problema non ha soluzioni ben definite. Seminare le nubi con particelle di ioduro d’argento, per incoraggiare la formazione di precipitazioni nelle altitudini più elevate dell’uragano, non ha avuto successo, come è stato verificato negli anni ’60. Agire attorno o sul mare dove passa l’uragano sembra ora una strada da seguire (o seguita). Sui social media, dopo le distruzioni degli uragani Helene e Milton, si sono diffuse voci secondo le quali qualcuno aveva causato o alterato le tempeste tramite qualche tecnica di modifica del meteo. Le affermazioni sono state immediatamente classificate come assolutamente false, anche se ci sono stare curiose deviazione di uragani, come quello di Helene che ha colpito aree del Nord Carolina dove, dicono gli abitanti, il governo vorrebbe sequestrare i terreni per estrarre il litio.

Comunque, tecniche di modifica del clima sono di antica data. Il progetto americano Cirrus, iniziato il 28 Febbraio 1947 e condotto da General Electrics, doveva studiare le particelle di nuvole e la loro modifica. Il progetto è andato avanti fino al 1952. Il progetto americano Stormfury del 1962 era per ridurre l’intensità degli uragani. Il governo degli Stati Uniti con l’operazione Popeye aveva usato l’inseminazione delle nuvole per creare precipitazioni extra e interrompere le catene di approvvigionamento nemiche durante la guerra del Vietnam, 1967-72. Le recenti anomale e disastrose piogge a Dubai non sembrano certo un fenomeno molto naturale.

I climatologi nostrani strillano che la colpa è del “cambiamento climatico”, la bestia nera dei nostri tempi. Per questa operazione, che serve a impaurire la gente comune, sono aiutati dalle televisioni. Ad esempio, in un telegiornale di giorni fa è stato “intervistato” Luca Mercalli, presidente della Società Metereologica Italiana e catastrofista. Ovviamente per Luca, adornato da uno sgargiante papillon, Milton è uno degli uragani più potenti degli ultimi decenni e deve la sua forza ai cambiamenti climatici. Questi hanno causato, pensate, l’aumento di due gradi della temperatura media superficiale degli oceani. La prima osservazione è traballante, di uragani anche più potenti ce ne sono a bizzeffe; per la seconda affermazione, il nostro ha dimenticato di dire che l’aumento di due gradi è in Fahrenheit che sono circa il doppio dei gradi Celsius. Poi, l’aumento sarebbe quello dal 1920 a oggi.  C’è stata dopo il 1920 una diminuzione e poi una risalita; dal 1940 l’aumento è di soli 0,5 gradi Celsius. Ancora una volta si deve dire che la misura delle temperature (o le sue stime) di decine di anni fa era molto imprecisa. Pensare che la misura della temperatura media degli oceani del 1920 abbia una precisione di una frazione di grado è da falsificatori incalliti.

Negli USA la situazione è simile. Una bionda fanciulla, Gloria Dickie, giornalista che scrive di cambiamenti climatici (ma non si sa dove abbia conseguito le competenze scientifiche), dice anche lei che Milton è stato rinforzato dai “cambiamenti climatici”. Questo perché la tempesta si è intensificata a uragano di categoria cinque in meno di 24 ore. Altri catastrofisti, come il World Weather Attribution, dicono che Milton abbia impiegato due giorni per intensificarsi, ma 24 ore van bene lo stesso. Poi, sempre secondo Gloria, il vento è stato, udite udite, maggiore del 10% e le piogge del 20% (ma di cosa?).

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Ci sono poi altri catastrofisti (Wehner e Kossin) che vogliono aggiungere una sesta categoria alla scala Saffir-Simpson, quella degli uragani, dato che dall’altra parte del mondo ci sono stati tifoni (il nome diverso che è dato alle tempeste tropicali nell’Asia) con venti che erano entro limite della quinta categoria (che è per venti maggiori a 252 km/h) ma in fascia alta.  Quattro tifoni hanno raggiunto venti di circa 310 km/h. Inventare una nuova categoria per quei pochi casi non è così necessario, a meno che questi Wehner e Kossin non vogliano sottolineare una pericolosità (e attribuirla, ovviamente, ai “cambiamenti climatici”) che è sempre esistita.

C’è da dire che per i climatologi, avere sconvolgimenti atmosferici, tempeste, e meglio ancora, uragani è di vitale importanza. Come gli stregoni della pioggia, la loro pagnotta dipende da questi fenomeni “estremi”, e da una loro esasperata presentazione. Avere eventi che la gente ritiene normali (cioè quanto la natura decide con la sua variabilità e imponderabilità), renderebbe disoccupati tutti i climatologi. In questo frangente, Milton non ha fatto il suo dovere. Ha deluso le previsioni e provocando danni così limitati che è stato rapidamente archiviato.

Di Franco Maloberti

19.10.2024

Franco MalobertiProfessore Emerito presso il Dipartimento di Ingegneria Elettrica, Informatica e Biomedica dell’Università di Pavia; è Professore Onorario all’Università di Macao, Cina, dove è stato insignito della Laurea Honoris Causa 2023.

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