«Fracasso, orror, disgrazie, un finimondo
case e campi inondà che l’è un spavento,
tuto perso e quel diavolo contento
l’inferno seguita e no’ bada al mondo.
Cossa gh’importa d’ingiotir ‘na cuna
cossa gh’importa de ciapar a drita
o pur da l’altra come vôl la luna?
Quel ch’era drito, ‘desso l’è roverso,
combàtare col Po l’è tempo perso.»
Così il grande poeta polesano Gino Piva (1873-1946).
Nei giorni scorsi il Po è tornato a spaventare. I notiziari lanciavano collegamenti da Pontelagoscuro, dove incombeva il passaggio della piena. Il Comune di Ferrara aveva disposto l’evacuazione di un pugno di case e imprese situate nelle golene (eh, già, in Italia si costruisce nelle golene dei fiumi).
Durante un intero servizio un’inviata ha detto «Pontelagosturo», con la t, e al posto di «golene» diceva «lagune».
Al momento, la piena è passata e andata. Il Po ha brontolato forte, ma non ha ruggito. Le esondazioni e le rotte sono state più a sud: nel bolognese e in Romagna, ma anche dalle parti di Campotto, dove i terreni intorno all’Ecomuseo di Argenta sono sott’acqua.
A rompere sono stati i fiumi e torrenti che scendono dall’Appennino, come un mese fa, come un anno e mezzo fa, come di nuovo accadrà.
La giustizia poetica dei fiumi
Nel maggio 2023 scrivemmo che i fiumi si stavano «vendicando» per gli abusi subiti. A pensarci bene, però, un fiume non si attarda a rimuginare sul passato. Che è «acqua passata», appunto. Sotto i ponti, quando non li spazza via. Un fiume è sempre proteso al futuro: prepara, sgombra, scava, deposita, costruisce. Che poi il futuro consista in un “ritorno”, nel riprendersi spazi che l’idiozia sistemica dell’Homo Œconomicus aveva rubato, più che vendetta, è giustizia poetica.
In letteratura, si ha giustizia poetica quando un crimine trova la sua punizione in circostanze ironiche o in un modo sorprendente, ma appropriato. Giustizia poetica è spesso quella della Moira, il Fato inteso come grande legge dell’universo, che interviene a punire la hybris, la tracotanza degli dei. In questo caso, di uno pseudo-dio vaneggiante, l’essere umano ridotto, direbbe Jacques Camatte, a pensarsi solo come membro della «comunità del capitale».
Ma se proprio vogliamo restare nella figura retorica della fallacia patetica – l’attribuzione di una coscienza e di una volontà a enti, oggetti, fenomeni atmosferici ecc. – è più corretto dire che i fiumi stanno lottando per vivere, contro un malterritorio che li costringe e li offende.
Chiunque sia consapevole di quest’ultimo aspetto sa che bisogna lottare con loro, non contro di loro. Perché lottando contro di loro – artificializzandoli ancora, cementificando gli argini, “rettificando”, canalizzando, alzando muri e dighe ecc. – si ottengono solo vittorie effimere, che portano a disfatte epocali.
Altri versi di Gino Piva – figlio d’arte, seppure illegittimo: il suo padre biologico era nientemeno che Giosuè Carducci – compaiono in esergo negli Uomini pesce. Il poeta si rivolge a fratelli dispersi che cercano un sentiero in un giorno torbido, in una terra che «è tutta un cimitero».
Straniate conferme
Poi il romanzo comincia. L’intestazione del primo capitolo è «Pontelagoscuro, domenica 31 luglio 2022». Lo stesso luogo appena visto in televisione, ma qui il fiume non è in piena: è in secca.
Qualche centinaio di pagine più avanti, ecco l’Ecomuseo di Argenta. Non è allagato, al contrario, appare come una vampa rossa, si staglia sui campi schiariti dalla siccità.
Chi nei giorni scorsi era già alle prese col romanzo avrà provato un certo straniamento, ma anche conferme. Straniate conferme.
In tempi di nubifragi ci si scorda della siccità, e viceversa. Ma le alluvioni sono anche conseguenza della siccità. Le compagne e i compagni del centro sociale Sisma di Macerata alludono a questo nella locandina diffusa ieri, la prima con cui annunciano la presentazione del 15 novembre.
Questo doveva essere un “semplice” post di aggiornamento sugli Uomini pesce, ma è successo, succede quel che sappiamo, anche a Bologna, dove viviamo, anche a pochi isolati di distanza da casa nostra, così ci siamo persi tra risonanze e coincidenze.
Ma ora è tempo di mettere a fuoco.
Già in ristampa
Gli uomini pesce è uscito per Einaudi il 15 ottobre, con una prima tiratura di ventimila copie. Tra un ricarico e l’altro, in pochi giorni la tiratura è quasi interamente uscita di magazzino, così si è decisa una ristampa: altre cinquemila copie, per non trovarsi sguarniti.
Prime recensioni
All’ora in cui scriviamo queste righe, del libro hanno parlato Raffaella De Santis su Repubblica (13/10/2024), Carmine Saviano sul Venerdì di Repubblica (18/10/2024) e Nicoletta Verna sulla Stampa (21/10/2024).
De Santis ha intervistato Wu Ming 1 per le vie di Ferrara. Era un momento particolare: uno sciopero della redazione di Repubblica aveva appena disarcionato il direttore Molinari e persuaso uno stupefatto Elkann – padrone ormai disabituato al conflitto – a dimettersi dalla presidenza del gruppo Gedi. Anche qui, un barlume di giustizia poetica, e dove meno ce l’aspettavamo.
Nell’articolo, De Santis ha definito il plot degli Uomini pesce «straripante» e ha parlato di «un congegno intricatissimo ma perfetto»:
«fascismo, crisi climatica, pandemia […] Horror, ironia […] Lovecraft, sesso, inchieste. Una vera passione per i documenti, veri e falsi, marchio di fabbrica dell’autore laureato in storia. Tre piani temporali: la Seconda guerra mondiale, gli anni Sessanta, la torrida estate del 2022. Protagonisti principali una geografa, Antonia Nevi, determinata a scoperchiare misteri familiari, e suo zio Ilario Nevi, partigiano, regista, artista che custodisce un segreto».
Sul Venerdì Carmine Saviano ha scritto una sorta di elzeviro, un testo breve e impressionistico in cui ha usato termini che non vengono spesi sovente, come «gioia» e «meraviglia». La gioia di «scavallare l’oggi» e la meraviglia dell’«impegno», ha spiegato. Impegno che vuol dire «interpretarsi, anche solo di passaggio, come il posto in cui l’ordine del mondo può essere riassemblato, ricostruito».
La collega scrittrice Nicoletta Verna ha dedicato agli Uomini pesce una recensione a tutta pagina che meriterebbe di essere riportata per intero. Eccone alcuni stralci:
«[…] il Po, anzi Po, senza articolo, come lo chiama chi vive fra le sue anse. È Po il vero, sontuoso, magnifico protagonista di questo romanzo: lo sterminato fiume che è sempre stato specchio dell’esistenza di Ilario, fonte perenne di riflessione, mistero, senso, bellezza. Una natura femmina e madre, oggi brutalmente violentata dall’uomo, una natura nel cui utero liquido può germogliare la vita, ma anche un arcaico terrore.
Antonia comprende che Po è l’unica labirintica via per penetrare il segreto di Ilario, e accoglierlo. Lei, che di mestiere fa la geografa e più di chiunque sa afferrare il rapporto misterioso fra la Terra e la storia, fra lo spazio e il luogo. Lo spazio è astratto, il luogo invece è memoria, radici, identità: è solo salvando i luoghi che possiamo preservare il nostro destino di esseri umani e il nostro unico possibile futuro.
[…] il Po, le sue valli, il suo Delta. Terra d’aria densa, dove a ogni respiro si avverte di trovarsi sotto il livello del mare, in un altrove soffuso. Terra diafana e indistinta, fatta di acque tortuose che si perdono nell’abisso senza fondo del tempo. E che diventano narrazione solida e avvolgente.
[…] Gli uomini pesce è un romanzo travolgente, tentacolare, maestoso come il Po che scorre fra le sue pagine. È ricco di azione e di poesia, di visioni e di politica. Ci ricorda costantemente l’importanza di resistere, oggi come ottanta anni fa, ma ci conduce anche nel brumoso territorio dei sogni. Ai sogni (che generano materia, in senso quasi borgesiano) sono dedicate pagine stupende.
[…] L’immaginazione ci salva, la malinconia ci protegge, il sogno crea altri mondi. Il futuro e la vita sono desideri possibili, come Antonia comprende nella toccante, luminosa chiusa del romanzo».
[Cogliamo la palla al balzo per dire che il secondo romanzo di Verna, I GIORNI DI VETRO, è uno dei migliori scritti in Italia negli ultimi anni. Una sorpresa continua e una lingua perfetta, brulicante di romagnolismi. Una Castrocaro stremata, raschiata in ogni sua fibra dalla guerra civile. Personaggi – Redenta, la Fafina, Bruno, Iris… – che prendono residenza nella memoria e non se ne vanno più].
Excursus: quali «uomini pesce»?
A scanso di equivoci, precisiamo: non c’entrano gli «uomini pesce» (魚人) di One Piece.
A proposito, questi nella foto sono i numeri di One Piece dall’1 al 26, prima edizione italiana, Star Comics, 2001-2004.
Non c’entrano nemmeno gli «uomini pesce» di Necron.
Già che ci siamo, ecco qui ↓ tutti e sette i numeri di Necron nella riedizione Blue Press del 1990.
Quanti cimeli come questi, conservati in cantine e taverne tra l’Appennino, Bologna e la riviera, saranno stati ghermiti e sfatti dal fango? Un minuto di silenzio per l’arte che paga le conseguenze del capitalismo.
Tantomeno c’entrano gli «uomini pesce» del film L’isola degli uomini pesce di Sergio Martino (1979). Regista più ricordato per altri titoli, come Acapulco, prima spiaggia… a sinistra e L’allenatore nel pallone.
Sono tutte creature omonime ma irrelate alle nostre, e non solo perché abitano il mare. Quelli de Gli uomini pesce sono tutt’altri uomini pesce, e non solo perché creature di fiume.
Qualcuno, gira voce, li ha avvistati anche nei giorni scorsi, nelle acque scure del Ravone, dell’Idice, del Lamone…
Dove incontrare Gli uomini pesce?
Ricordiamo che il calendario delle presentazioni autunnali è qui.
Durante la prima nazionale a Ferrara, giovedì 31 ottobre, sarà anche distribuito un opuscolo intitolato Tornare nel Delta al tempo della crisi climatica. Nei giorni seguenti sarà pubblicato anche on line.
La prima bolognese sarà invece al cinema Modernissimo, giovedì 14 novembre. Nel calendario ci sono già alcuni dettagli, altri seguiranno.
Non c’è altro da aggiungere se non: buone letture.