Big Serge – Big Serge Thought – 31 ottobre 2024
In quasi tutte le epoche della storia umana, le guerre prolungate ad alta intensità sono state le sfide più intricate e schiaccianti che uno Stato potesse affrontare. La guerra mette a dura prova i poteri di coordinamento e mobilitazione degli Stati, richiedendo una mobilitazione sincronizzata e a tutto campo delle risorse nazionali. Non è un caso che i periodi di guerra intensa abbiano spesso stimolato la rapida evoluzione delle strutture e dei poteri statali, con lo Stato costretto a creare nuovi metodi di controllo sull’industria, sulle popolazioni e sulla finanza per sostenere la propria attività bellica. Anche in un Paese come gli Stati Uniti, che ama pensare di essere relativamente incontaminato dalla guerra, le epoche di rapida espansione dello Stato e di crescita amministrativa metastatica sono state correlate alle grandi guerre del Paese: la burocrazia federale è cresciuta a dismisura durante la Guerra Civile e le Guerre Mondiali, e l’apparato di sicurezza statale è esploso per far fronte alla (se-dicente, N.d.T.) Guerra Globale al Terrore. La guerra è distruttiva, ma è anche un incentivo al rapido cambiamento tecnologico e all’espansione dello Stato.
La miriade di decisioni e di compiti che uno Stato in guerra si trova ad affrontare può facilmente sconvolgere la mente e abbraccia i settori tecnico, tattico, operativo, industriale e finanziario. Scegliere dove schierare questo o quel battaglione di fanteria, quanto denaro investire in questo o quel sistema d’arma, come acquisire e allocare risorse scarse come l’energia e il carburante: tutte decisioni prese in una vasta concatenazione di incertezza e casualità. La portata di questo problema di coordinamento è sorprendente e diventa subito evidente nel contesto di centinaia di migliaia o addirittura milioni di uomini che combattono su migliaia di chilometri di fronte, disponendo di quantità enormi di munizioni, cibo e carburante.
La mera portata di questo gioco di coordinamento comporta la minaccia intrinseca di paralisi e distrazione del processo decisionale, con una vasta gamma di minuzie operative e di preoccupazioni politiche concorrenti che fanno disperdere l’attenzione dell’esercito e dello Stato. La guerra inizia ad assorbire le proprie energie e a svincolarsi dalla direzione strategica. L’esempio prototipico di questo fenomeno è naturalmente la Germania nazista, che nel 1943 continuava a fare la guerra con estrema energia e intensità, ma senza un’anima strategica unificata o una teoria della vittoria. Lo sforzo e la capacità tedeschi non si erano mai seriamente ridotti; l’esercito tedesco aveva continuato a combattere e a mantenere le posizioni, i comandanti tedeschi avevano continuato a deliberare e a discutere sulla tenuta di questo saliente e di quella linea fluviale, l’industria tedesca aveva continuato a produrre munizioni e armamenti avanzati, e l’apparato logistico tedesco aveva continuato a trasportare enormi quantità di carbone e carburante, rifornimenti e masse umane avanti e indietro per il continente. Questa enorme energia e intensità, tuttavia, era slegata da una teoria della vittoria e la guerra della Germania si era distaccata da qualsiasi senso politico o strategico su come il conflitto potesse concludersi con qualcosa di diverso dalla distruzione della patria tedesca.
In altre parole, la guerra come enorme sfida di coordinamento e mobilitazione comporta sempre la pericolosa possibilità di guardare il dito ma non vedere la luna che indica. La dissipazione di energia in minuzie tattiche, tecniche e industriali minaccia di separare lo Stato da una teoria coerente della vittoria. Questa minaccia diventa tanto più pressante quanto più una guerra si protrae, poiché le teorie iniziali su come si svolgerà il conflitto vengono stravolte dagli eventi e diventano confuse e sepolte dai piani che si sviluppano successivamente, dal caso e dalla stanchezza.
Mentre la guerra in Ucraina si avvicina al suo terzo inverno, lo sforzo bellico ucraino sembra essere altrettanto senza direzione e svogliato. I precedenti tentativi di prendere l’iniziativa sul campo sono falliti, le risorse dell’AFU, accuratamente conservate, sono state costantemente esaurite e la Russia continua a farsi metodicamente strada attraverso la catena di fortezze dell’Ucraina nel Donbass. La guerra in Ucraina continua senza sosta, ma le energie e l’attenzione sembrano sempre più dissipate e slegate da una particolare visione o teoria della vittoria.
Il progetto della disperazione: il Piano della Vittoria
Per l’Ucraina, lo sviluppo politico centrale del mese di ottobre è stato la drammatica presentazione del cosiddetto “Piano della Vittoria” del Presidente Zelensky, che ha delineato una tenue tabella di marcia con cui l’Ucraina dovrebbe vincere la guerra senza cedere territorio alla Russia. Per molti versi, la presentazione di un “piano della vittoria” a più di due anni e mezzo dall’inizio della guerra è molto strana. Può allora essere utile contemplare la guerra in modo olistico e considerare che questo non è il primo quadro teorico per la vittoria dell’Ucraina; infatti, Kiev ha perseguito non meno di quattro diversi assi strategici, tutti falliti.
Per cominciare, dobbiamo ricordare cosa significa “vittoria” per l’Ucraina, entro i confini dei suoi obiettivi strategici espressi. L’Ucraina ha definito la propria vittoria come il successo del ripristino dei confini del 1991, il che significa non solo l’espulsione delle forze russe dal Donbass, ma anche la riconquista della Crimea. Inoltre, dopo il raggiungimento di questi obiettivi sul campo, Kiev si aspetta come premio per la vittoria l’adesione alla NATO e le relative garanzie di sicurezza sostenute dagli americani.
Per comprendere l’arrogante portata del piano della vittoria dell’Ucraina, possiamo articolare le diverse “teorie della vittoria” che l’Ucraina ha perseguito. Le etichetto come segue:
- La teoria della guerra breve: questa era l’essenza strategica generale nell’anno di inizio della guerra (2022), che presupponeva che la Russia prevedesse una guerra breve contro un’Ucraina isolata. Questa teoria della vittoria si basava sul presupposto che la Russia non sarebbe stata disposta a, o incapace di, impegnare le risorse necessarie di fronte a un’inaspettata resistenza ucraina e a un’ondata di sostegno militare e sanzioni da parte dell’Occidente. C’era un fondo di verità alla base di questa teoria, nel senso che le risorse mobilitate da parte russa nel primo anno di guerra erano state inadeguate (cosa che aveva portato a significativi successi ucraini sul terreno a Kharkov, per esempio); tuttavia questa fase della guerra era terminata nell’inverno del 2022 con la mobilitazione russa e il passaggio dell’economia russa a un assetto di guerra.
- Il piano di isolamento della Crimea: questa teoria della vittoria aveva preso il sopravvento nel 2023 e aveva individuato nella Crimea il centro di gravità strategico della Russia. Kiev aveva quindi ipotizzato che la Russia potesse essere paralizzata o messa fuori gioco interrompendo la sua connessione con la Crimea – un piano che richiedeva la conquista di un corridoio nel ponte terrestre sulla costa di Azov attraverso una controffensiva meccanizzata, portando la Crimea e le sue linee di collegamento a portata di mano dei sistemi d’attacco ucraini. Questo piano era crollato con la sconfitta decisiva dell’operazione di terra ucraina sull’asse Orokhiv-Robotyne.
- La teoria dell’attrito: presupponeva che la posizione difensiva dell’Ucraina nel Donbas potesse imporre perdite sproporzionate e catastrofiche all’esercito russo e degradare completamente la capacità di combattimento della Russia, mentre la potenza di combattimento dell’Ucraina sarebbe stata rigenerata grazie alle forniture di armi occidentali e all’assistenza alla formazione.
- La teoria della contropressione: infine, l’Ucraina ha ipotizzato che una campagna di pressione multidimensionale sulla Russia, comprendente l’occupazione del territorio russo nell’Oblast’ di Kursk, una campagna di attacchi ai beni strategici russi e la continua pressione delle sanzioni occidentali, avrebbe favorito il crollo della volontà di combattere della Russia.
È di fondamentale importanza tenere a mente queste “teorie della vittoria” e non dimenticarle in tutte le discussioni sui dettagli operativi e tecnici della guerra sul terreno (per quanto interessanti). Solo quando le azioni sul terreno sono correlate a una particolare visione strategica animatrice, acquistano significato. L’eccitazione per lo scambio di terre e vite a Kursk o negli insediamenti urbani intorno a Pokrovsk diventa significativa quando è legata a un particolare concetto strategico di vittoria.
Il problema per l’Ucraina è che, almeno finora, tutte le visioni strategiche generali della sua dirigenza hanno fallito – non solo nei loro termini specifici sul terreno, ma anche nel loro collegamento alla “vittoria” in quanto tale. Può essere utile esaminare un esempio concreto: l’offensiva ucraina nella regione di Kursk è fallita sul terreno (maggiori dettagli in seguito), con l’avanzata subito bloccata dalle difese russe e ora costantemente costretta al ripiego con pesanti perdite. Ma l’offensiva è fallita anche dal punto di vista concettuale: attaccare e tenere il territorio russo a Kursk ha reso Mosca più intransigente e non disposta a negoziare e non è riuscita a spostare significativamente l’ago della bilancia del sostegno della NATO all’Ucraina.
E questo è il problema dell’Ucraina. L’Ucraina chiede la restituzione di tutti i suoi territori del 1991, compresi quelli che la Russia ora controlla e amministra, molti dei quali sono ben al di là della realistica portata militare dell’Ucraina. È assolutamente inconcepibile, ad esempio, pensare che l’Ucraina possa riconquistare Donetsk con un’operazione di terra. Donetsk è una vasta città industriale di quasi un milione di abitanti, situata molto dietro le linee del fronte russo e completamente integrata nelle catene logistiche russe. Eppure la riconquista di Donetsk è un esplicito obiettivo bellico ucraino.
Il continuo rifiuto dell’Ucraina di “negoziare” la cessione di qualsiasi territorio all’interno dei confini del 1991 porta Kiev a un’impasse strategica. Una cosa è dire che l’Ucraina non rinuncerà ai territori che attualmente possiede, ma Kiev ha esteso i suoi obiettivi di guerra a territori che sono saldamente sotto il controllo russo, ben al di là della portata militare dell’Ucraina. Questo non lascia all’Ucraina alcuna possibilità di porre fine alla guerra senza perdere alle sue condizioni, perché i suoi obiettivi di guerra richiedono fondamentalmente il crollo totale della capacità di combattimento della Russia.
E così, arriviamo al tenue “piano della vittoria” di Zelensky. Forse non sorprende che tale piano sia poco più di un appello all’Occidente affinché si impegni a fondo a favore dell’Ucraina. Gli assi del piano di vittoria, in quanto tali, sono:
- la promessa ufficiale di adesione dell’Ucraina alla NATO;
- l’intensificazione dell’assistenza occidentale per rafforzare la difesa aerea dell’Ucraina e per equipaggiare altre brigate meccanizzate;
- più sistemi di attacco occidentali e il via libera per attaccare obiettivi in profondità nella Russia prebellica (cosa che l’Ucraina sta facendo comunque);
- una nebulosa promessa di costruire un “deterrente non nucleare” contro la Russia, che dovrebbe essere interpretata come un’estensione della richiesta di assistenza occidentale per lanciare attacchi in profondità sul territorio russo;
- investimenti occidentali per lo sfruttamento delle risorse minerarie ucraine per riabilitare economicamente il Paese.
Se si mette tutto insieme, il “piano della vittoria” è essenzialmente una richiesta alla NATO di maggiore aiuto per ricostruire le forze di terra e le difese aeree dell’Ucraina, fornendo al contempo maggiori capacità di attacco, con un’integrazione a lungo termine con l’Occidente attraverso l’adesione alla stessa e lo sfruttamento occidentale delle risorse naturali ucraine. Se si aggiungono alcune richieste accessorie, come l’integrazione dell’Ucraina nell’ISR (intelligence, sorveglianza e ricognizione) in tempo reale della NATO, è chiaro che Kiev ripone tutte le sue speranze in un eventuale intervento diretto della NATO.
E questo, in ultima analisi, è ciò che ha creato l’irrisolvibile vicolo cieco strategico dell’Ucraina. Kiev vuole chiaramente che la NATO intervenga direttamente nel conflitto e questo ha portato l’Ucraina su un percorso di escalation. L’incursione dell’Ucraina nella regione di Kursk e i continui attacchi ad obiettivi strategici russi, come campi d’aviazione, raffinerie di petrolio e installazioni ISR, sono chiaramente progettati per attirare la NATO nella guerra, violando intenzionalmente le presunte “linee rosse” russe e creando una spirale di escalation. Allo stesso tempo, Zelensky ha sostenuto che la de-escalation russa debba un prerequisito per qualsiasi negoziato – anche se, dato il suo rifiuto di discutere la cessione di territori ucraini e la sua insistenza sull’adesione alla NATO, non è chiaro cosa ci sia comunque da discutere. In particolare, recentemente ha dichiarato che i negoziati sono impossibili a meno che la Russia non cessi i suoi attacchi alle infrastrutture energetiche e navali ucraine.
Alla fine, il concetto strategico generale dell’Ucraina sembra puntare in due direzioni. Verbalmente, Zelensky ha legato le prospettive di negoziato a un’attenuazione della guerra da parte della Russia (escludendo categoricamente qualsiasi negoziato relativo agli obiettivi bellici della Russia stessa), ma le azioni dell’Ucraina stessa – il tentativo di raddoppiare gli attacchi a lunga gittata e un’incursione terrestre all’interno della Russia – sono un’escalation, così come le varie richieste fatte alla NATO nel piano di pace. C’è una certa dose di schizofrenia strategica in questo caso, che deriva dal fatto che il concetto di vittoria dell’Ucraina va ben oltre i suoi mezzi militari. Gli osservatori occidentali hanno suggerito che un prerequisito per i negoziati dovrebbe essere la stabilizzazione delle difese ucraine nel Donbass – che, in sostanza, significa contenere e congelare il conflitto – ma lo sforzo ucraino di espandere e sbloccare il fronte con l’incursione di Kursk è direttamente contrario a questo.
Il risultato è che l’Ucraina sta ora conducendo una guerra “come se” – come se l’intervento della NATO potesse essere provocato, come se la Russia cedesse e si ritirasse dai vasti territori che già controlla e come se l’assistenza occidentale potesse fornire una panacea contro il deterioramento dello stato dell’Ucraina sul campo. Tutto ciò si traduce in un cieco tuffo nell’abisso, nella speranza che, inasprendo e radicalizzando il conflitto, la Russia ceda o la NATO intervenga. In entrambi gli scenari, tuttavia, l’Ucraina conta su potenze esterne, confidando che la NATO si trasformi in una sorta di deus ex machina che salvi l’Ucraina dalla rovina.
L’Ucraina è oggi un esempio lampante di dissipazione strategica. Avendo scelto di rifuggire qualsiasi cosa che non fosse il tipo di vittoria più massimalista possibile – il pieno ripristino dei confini del 1991, l’adesione alla NATO e la totale sconfitta della Russia – ora procede a tutta velocità, con una base materiale e un quadro cupo sul terreno completamente slegati dalla sua stessa concezione di vittoria. Il “piano della vittoria”, così come esiste, è poco più di una richiesta di soccorso. È un Paese intrappolato dai due miti che animano il suo essere: da un lato, la nozione di totale supremazia militare occidentale, dall’altro la teoria della Russia come un gigante dai piedi d’argilla, pronto a crollare internamente per lo sforzo di una guerra che sta vincendo.
Strangolare il Donbass meridionale
Sul terreno, il 2024 è stato un anno di vittorie russe in gran parte non contrastate. In primavera, il fronte è passato a una nuova fase operativa dopo la conquista di Avdiivka da parte della Russia, che – come avevo sostenuto all’epoca – ha lasciato le forze ucraine senza luoghi evidenti dove ancorare la loro prossima linea di difesa. Le forze russe hanno continuato ad avanzare nel Donbass meridionale in modo sostanzialmente ininterrotto, e l’intero angolo sud-orientale del fronte sta ora cedendo sotto l’offensiva russa in corso.
Un breve sguardo alla situazione del fronte rivela lo stato disastroso delle difese dell’AFU. Le linee ucraine nel sud-est si basavano su una serie di fortezze urbane ben difese, che andavano da Ugledar, all’estremità meridionale, a Krasnogorivka (che difendeva l’approccio al bacino idrico di Vovcha), ad Avdiivka (che bloccava la linea principale in uscita da Donetsk a nord-ovest), fino all’agglomerato di Toretsk-Niu York. Nel corso del 2024 l’AFU ha perso le prime tre in vari punti e attualmente mantiene forse il 50% di Toretsk. La perdita di questa fortezza ha scardinato la difesa ucraina su quasi 100 chilometri di fronte e i successivi sforzi per stabilizzare la linea sono stati ostacolati dalla mancanza di adeguate difese di retroguardia, dall’inadeguatezza delle riserve e dalla decisione dell’Ucraina stessa di incanalare molte delle sue migliori formazioni meccanizzate verso Kursk. Di conseguenza, la Russia è avanzata costantemente verso Pokrovsk, ritagliandosi un saliente di circa 80 chilometri di circonferenza.
Il quadro che ne emerge è quello di unità ucraine fortemente indebolite che vengono costantemente cacciate da posizioni difensive mal preparate. I rapporti ucraini di settembre hanno rivelato che alcune brigate ucraine sull’asse di Pokrovsk sono scese a meno del 40% del loro pieno organico di fanteria, poiché i rimpiazzi sono di gran lunga inferiori ai tassi di perdite e le munizioni si sono ridotte, dato che la priorità dei rifornimenti è stata data all’operazione Kursk.
Durante l’estate, molti resoconti su questo fronte hanno lasciato intendere che Pokrovsk fosse il principale obiettivo operativo dell’offensiva, ma questo non è mai stato realmente considerato soddisfacente. Il vero vantaggio dell’avanzata prorompente verso Pokrovsk, piuttosto, è stato dare ai russi l’accesso alla linea di cresta a nord del fiume Vovcha. Allo stesso tempo, la cattura di Ugledar e il successivo sfondamento all’estremità meridionale della linea mettono le forze russe in condizione di avanzare su un terreno in discesa. Le posizioni ucraine lungo la Vovcha – centrate su Kurakhove, che da anni è il fulcro della posizione ucraina – si trovano tutte sul fondo di un dolce bacino fluviale, con le forze russe che scendono sia da sud (asse di Ugledar) che da nord (asse di Pokrovsk).
Gli ucraini stanno ora difendendo una serie di posizioni in discesa parzialmente circondate, con il fiume Vovcha e il bacino idrico a fare da cerniera tra di esse. Sulla sponda settentrionale, le forze ucraine vengono rapidamente compresse contro il bacino idrico in un difficile saliente (soprattutto dopo la perdita di Girnyk nell’ultima settimana di ottobre). Nel frattempo, i russi hanno aperto molteplici brecce sulla linea meridionale, raggiungendo le città di Shakhtarske e Bogoyavlenka. Questa avanzata è particolarmente importante a causa dell’orientamento delle postazioni difensive ucraine in questa zona. La maggior parte delle linee di trincea e dei punti di forza ucraini è disposta per difendersi da un’avanzata da sud (cioè con orientamento senso est-ovest), in particolare sull’asse a nord di Velya Novosilka. Ciò significa, in sostanza, che la cattura di Ugledar e l’avanzata verso Shakhtarske hanno aggirato le migliori posizioni ucraine a sud-est.
È probabile che nelle prossime settimane lo slancio russo prosegua, passando al setaccio le sottili difese ucraine sulla linea meridionale e avanzando contemporaneamente lungo la dorsale dall’asse Selydove-Novodmytrivka verso Andriivka, che costituisce il centro di gravità di entrambe le tenaglie russe. Nei prossimi mesi l’Ucraina rischia di perdere l’intero angolo sud-orientale del fronte, compreso Kurakhove.
L’attuale traiettoria dell’avanzata russa suggerisce che, entro la fine del 2024, la Russia sarà sul punto di avvolgere completamente il settore sud-orientale del fronte, spingendo la linea del fronte in un ampio arco che va da Andriivka a Toretsk. Questo porterebbe la Russia a controllare circa il 70% dell’Oblast’ di Donetsk e porrebbe le basi per la prossima fase di operazioni che si spingerà verso Pokrovsk e inizierà un’avanzata russa verso est lungo l’autostrada H15, che collega Donetsk e Zaporozhia.
La metodologia dell’avanzata russa ha ulteriormente sconvolto i calcoli dell’Ucraina in materia di logoramento e ci sono poche prove che l’offensiva russa non possa mantenere il ritmo. La Russia utilizza con sempre maggior frequenza piccole unità per sondare le posizioni ucraine, seguite da un pesante bombardamento con bombe plananti e artiglieria prima dell’assalto. L’uso di piccole unità di esplorazione (spesso da 5 a 7 uomini) seguito dalla distruzione fisica delle posizioni ucraine limita le perdite russe. Nel frattempo, la presenza costante di droni Orlan (che ora volano indisturbati a causa della grave carenza di difesa aerea ucraina) fornisce ai russi un ISR senza ostacoli, e la crescente disponibilità di bombe plananti sempre più grandi e a più lunga gittata ha reso molto più facile la soppressione delle fortificazioni ucraine.
Il mutevole nesso tattico-tecnico dell’offensiva russa ha vanificato le speranze ucraine di un calcolo di logoramento vincente. Secondo le stime dei funzionari occidentali, l’esercito russo continua ad impiegare circa 30.000 nuove reclute al mese, un numero di gran lunga superiore a quello necessario per reintegrare le perdite. Con Mediazona che conta circa 23.000 caduti russi nel 2024, i margini russi sulle risorse umane sono altamente sostenibili. Nel frattempo, la riserva di risorse umane dell’Ucraina si sta assottigliando sempre di più: anche dopo aver approvato una nuova legge sulla mobilitazione a maggio, il bacino di rimpiazzi in addestramento è diminuito di oltre il 40% e, attualmente, conta solo 20.000 nuovi effettivi. La mancanza di rimpiazzi e di rotazioni ha lasciato le unità di prima linea esauste sia dal punto di vista materiale che psicologico, con un aumento delle diserzioni e dell’insubordinazione. I tentativi ucraini di raddoppiare il programma di mobilitazione hanno avuto risultati contrastanti e hanno inavvertitamente aumentato le perdite, spingendo i maschi ucraini a rischiare l’annegamento pur di fuggire dall’Ucraina.
In breve, l’offensiva russa del 2024 a sud di Donetsk è riuscita finora a cacciare l’AFU dai suoi punti di forza in prima linea, che aveva difeso caparbiamente fin dall’inizio della guerra: Ugledar, Krasnogorivka e Avdiivka sono cadute e Toretsk (la più settentrionale di queste fortezze) è contesa, con la Russia che controlla già metà della città. I due centri che prima fungevano da nodi vitali delle retrovie per l’AFU (Pokrovsk e Kurakhove) non sono più tali e sono diventati insediamenti di prima linea. Kurakhove, in particolare, è destinata a cadere nelle prossime settimane. I russi sono, in una parola, pronti a completare la loro vittoria nella parte meridionale [dell’Oblast’] di Donetsk.
È importante non sottovalutare l’importanza operativa e strategica di questo risultato. In termini più semplici, questo sarà un significativo avanzamento verso gli obiettivi di guerra espliciti della Russia di catturare gli oblast del Donbass (permettendo alla Russia di controllare circa il 70% [dell’Oblast’] di Donetsk e oltre il 90% [dell’Oblast’] di Lugansk).
Circondare l’angolo sud-orientale del fronte semplificherà notevolmente i compiti difensivi russi, sia allontanando la linea del fronte dai suoi collegamenti ferroviari vitali, sia accorciando il fronte meridionale. Ugledar, finché l’AFU la deteneva, era la posizione ucraina più vicina alle linee ferroviarie che collegano la città di Donetsk con il fronte meridionale e la Crimea; spingendo il fronte fino alla Vovcha si elimina questa potenziale minaccia alla ferrovia. Inoltre, l’accorciamento del fronte meridionale riduce la possibilità di future operazioni offensive ucraine su questo asse. Se la Russia riuscirà ad avvicinare la linea fino a Velyka Novosilka, il fronte esposto totale a sud si ridurrà di quasi il 20%, a circa 140 chilometri, comprimendo lo spazio di battaglia e rendendo i compiti difensivi russi molto più semplici.
Non voglio dare l’impressione che la guerra di terra in Ucraina sia quasi finita. Dopo essersi consolidato a sud di Donetsk, l’esercito russo si sposterà dai trampolini di Pokrovsk e Chasiv Yar per avanzare su Kostyantinivka, preludendo a una grande operazione diretta all’enorme agglomerato di Kramatorsk-Slovyansk. Come prerequisito, non solo dovranno catturare Kostyantinivka, ma anche riconquistare le posizioni precedentemente perse sull’asse Lyman-Izyum, sulla riva settentrionale del fiume Donets. Sono tutti compiti di combattimento complicati che trascineranno la guerra almeno fino al 2026.
Tuttavia, vediamo chiaramente che l’esercito russo sta facendo progressi significativi verso i suoi obiettivi. Sarà in grado di cancellare gran parte del settore sud-orientale del fronte, con l’AFU sfrattata dalla sua potente catena di fortezze prebelliche intorno alla città di Donetsk. Queste perdite sollevano una domanda scomoda per l’Ucraina: se non è riuscita a difendersi con successo ad Avdiivka, Ugledar e Krasnogorivka, con le loro lunghe difese e le loro potenti retrovie, dove dovrebbe stabilizzarsi la sua difesa? Dobbiamo anche porci un’altra domanda importante: visto che sono sul punto di perdere la parte meridionale [dell’Oblast’] di Donetsk, con un fronte di 100 chilometri che si sta disfacendo, perché molte delle migliori brigate ucraine stanno bighellonando a 350 chilometri di distanza nell’Oblast’ di Kursk?
Operazione Krepost: il punto della situazione
Quando in agosto l’Ucraina aveva lanciato per la prima volta l’offensiva su Kursk, la reazione dei commentatori occidentali era andata dal cauto ottimismo all’entusiasmo. L’operazione era stata variamente salutata come un’umiliazione per la Russia, un’audace manovra per sbloccare il fronte e un’opportunità per costringere la Russia a negoziare la fine della guerra. Anche le analisi più misurate, che riconoscevano la precaria logica militare dell’operazione, ne lodavano il calcolo politico e i benefici psicologici derivanti dal portare la guerra in Russia.
Tre mesi dopo, l’entusiasmo è svanito ed è diventato chiaro che l’Operazione Kursk (che ho soprannominato Operazione Krepost in omaggio alla Battaglia di Kursk del 1943) è fallita non solo nei dettagli operativi, ma anche concettualmente (cioè nei suoi stessi termini) come tentativo di alterare la traiettoria della guerra cambiando il calcolo politico della Russia e richiamando forze dal Donbass. La Krepost non ha “invertito la marea”, ma ha solo fatto sì che la marea si alzasse più velocemente per l’Ucraina.
Un breve aggiornamento sulla progressione dell’operazione sul campo ci aiuterà a capire la situazione. L’Ucraina aveva attaccato il 6 agosto con un assortimento di elementi di manovra, prelevati dal suo ridotto numero di brigate meccanizzate, ed era riuscita a ottenere qualcosa di simile ad una sorpresa strategica, approfittando della boscaglia intorno a Sumy per organizzare le proprie forze. Il terreno boscoso intorno a Sumy offre uno dei pochi luoghi in cui è possibile nascondere le forze all’ISR russo e si pone in netto contrasto con il sud pianeggiante e per lo più privo di alberi, dove i preparativi ucraini per la controffensiva del 2023 erano stati ben sorvegliati dai russi.
Approfittando di questo occultamento, gli ucraini avevano colto di sorpresa le guardie di frontiera russe e avevano superato il confine nel giorno iniziale dell’assalto. Tuttavia, venerdì 9 agosto, l’offensiva ucraina si era già irrimediabilmente arenata. Erano intervenuti tre fattori importanti:
- La resistenza inaspettatamente dura delle forze russe di fucilieri motorizzati a Sudzha, che aveva costretto gli ucraini a sprecare gran parte del 7 e dell’8 per circondare la città prima di assaltarla.
- La difesa delle posizioni di blocco russe a Korenevo e Bol’shoe Soldatskoe, che avevano bloccato l’avanzata ucraina sulle principali autostrade rispettivamente a nord-ovest e a nord-est di Sudzha.
- Il rapido invio di rinforzi e mezzi d’attacco russi nell’area, che avevano iniziato a soffocare gli elementi di manovra dell’AFU e a colpire le loro basi di sosta e di supporto intorno a Sumy.
Non è esagerato dire che il 9 agosto, dopo soli tre giorni, l’operazione Kursk era stata paralizzata. A questo punto, gli ucraini avevano subito un inequivocabile ritardo a Sudzha e non erano riusciti a sfondare ulteriormente lungo le principali autostrade. L’AFU si era lanciata una serie di assalti soprattutto a Korenevo, ma non era riuscita ad infrangere le difese russe ed era rimasta bloccata nel suo saliente intorno a Sudzha. La loro breve finestra di opportunità, guadagnata grazie alla loro posizione nascosta e alla sorpresa strategica, era ormai sprecata, e il fronte si era calcificato in un’altra serrata lotta posizionale in cui gli ucraini non potevano manovrare e vedevano le loro forze costantemente logorate dal fuoco russo.
Inizialmente era sembrato che l’intenzione ucraina fosse quella di raggiungere il fiume Seim tra Korenevo e Snagost, visto che colpivano i ponti sul Seim con gli HIMARS. In teoria, c’era la possibilità di isolare e sconfiggere le forze russe sulla riva meridionale del Seim. Questo avrebbe dato all’Ucraina il controllo della riva meridionale, comprese le città di Glushkovo e Tektino, creando un solido punto d’appoggio e ancorando il fianco sinistro della loro posizione in Russia. Nella mia precedente analisi, avevo ipotizzato che questo fosse probabilmente il miglior risultato possibile per l’Ucraina, dopo che i suoi assi di avanzata erano stati bloccati nella settimana iniziale.
Invece, l’intera operazione si è rivelata negativa per l’AFU. Un contrattacco russo, guidato dalla 155a Brigata di Fanteria di Marina, è riuscito a sgretolare completamente la spalla sinistra del saliente ucraino, cacciando l’AFU da Snagost e facendo arretrare la sua penetrazione verso Korenevo. Al momento in cui scrivo, quasi il 50% delle conquiste ucraine è stato ripreso e l’AFU è ancora intrappolata in un saliente ristretto intorno alle città di Sudzha e Sverdlikovo, con un perimetro di circa 75 chilometri.
Le analogie storiche sono spesso esagerate e forzate, ma in questo caso ci sono chiari parallelismi con l’offensiva tedesca delle Ardenne del 1944, e in particolare con il modo in cui l’esercito americano riuscì a rendere inutile l’avanzata tedesca bloccando le principali arterie di avanzamento. In particolare, la famosa difesa dell’aviotrasportata a Bastogne e la meno nota e in gran parte non celebrata difesa della cresta di Eisenborn riuscirono a far saltare la tabella di marcia tedesca e a bloccarne l’avanzata negando l’accesso alle autostrade critiche. Le posizioni di blocco russe a Korenevo e Bol’shoe Soldatskoe hanno fatto qualcosa di molto simile a Kursk, impedendo agli ucraini di sfondare lungo le autostrade e imbottigliandoli intorno a Sudzha mentre i rinforzi russi affluivano nella zona.
Il contrattacco russo sulla spalla sinistra della penetrazione ha messo il chiodo finale nella bara e l’operazione ucraina è stata definitivamente sconfitta. Gli ucraini mantengono ancora una modesta porzione di territorio russo, ma la sorpresa strategica che aveva permesso la loro breccia iniziale è ormai lontana e una serie di tentativi di sbloccare le strade è fallita. L’Ucraina sta permettendo a una grande quantità di mezzi di prima linea, tra cui elementi di almeno cinque brigate meccanizzate, due brigate di carri armati e tre brigate di assalto aereo, di vagare nel tritacarne di Sudzha. Le perdite di veicoli ucraini sono gravi, e LostArmour ha rilevato quasi 500 attacchi russi con droni Lancet, bombe plananti e altri sistemi. Lo spazio compatto, situato in territorio nemico al di fuori dell’esiguo ombrello di difesa aerea ucraino, ha reso le forze ucraine estremamente vulnerabili, con tassi di perdita di veicoli di gran lunga superiori a quelli di altri settori del fronte.
Dovrebbe essere ormai abbondantemente chiaro che l’offensiva ucraina a Kursk è fallita in termini operativi, con la spalla sinistra del suo saliente crollata, perdite crescenti e un grande gruppo di brigate disperso a centinaia di chilometri dal Donbass. Tutto ciò che l’Ucraina ha da mostrare per questa operazione è la città di Sudzha – difficilmente uno scambio equo per l’imminente cattura da parte della Russia dell’intero fronte meridionale di Donetsk. Purtroppo, l’AFU non può semplicemente ritirarsi da Kursk a causa della sua logica strategica distorta e della necessità di mantenere una struttura narrativa per i finanziatori occidentali. Ritirarsi dalla sacca di fuoco di Kursk sarebbe una vistosa ammissione di fallimento e la preferenza di Kiev è quella che l’operazione si spenga organicamente, cioè con l’azione cinetica russa.
In termini strategici più astratti, tuttavia, Kursk è stata un disastro per Kiev. Una delle motivazioni strategiche dell’operazione era quella di impadronirsi di un territorio russo che potesse essere usato come merce di scambio nei negoziati, ma l’incursione ha solo irrigidito la posizione di Mosca e reso meno probabile un accordo. Allo stesso modo, i tentativi di far arrivare forze russe dal Donbass sono falliti e le forze ucraine nel sud-est sono alle corde. Un grande gruppo operativo che avrebbe potuto fare la differenza a Selydove, o a Ugledar, o a Krasnogorivka, o in qualsiasi altro luogo lungo il tentacolare e fatiscente fronte del Donbass, sta invece bighellonando senza meta a Kursk, conducendo una guerra “come se”.
Dissipazione e concentrazione strategica
Uno dei chiari filoni narrativi emersi in questa guerra è l’ampio divario nella disciplina strategica relativa dei combattenti. La guerra dell’Ucraina è stata dilaniata dalla dissipazione strategica, ovvero dalla mancanza di una teoria coerente della vittoria, sia per quanto riguarda il modo in cui la vittoria viene definita, sia per quanto riguarda il modo in cui può essere raggiunta. L’Ucraina è passata da un’idea all’altra – lanciando un grande gruppo meccanizzato contro le fortificazioni russe nel sud, tentando di logorare i russi con potenti fortezze come Bakhmut e Avdiivka, lanciando un attacco a sorpresa a Kursk e inviando senza sosta ai finanziatori occidentali nuove liste della spesa piene di armi miracolose in grado di ribaltare la situazione.
Nell’ambito dell’ampia portata degli obiettivi di guerra autodichiarati di Kiev, tra cui il fantasmagorico ritorno della Crimea e di Donetsk, non è mai stato chiaro come queste operazioni siano correlate. La Russia, al contrario, ha perseguito i suoi obiettivi bellici con coerente chiarezza e una grande riluttanza a correre rischi e a disperdere le sue energie. Mosca vuole, come minimo, consolidare il controllo sul Donbass e il ponte terrestre verso la Crimea, distruggendo lo Stato ucraino e neutralizzando il suo potenziale militare.
La pazienza strategica della Russia – la sua riluttanza a impegnarsi in una completa disattivazione dell’Ucraina o a colpire i ponti sul Dneiper – spesso esaspera i suoi sostenitori, ma è indice della fiducia russa di poter raggiungere i propri obiettivi sul terreno senza radicalizzare inutilmente la guerra. Mosca non vuole rischiare di provocare l’intervento dell’Occidente o creare inutili disagi alla vita quotidiana in Russia. Per questo motivo, pur possedendo capacità significativamente maggiori rispetto all’Ucraina, è sempre stata un’entità reattiva – aumentando gli attacchi alle infrastrutture ucraine come risposta agli attacchi ucraini, intraprendendo l’operazione Kharkov in risposta agli attacchi ucraini a Belgorod e adottando un atteggiamento attendista nei confronti delle armi occidentali.
La Russia è rimasta maniacalmente concentrata sul fronte orientale come centro di gravità di tutte le sue operazioni militari, essendo il Donbass la ragion d’essere dell’intera guerra. La guerra nel Donbass, per tutta la sua frustrante connotazione posizionale/di attrito, con le forze russe che lavorano metodicamente attraverso le fortezze ucraine, ha un rapporto intimo e ben definito con la teoria della vittoria di Mosca in Ucraina, e le forze russe nel sud-est sono in procinto di spuntare un’enorme casella su questa lista di cose da fare. La teoria della vittoria di Mosca è chiaramente definita; quella di Kiev non lo è, a prescindere dalla pubblicazione del nebuloso e speculativo piano della vittoria.
L’Ucraina, al contrario, sta sempre più conducendo una guerra “come se”. Sta dissipando le proprie scarse risorse di combattimento su fronti remoti che non hanno alcun nesso operativo o strategico con la guerra per il Donbass. Si è resa conto che la guerra nel Donbass è semplicemente una proposta perdente, ma i suoi tentativi di cambiare la natura della guerra attivando altri fronti e provocando un’espansione del conflitto sono falliti, perché la Russia non è interessata ad imitare inutilmente la dissipazione strategica di Kiev. I suoi tentativi di radicalizzare il conflitto sono falliti, poiché né l’Occidente né la Russia hanno reagito seriamente ai tentativi dell’Ucraina di violare le linee rosse. L’idea di una soluzione del conflitto sembra ormai incredibilmente remota: se l’Ucraina non è disposta a discutere lo status del Donbas e se la Russia ritiene di poter conquistare l’intera regione semplicemente avanzando sul terreno, allora sembra che ci sia ben poco da discutere.
Nel complesso, gli eventi del 2024 sono immensamente positivi per la Russia e spaventosi per l’Ucraina. L’AFU ha iniziato l’anno cercando di superare la tempesta ad Avdiivka. Nel frattempo, il fronte si è spostato dalle porte di Donetsk, dove l’AFU deteneva ancora la sua catena di fortezze prebelliche, fino alle porte di Pokrovsk. Città come Pokrovsk e Kurakhove, che in precedenza fungevano da hub operativi nelle retrovie, sono ora posizioni di prima linea, con quest’ultima che probabilmente sarà conquistata entro la fine dell’anno. La grande scommessa dell’Ucraina di sbloccare il fronte attaccando Kursk è fallita nei primi giorni dell’operazione, con gli elementi meccanizzati dell’AFU bloccati a Korenevo.
Sono passati più di due anni dall’ultima volta che l’Ucraina era riuscita a organizzare un’offensiva di successo, e una ricapitolazione degli eventi rivela una sequenza di sconfitte: il fallimento delle difese a Bakhmut e Avdiivka, il crollo della linea nel Donbas meridionale, una controffensiva molto attesa che si era infranta a Robotyne nell’estate del 2023 e ora un attacco a sorpresa a Kursk, vanificato a Korenevo. Svincolata da una teoria coerente della vittoria, e con gli eventi sul campo che si inaspriscono a ogni angolo, Kiev potrebbe trovare conforto nel condurre una guerra come se, ma una spinta sconsiderata a Kursk e una fiducia cieca nel Deus Ex Machina della NATO non la salveranno dalla guerra così com’è veramente.
Big Serge è, evidentemente, un taciturno a proposito di se stesso; sospettiamo che questo signore (che è tutto quanto abbiamo di lui) possa essere stato un suo antenato.
Link: https://bigserge.substack.com/p/the-forest-and-the-trees-ukraines
Scelto e tradotto (IMC) da CptHook per ComeDonChisciotte