È in Via Venezia 30 che sabato 16/11 dalle 12:00 si è svolto il partecipato presidio lanciato dal collettivo Critical Psychology, collettivo Psycho Active e Assemblea Salute e Cura, in risposta alla vergognosa decisione dell’Ordine Psicologi e Psicologhe Veneto (OPPV) di tenere il convegno “Psicologia Militare e Civile a confronto: strategie per il benessere organizzativo e il potenziamento della performance”.
L’OPPV, lo ricordiamo, è un ente pubblico sul quale vigila il ministero della salute, che ha il compito di rappresentare e garantire una formazione continua a tutte le psicologhe e gli psicologi di questa regione, vincolato da un codice deontologico del quale articolo 3 parla del principio di responsabilità, sostenendo che la responsabilità dell3 psicologh3 non si può occupare solo del destinatario immediato della prestazione, ma deve tenere in conto anche delle ripercussioni indirette del proprio intervento, compresi i fattori politici, organizzativi e culturali. Responsabilità ed etica che, come si è visto in questa occasione, può essere piegata alla tecnica a favore di determinate istituzioni.
Questo convegno, in un mondo in cui le spese militari continuano a crescere mentre i diritti e il welfare vengono tagliati, è l’ennesimo esempio di come la psicologia venga asservita agli interessi del potere e promossa come tale dall’Ordine. Come psicologh3/terapeut3, medic3, student3, e fruitori di tali servizi ci chiediamo: La salute mentale può esistere dentro un clima di guerra sempre più pesante? Dov’è la responsabilità nel promuovere la salute mentale all’interno di una macchina repressiva?
I titoli degli interventi, tutti rigorosamente presentati da ufficiali dell’esercito, sono eloquenti: “Supporto alle alte performance nel personale della Polizia di Stato”, “Sicurezza emotiva e benessere psicologico in ambito militare”, e altro ancora. Una “cura” al servizio di chi è chiamato a esercitare il controllo e a eseguire ordini che non ha alcun interesse per il benessere dell’essere umano in quanto tale ma solo per la funzione che può svolgere, un “supporto” che agisce precisamente sui bisogni umani per adattarli a un sistema di potere che rigetta qualsiasi dimensione autenticamente umana e relazionale.
I nostri interventi, nel giardino esterno al luogo del convegno, sono stati invece molto differenti.
Riteniamo che questo convegno sia un segnale chiaro: non si tratta di costruire una cultura di pace, ma si parla di come migliorare l’efficienza e resilienza di chi controlla e reprime, all’interno di un clima di guerra in costante escalation. Siamo profondamente preoccupate e arrabbiate per la desensibilizzazione collettiva nei confronti del dolore e della violenza, un processo che, purtroppo, ci coinvolge anche nel nostro campo. Allo stesso modo, ci inquieta l’indirizzo sempre più individualista che sta caratterizzando la nostra disciplina, snaturandone la dimensione relazionale e sociale. Siamo inoltre stanche di assistere in silenzio alla devastazione militare genocida della Striscia di Gaza, e ci opponiamo fermamente alle retoriche coloniali che emergono anche da questo convegno.
D’altra parte, è chiaro che l’ambito psichiatrico e terapeutico tutto stia acquisendo una deriva sempre più securitaria. È recentemente entrato in vigore il decreto 137, volto a contrastare la violenza contro gli operatori sanitari, ma il suo approccio, incentrato sulla sicurezza, assume connotati prevalentemente securitari: inasprire le pene e introdurre misure come l’arresto differito non affronta le cause profonde della violenza, radicate nel collasso dei servizi pubblici, nella precarietà lavorativa e nella disgregazione sociale. In questa stessa direzione, Fratelli d’Italia ha presentato a inizio luglio di quest’anno il DDL Zaffini, al quale ci opponiamo e ci opporremo fermamente.
Non potendoci permettere di ignorare l’operato politico di un simile evento promosso da un ente pubblico, diciamo a gran voce che questo convegno è solo l’ennesima manifestazione di una psicologia che, piegata docilmente alle logiche del profitto e del controllo, ha smesso di interrogarsi. Non ci serve una psicologia che insegna a sopportare la violenza istituzionale, ci serve una psicologia che aiuti a immaginare e costruire mondi nuovi, che sia strumento di liberazione e non di addestramento. In quanto professionist3 psicologh3, psicoterapeut3, medic3, student3, operator3 e fruitori di tali servizi lo ribadiamo, continueremo a lottare per una conoscenza che tenga in vita alternative dal basso, interventi comunitari e territoriali, ben consapevoli che la salute mentale ed il benessere sono dirette conseguenze dei sistemi in cui siamo prodott3.
Ve lo vogliamo dire noi di cosa c’è urgenza di parlare: di tutte le persone che si tolgono la vita all’interno delle carceri di questo Paese, delle oltre 100 donne ammazzate da inizio anno, di tutti i migranti detenuti in CPR senza aver commesso alcun reato, riempiti di psicofarmaci, di chi al CPR o al rimpatrio ha preferito la morte, e infine di chiunque venga sistematicamente escluso e dimenticato dentro le istituzioni violente e repressive che questo governo continua a potenziare. La salute mentale va tutelata non cercando di curare i traumi di chi torna dalla guerra, ma impegnandosi affinché nessuna persona debba più essere esposta a qualsiasi forma di violenza. È di questo che abbiamo bisogno: di una scienza umana che liberi, non di una che opprima.