Il “caso Tricarico” rappresenta l’ennesimo tentativo di Eni di colpire chi solleva interrogativi scomodi sul suo operato. Antonio Tricarico, esponente di ReCommon, è stato denunciato dalla multinazionale per presunta diffamazione a mezzo stampa, a seguito di dichiarazioni rilasciate durante la trasmissione “Report” dello scorso 5 maggio. Le sue parole, riferite al legame temporale tra l’assegnazione della licenza di sviluppo del giacimento di gas Zohr in Egitto e il brutale assassinio del ricercatore Giulio Regeni, hanno evidentemente urtato la sensibilità dell’azienda.
Un’ulteriore conferma delle sue affermazioni è arrivata proprio nella puntata di Report del 17 novembre, in cui documenti interni di Eni corroborano il racconto di Tricarico, dimostrando che non si tratta di accuse infondate, ma di fatti documentati.
La strategia della multinazionale: colpire per silenziare
L’azione legale nei confronti di Tricarico non è un caso isolato. Già lo scorso ottobre, ReCommon e Greenpeace Italia erano state citate da Eni per una presunta “campagna d’odio”. Un’accusa respinta al mittente dalle due organizzazioni, che hanno evidenziato come tali azioni legali mirino a distogliere l’attenzione dalla Giusta Causa climatica, promossa contro l’azienda nel maggio 2023 e ora all’esame della Corte di Cassazione.
Non è la prima volta che Eni tenta di esercitare pressioni sulla società civile e sul giornalismo investigativo. Nel dicembre 2021, la multinazionale cercò di impedire a Report di intervistare Tricarico sul caso Nigeria-OPL245, definendolo non “degno interlocutore” per il servizio pubblico. Un precedente inquietante che si collega alla vicenda odierna.
Libertà di espressione sotto attacco
L’intento sembra chiaro: silenziare chi espone pubblicamente le responsabilità di Eni nella crisi climatica e nei suoi intrecci con regimi autoritari. Secondo ReCommon, la denuncia contro Tricarico è un ulteriore esempio di censura preventiva da parte di un colosso fossile che fatica a confrontarsi con una crescente richiesta di trasparenza e giustizia climatica.
«Invece di limitare la libertà di espressione della società civile, i vertici di Eni farebbero meglio a ritirare la denuncia contro Antonio Tricarico e a riflettere sull’operato del loro responsabile legale, perquisito e indagato nell’inchiesta sullo spionaggio e dossieraggio illecito», ha dichiarato ReCommon, esprimendo piena solidarietà al suo rappresentante.
Questo episodio non è solo una questione legale o mediatica. È il riflesso di un conflitto più ampio, che vede contrapposti da un lato i giganti fossili e i loro tentativi di controllare la narrazione pubblica, e dall’altro una società civile sempre più determinata a denunciare gli intrecci tra potere economico, violazioni dei diritti umani e crisi climatica.