Di Claudio Vitagliano
Una decina di giorni fa mi è arrivato un messaggio whatsapp dell’artista David Lucchesi che mi avvisava di un suo evento a Milano : un’esposizione intitolata “ Tutt’uno” che si sarebbe protratta dal 30 / 11 al 15 / 01, nello spazio Rehearsal” in via G. B. Passerini 18. Per cui, dopo pochi giorni, mi sono presentato alla mostra.
Sino ad allora, David non lo avevo mai incontrato di persona. La nostra conoscenza si limitava a un carteggio via messenger…e all’ammirazione che gli esternavo ogni volta che pubblicava qualche sua opera su Facebook (evviva, allora di tanto in tanto anche i social hanno una loro utilità!). Opere che naturalmente, come per l’autore, non avevo mai visto dal vivo. Per quel che riguarda lui, ho avuto l’impressione di trovarmi di fronte ad un ragazzone molto riservato ma gioviale e con la testa tra le nuvole. Uno insomma, che cova cose che agli altri racconta esclusivamente attraverso i suoi dipinti. E infatti i suoi dipinti, che a questo punto mi sono trovato davanti in essere, parlano.
O forse sarebbe meglio dire che bisbigliano. La sua pittura sembra precederlo, come se si formasse da sola in chissà quale recesso dell’ancestrale universo dell’arte, e lui David, non fosse altro che il mezzo di comunicazione che ci permette di venirne a conoscenza. La sua opera è misteriosa ; si fà avanti con cautela, raccontandosi un po ‘si e un po’ no. Eppure è così densa di senso da risultare quasi fuori luogo, anzi, un po’ disturbante. Badate, non è sicuramente la generale riscoperta della figurazione a tenerci inchiodati davanti ai suoi dipinti, visto che le mode non ci interessano, semplicemente siamo catturati da una pittura che si realizza in pieno nella sua incompiuta bellezza.
La sua arte pesca nell’armadio degli archetipi a tutti noi comune, parlando direttamente al nostro mondo recondito senza passare al vaglio della ragione. Abbiamo tentato di stabilire, come è ovvio, parentele e discendenze possibili con l’arte e i movimenti del passato, riuscendo a cogliere, nello specifico, solo in forma larvale qualche sporadica traccia di dna del surrealismo. Ma in realtà è molta tradizione della pittura italiana a riverberarsi nelle sue opere. Parliamo di periodi, anzi di ere artistiche che vanno dal rinascimento alla scuola romana. Il suo lavoro si pone formalmente sul confine tra figurazione e astrazione, cosa che già di per sé stabilisce assonanze con il nostro sentire.
Invero, lasciando stare la diatriba che si prolunga in automatico da inizio secolo scorso sulla preminenza che debba avere l’astrazione o la figurazione nella prassi artistica, abbiamo una nostra opinione al riguardo, proprio in virtù della quale si è rafforzata questa particolare attenzione per l’opera di Lucchesi. Ci sembra che la più affascinante delle ipotesi, riguardo all’arte contemporanea sia proprio la messa in atto di una ibridazione in divenire delle due forme di espressione. In effetti, dalla pietà Rondanini in poi, il non finito, ha esercitato sugli amanti dell’arte degli ultimi secoli fino alla modernità, un fascino irresistibile, mettendo lo spettatore nella posizione di chi l’opera la conchiude nella maniera a lui più congeniale.
Effettivamente, la possibilità che offre allo spettatore l’opera aperta, di essere protagonista della sua compiutezza è impagabile. Nulla scatena la fantasia più del gioco dell’indagine. Un gioco, in cui, dato l’antico vocabolario ritrovato tra le cose riposte, sta al partecipante ricostruire la storia e raccontarla secondo un linguaggio precisamente decodificato. Dobbiamo annotare anche che l’arte, forse in ossequio a un positivismo di ritorno nella seconda metà del secolo scorso, manifestatosi con il trentennio di concettuale, ( arte povera e affini ), ha perso a lungo ogni caratteristica riconducibile al mistero della poesia. Per tale motivo, abbiamo dovuto quindi in veste di esegeti della stessa, fare riferimento più alla scienza e al pensiero speculativo che all’emozione.
Tornando a David, la sua arte minima, si fa carico di queste istanze del mondo immaginativo, di questo ritorno al midollo ineludibile della creazione. Essa trova proprio nella sua voluta vaghezza, la chiave di volta che innesca il nostro processo catartico. Intuiamo che il senso percepibile in tutta la sua evidente potenza, ma non nel suo significato assoluto, di cui è comunque il veicolo, si fà annuncio di epifanie incombenti. Al cospetto delle sue tele, ci ritroviamo come abitanti del mare che cercano l’isola del tesoro, navigando però a vista senza l’aiuto della bussola. Siamo fermamente posseduti da questo gioco di vedo e non vedo, a cui ci abbandoniamo avventurosamente senza riserva. E’ da notare oltretutto l’estensione naturale della sua forma espressiva che si snoda in direzioni anche diverse ; dalla rarefazione al grumo di immagini e colori intensamente sovrapposti. Una certa discontinuità che dà adito ad una percezione frammentata del suo polifonico mondo interiore.
Salta all’occhio la sua libertà e distanza da qualsiasi forma di rigore assolutista in cui tanta arte risulta ingabbiata. Ci sembra in definitiva, un artista che pratica l’arte assecondando una indole anarchica e fuori dagli schemi correnti, affidandosi alla tanto vituperata ma irrinunciabile ispirazione. Un artista che risponde unicamente alla sua poetica, lasciando fuori dalla sua orbita gran parte dei ripetitivi e oramai obsoleti stigmi dell’arte contemporanea. Il suo mondo parallelo si interseca fortemente col reale, mantenendo però un’aura esoterica. Se ci fosse concesso coniare una definizione per quel che egli dipinge, parleremmo di “ Espressionismo magico”. A fronte della visione manichea di tanti che dividono il mondo dell’arte in buoni e cattivi ( gli avulsi dal mercato e quelli che del mercato ne hanno fatto la loro casa ) la freschezza che David mette in campo e la distanza che egli stabilisce con ogni facile compromesso, ci pare una folata di vento fresco nel mezzo di un agosto rovente. Diciamo infine, che il sottile languore che ci prende allo stomaco davanti ai suoi dipinti, possiamo ragionevolmente classificarlo come i sintomi dell’innamoramento.
Di Claudio Vitagliano