Nel tempo del sogno (e della libertà)

di Sara Picardi e Franco Pezzini

“Era l’energia stessa, e diffondeva intorno a sé un’influenza accesa; un’atmosfera di vita, piena di ideali”: così di lui parlerà Samuel Palmer, scrivendo ad Alexander Gilchrist (1855). E tanto più nei nostri tristi giorni, immergersi consapevolmente nelle opere di William Blake diventa una forma di resistenza. Genuinamente antimoderno ma da posizioni libertarie, ribelli e anzi rivoluzionarie, a togliere il cappellino alla pretesa arrogante dell’odierna ultradestra conservatrice di lottizzare l’antimodernismo cavalcando tigri (o animali meno nobili); capace di inventarsi trovate sornione come l’ambigua celebrazione del capo del governo Pitt e del signore della guerra Nelson effigiandone le rispettive forme spirituali in piedi su Behemoth (1805) e Leviathan (1805-09), cioè le bestie del caos e della distruzione; profondamente, vertiginosamente religioso senza che la sua devozione diventasse mai un quieto rattrappirsi nelle ambiguità di una Chiesa di Stato, William Blake (1757-1827) non può certamente essere ridotto a un santino: scomodo, ispido, spiazzante, visionario, resta però un santo patrono ideale – a suo modo realmente santo – di chi viva alcune tensioni nella complessità e all’opposizione rispetto a quei poteri che tentano di imbrigliare l’immaginario a proprio consumo. Quindi tanto più importante in tempi come i nostri: e il suo successo transmediale sul web non riesce a svilirne l’impatto.

Ora, sull’onda di altre esposizioni meravigliose presentate in precedenza nella stessa stagione dell’anno entro la grande cornice della Reggia di Venaria in collaborazione con la Tate UK (in particolare John Constable. Paesaggi dell’anima, 2022-23 e Turner. Paesaggi della Mitologia, 2023-24), la mostra Blake e la sua epoca – Viaggi nel tempo del sogno – fino al 2 febbraio 2025 – si inserisce perfettamente in un periodo dell’anno che evoca introspezione. Il passaggio dall’autunno all’inverno, quando le ore di luce cedono presto il passo alla lunga notte, offre un’atmosfera che tanto bene si accorda coi chiaroscuri visionari di Blake, un artista capace di tradurre i propri sogni e visioni in opere di straordinaria intensità e potenza.

La mostra celebra il suo genio visionario e la capacità di fondere arte e poesia in un linguaggio unico, fervente di miti, simboli e presagi mistici. Nato a Londra durante quella Guerra dei sette anni (1756-63) considerata come la prima vera guerra mondiale, una guerra totale di cui l’Inghilterra risulta la vera vincitrice, Blake sarà un uomo dai molteplici talenti: poeta, pittore, incisore e visionario. La sua opera rifletterà il tumulto delle trasformazioni politiche e sociali dell’epoca, come le rivoluzioni americana e francese, che alimenteranno il suo spirito ribelle e la sua incessante ricerca di un’armonia superiore, lontana dalle convenzioni asfittiche della società. Incredibile, tra l’altro, e irriducibile alla tavoletta delle riproduzioni anche web, il tipo di colori che Blake sa donare alle sue tavole.

Se all’epoca il suo lavoro verrà giudicato eccentrico, oggi la sua eredità è considerata una delle più influenti della storia dell’arte: le opere di Blake riscontrano un impatto duraturo, influenzando le avanguardie artistiche del Novecento, capaci di apprezzare la sua esplorazione dell’inconscio e la sua dissoluzione di barriere tra reale e fantastico. Considerato un precursore nella ricerca di nuovi mondi, Blake verrà riconosciuto in grado di visualizzare realtà alternative e sconvolgere le convenzioni artistiche.

Nonostante i frequenti problemi di natura economica, Blake, giunto alla maturità, riceverà finalmente l’apprezzamento di giovani artisti che, riconoscendone il valore, lo aiuteranno in concreto a sostenersi commissionandogli svariati lavori. Un esempio del suo rinnovato status tra i contemporanei si trova nelle parole di Samuel Palmer, pittore e incisore che lo paragona a un profeta, sottolineando la sua straordinaria capacità di intuire e trasmettere visioni universali: “In lui si vedeva subito il creatore, l’inventore; uno dei pochi in ogni epoca: un compagno adatto a Dante”.

Oltre al rapporto con i suoi colleghi più giovani, tra gli affetti più importanti di Blake va ricordata sua moglie, Catherine Boucher (1762-1831), sposata nel 1782. Pur non godendo di una formazione accademica nell’arte, Catherine si mostrerà capace di imparare rapidamente tecniche artistiche talora innovative, aiutando anche praticamente il marito nella realizzazione delle sue opere: la loro unione sarà dunque un connubio di passione creativa e visione spirituale.

Fin da bambino, Blake dichiara di avere visioni che vengono giudicate con scetticismo dalla sua famiglia. La spontaneità di tali esperienze non permette di raccordarle direttamente a influssi culturali d’epoca, ma è bene ricordare come il Settecento non sia solo il secolo dei Lumi ma anche di tante altre forme di illuminazione – mistiche, spirituali, visionarie, profetiche… – che contribuiranno allo sviluppo di quella straordinaria stagione preromantica in cui tra l’altro nasce il gotico letterario.

Nonostante il suo precoce talento artistico, che i genitori cercano di sviluppare, sperando di incanalare la sua passione nel modo più pragmatico, William non si lascia mai dissuadere dalle proprie fantasticherie. Sin da giovane, rivela una straordinaria capacità di vedere oltre il visibile, alimentando le sue visioni con un’intensità che si riflette nel suo approccio artistico unico e quasi sinestetico. Tutto ciò ben emerge nell’esposizione di Venaria, articolata nelle sezioni tematiche Incantesimi, Creature fantastiche, Orrore e Pericolo, Il Gotico, Uno sguardo romantico al Passato, Satana e gli Inferi. Dove fondamentale è l’immersione dell’autore nella Bibbia e in una serie di opere capitali della letteratura.

La mostra ha tra l’altro il pregio di far interloquire le opere di Blake – tante e alcune notissime, come le due versioni di La casa della morte, Il corpo di Abele trovato da Adamo ed Eva, Behemoth e Leviathan a illustrazione del biblico Giobbe, Betsabea al bagno, varie tavole dai Libri profetici e dal corpus sulla Divina Commedia, il citato La forma spirituale di Pitt che guida Behemoth, proiettato anche nelle dimensioni gigantesche vagheggiate dall’autore come monumento pubblico di 30 metri, e altre su cui occorrerà tornare –, con quelle di parecchi suoi colleghi dell’epoca, arricchendo il percorso tematico e creando un dialogo visivo che amplifica l’esperienza. Colleghi come l’immenso Johann Heinrich Füssli (1741-1825), pittore, disegnatore e teorico dell’arte che condivide con Blake la passione per il soprannaturale e l’esplorazione degli abissi dell’animo umano attraverso opere cariche di drammaticità e tensione, qui rappresentato attraverso varie opere. O come Theodor Richard Edward von Holst (1810-1844), altro cantore dell’inquietante, discepolo di Füssli; o John Hamilton Mortimer (1740-1779), noto per le sue tavole ispirate a Salvator Rosa. E poi Nathaniel Dance (impagabile il suo Il fantasma dello zio della signora Swellenberg); Francis Danby; Jacob More; Samuel Colman; Susanna Duncombe (bellissima La scena del fantasma da “Il castello d’Otranto”); Thomas Rowlandson; Henry Singleton; George Romney; lo stesso Turner (di cui sono presenti l’enigmatico A subject from runic superstition, esposto nel 1808, e The cave of despair, c. 1835, ispirato alla Faerie Queen di Spenser); il fratello di Blake, Robert; Alexander Cozens; Thomas Girtin; John Martin; Edward Dayes…

Tra i temi evocati, presenza centrale nell’universo mitologico di Blake che emerge nell’esposizione è quella di Enitharmon, la controparte femminile di Los, il principio della forza creativa. Enitharmon è la personificazione del divino femminile, associata alla musica, all’arte e all’ispirazione spirituale. Nello straordinario La notte della gioia di Enitharmon (spesso citato semplicemente come Ecate – 1795), Blake esplora il suo ruolo fondamentale nelle dinamiche di creazione e distruzione. Enitharmon stimola e nutre il potenziale creativo degli altri, incarnando una musa attiva che non solo ispira, ma sfida le convenzioni sociali e razionali del suo tempo. La sua figura, intrisa di mistero, si compenetra con quella della dea greca Ecate, signora dei trivi, dell’oltretomba e delle streghe, simbolo di transizione e di viaggio tra mondi visibili e invisibili: non a caso la figura qui è trina, accompagnata da un asino tifoniano, un rettile, una civetta e alcuni pipistrelli. Come Ecate, che guida nei passaggi oscuri tra il noto e l’ignoto, Enitharmon guida il cambiamento, l’iniziazione e la rinascita, creando così un parallelo simbolico e tematico che arricchisce ulteriormente il quadro complesso delle sue visioni. Il quadro è notissimo e splendido, emozionante vederselo davanti.

Tra le opere più enigmatiche di Blake, Il fantasma di una pulce (1819-20, tempera e oro su mogano) merita poi una menzione particolare. Questo piccolo dipinto (ma c’è qui anche un bozzetto preliminare) ritrae una figura grottesca più o meno antropomorfa, mostruosa e vorace, “copert[a] da una pelle squamosa d’oro e di verde”: e nasce da una pretesa visione dell’autore che affermerà di aver visto il fantasma di una pulce, forse burlandosi dei suoi colleghi più giovani. Abbinando il vampirismo (ha una coppa in mano per il sangue) all’avidità grottesca e alla violenza umana, quest’immagine esemplifica il lato oscuro dell’immaginario di Blake, che esplorava con grande intensità le forze latenti e distruttive dell’animo umano.

Una sezione della mostra è dedicata ai riferimenti shakespeariani, con esempi evocativi come Oberon, Titania e Puck, accompagnati dalle fate danzanti (1786), che richiamano l’incanto del Sogno di una notte di mezza estate. Altre opere significative includono una suggestiva tela di Singleton, che ritrae Ariel sul dorso di un pipistrello (esposto 1819), e la potente Scena del “Faust” di Goethe, dipinta da Von Holst (1834), che esplora le tematiche dell’eros e della conoscenza attraverso il mito del dottor Faust. Questi riferimenti arricchiscono ulteriormente la mostra, intrecciando l’arte di Blake con un intero orizzonte di riferimenti fantastici, letterari e filosofici, e offrendo una panoramica affascinante sulla sua visione del sogno, del desiderio e della trasformazione.

Come accennato, la figura di Satana occupa un’intera sezione all’interno dell’esposizione. Nelle visioni di Blake, nutrite dalla lettura di Milton, Satana è lontano dalle rappresentazioni tradizionali: non è semplicemente il nemico del bene (cfr. qui Satana che esulta su Eva, c. 1795, o Satana punisce Giobbe con piaghe infuocate, c. 1826) e il simbolo di un male assoluto, ma un ribelle luminoso dalla profonda umanità (per esempio in Satana nella sua gloria originale, 1805), carico di sfumature e contraddizioni. Espressione di una forza che, attraverso la sua lotta, scava nelle profondità dell’animo umano alla ricerca di una nuova consapevolezza, Satana incarna qui la lotta contro l’autorità divina e il desiderio di libertà. In un’epoca segnata da grandi rivoluzioni politiche e sociali (pensiamo solo al luddismo e alle altre reazioni radicali allo sfruttamento da parte degli arconti della rivoluzione industriale), da guerre e timori d’infiltrazione giacobina, mentre l’incertezza domina e l’apocalisse sembra imminente, Blake presenta il Ribelle caduto (cfr. l’incisione La caduta di Satana, 1825, dal Giobbe) come una figura tragica – e carica oltretutto di potenziale erotico – che si oppone all’ordine divino.

La splendida mostra è conclusa da un’affascinante installazione video immersiva, William Blake: Re-Imagined Visions, prodotta da BLINKINK e diretta da Sam Gainsborough.

Blake e la sua epoca non è solo un’occasione per ammirare l’arte di uno dei più grandi visionari del romanticismo, ma un vero e proprio viaggio nelle profondità del sogno e del mistero, attraverso le opere potenti presentate e il tessuto di simboli che queste, per quanto note, continuano a offrirci. Ricordando d’altronde le parole dello stesso Blake, uomo schierato nelle battaglie del suo tempo, “The Imagination is not a State: it is the Human Existence itself” (Milton. A Poem in 2 Books), comprendiamo come a queste visioni, alle fate danzanti della locandina e a tutto il resto, non si possa contestare nulla di escapistico. William Blake, fratello maggiore, restaci accanto.

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