Apparire e sparire per permettere di crescere

di Franco Pezzini

Beatrice Salvioni, La Malacarne, pp. 480, € 19,50, Einaudi Stile Libero, Torino 2024.

Nella vulgata, forte – va detto – di una certa serie di prove provate, il sequel vive una propria esistenza un tantino miserella o losca: quasi come un mero tributo alla dimensione commerciale del libro o del film (“Vende? Facciamo un sequel”). Tanto più considerando il vecchio detto editoriale che il primo romanzo si perdona a tutti, mentre i problemi si scatenano sul secondo.

Non è affatto questo il caso – va detto con forza – del romanzo in esame, seguito del brillantissimo esordio La Malnata (Einaudi Stile Libero, 2023): La Malacarne mostra non solo un controllo e una crescita stilistica ulteriore – che si coglie nella grana della scrittura, nei mille passaggi efficaci e nelle soluzioni eleganti che lo costellano –, ma anche una tensione appassionata tra personaggi davvero di carne, che regge ottimamente la trama. Fino a un finale che non si spoilera ma lascia sanamente commossi.

Stavolta in scena sono gli anni 1940-1945. La protagonista narrante Francesca è cresciuta, ma la separazione forzata dall’amica del cuore Maddalena, “la Malnata”, non le permette di dimenticarla. Da tale chiusura in manicomio – pregna di orrori sottaciuti, di cui Francesca apprenderà solo tardi qualche episodio – Maddalena uscirà piccola come mai sviluppata, a differenza dell’amica che nel frattempo ha trovato modo di autonomizzarsi fino a farsi etichettare Malacarne; ma a colpi di scelte sempre sopra le righe a calamitarle addosso tipi diversi di disprezzo, Maddalena tornerà ancora ad apparire e sparire per i successivi anni, riemergendo a salvare Francesca, a veicolare i suoi snodi di crescita (in qualche modo la protagonista può riuscirci perché l’amica si smarca), a ricordarle di non aver paura. Queste latenze dalla scena, lungi dallo sfilacciare la storia delle due ragazze, la rafforzano costringendo il lettore a considerare soluzioni inattese, scelte spiazzanti, e le connotazioni di un rapporto struggente, intensissimo e allusivo tra due ragazze. Un rapporto che per essere capito senza banalizzazioni anacronistiche va collocato nel linguaggio, nelle indicibilità e negli schemi di un’epoca.

Francesca non è più la ragazzina di buona famiglia colpita e “traviata” dall’amica Malnata: è un soggetto attivissimo capace di scelte pragmatiche fino a sfiorare il cinismo – ma mai davvero cinica – e a non condannare mai in modo acritico. Vede esplodere la sua famiglia, ma il disprezzo verso le scelte della madre non diventa mai condanna personale, emblematica l’ultima delle scene dove appaiono assieme; d’altra parte non diventa neppure stucchevole buonismo, e Francesca continua a vedere la realtà con dura lucidità grazie alla lezione impareggiabile dell’amica. Un dosaggio ammirevole connota la scrittura di Salvioni, attento alle emozioni ma mai esaurito in esse: di un’autrice giovane (nata 1995) si ama una maturità di riflessione mai ridotta a ragionevolezza d’accatto, tepidezza, equilibrio peloso. In queste pagine si respira forza, ribellione, ma anche percezione della complessità, intelligenza scintillante, capacità di mediare ove necessario e invece capovolgere il tavolo ove ciò serva.

Un felice tessuto di personaggi a più livelli d’importanza – a partire dal tenerissimo Noè, sposato da Francesca per liberarsi dai genitori – innerva una storia ricchissima di documentazione, e dove una parte importante l’ha anche una microstoria di abiti, cibi, oggetti. L’autrice offre una ricostruzione puntuale, dettagliatissima, della Monza degli anni della guerra, delle violenze atroci consumate dai fascisti, delle ambiguità che il mondo liberato trascinerà con sé. Ai danni delle donne, in primo luogo, e poi di chiunque superi i limiti consentiti da stereotipi diffusi in un piccolo mondo italico che pare aver appreso poco dalla lezione di quegli anni.

È un gran bene che libri come La Malacarne vengano proposti da un grosso editore, per contribuire a sbugiardare certi teatrini (“Il tratto distintivo più profondo del fascismo era uno spirito di libertà straordinario”, si è dovuto sentir dire anche questo, in dichiarazioni pubbliche) e ricordare cosa sia quel fascismo che alte cariche dello stato rivendicano orgogliosamente come parte del proprio passato: certo, i documenti e fior di studi storici esistono, ma un’epoca senza memoria e senza pudore non li avvicina. La voce della forma romanzo, non certo a tesi ma semplicemente portatrice di memoria e istanze critiche complesse contro ogni scorciatoia becera, permette di sollevare qualche salutare dubbio sullo storytelling di un potere. Che certamente non riproporrà più orbace e olio di ricino, ma a colpi di parole d’ordine, voci cortigiane e riletture banalizzanti della realtà storica, con quel passato putrido flirta pericolosamente.

Condividi questo contenuto...

Lascia un commento