Uno degli elementi fondamentali per la nostra sopravvivenza è costituito dalle foreste per vari motivi: producono ossigeno indispensabile per la nostra vita, proteggono la biodiversità, sono un magazzino inesauribile di cibo, sono rifugio e tutela di specie animali di ogni tipo, prevengono dissesti idrogeologici assorbendo acqua, contribuiscono a produrre precipitazioni e a mitigare caldi estremi e il loro apporto alimentare sarebbe assai più importante dell’agricoltura stessa.
Del resto basta ascoltare quello che dice l’esperto Martin Crawford per rendersene conto: in soli tre minuti e venti chiarisce perfettamente che l’agricoltura costituita da monoculture, oltre a essere contronatura e massimamente inefficiente, è debolissima di fronte a qualsiasi attacco, che sia del clima o di parassiti vari. La vera agricoltura si fa in diversificazione, altezza e in efficienza e la foresta è il mezzo migliore per sostentarsi, tanto che nella sua food forest coltiva 500 piante edibili tra cui frutti di vario tipo, noci ma anche funghi, piante medicinali, ecc. Nessuna monocultura è paragonabile per ricchezza e versatilità a una foresta.
Ma la foresta viene minacciata in tanti modi, a causa dei cambiamenti climatici chiaramente e inequivocabilmente di origine antropica, che innescano desertificazione e aumenti di temperature con conseguenti incendi biblici, oppure a causa del sistema alimentare laddove si distrugge un patrimonio forestale inestimabile per produrre foraggio da dare agli animali che vengono sterminati a miliardi per fornire da mangiare ai ricchi del pianeta in un circuito di inefficienza, inquinamento, insalubrità, sofferenza e follia spaventosa.
È quindi chiaro che oltre a dover essere preservate rigorosamente, le foreste devono essere incentivate ovunque e comunque, in qualsiasi luogo in qualsiasi latitudine, sia per favorire l’assorbimento di CO2 fuori controllo ma anche perché sono di una ricchezza imporantissima e in passato la terra era piena di foreste.
Un ottimo libro ci viene in soccorso ed è quello scritto da Hannah Lewis, Mini forest revolution, per le edizioni Terra Nuova, sull’opera del giapponese Miyawaky, il quale ha avuto l’intuizione di capire come realizzare mini foreste in molti luoghi diversi scegliendo le piante e le metodologie giuste.
Avendo formulato un protocollo di intervento, ha facilitato la piantumazione gestione e crescita della foresta, che per un paese come l’Italia, dove a ogni pioggia viene giù di tutto, piantare le foreste dovrebbe essere inserito come articolo nella Costituzione, anche grazie al loro beneficio di assorbire l’acqua. Inoltre fanno da serbatoi di fresco in estate, visto che le ondate di calore sono sempre più frequenti e pesanti; e favoriscono la purificazione dell’aria e le precipitazioni. Invece da noi succede esattamente il contrario e le foreste antiche vengono saccheggiate da chi sfrutta il legno per usi assurdi, come le centrali a biomasse che in pochi minuti inceneriscono alberi meravigliosi e utilissimi per la nostra sopravvivenza e per la difesa dalle catastrofi naturali che diventano catastrofi umane a causa nostra.
L’82% delle foreste mondiali è degradato in vario modo come risultato delle azioni dell’industria del legname e di altre attività antropiche; si pensi allo scandalo di Ikea (QUI e QUI) per l’approvvigionamento del legno per i suoi mobili (che poi finiranno spesso in discarica, sostituiti da altri).
Ma grazie alle intuizioni di Miyawaki, la foresta raggiunge la maturità in qualche decennio e non in qualche secolo e ospita una eccezionale biodiversità, sostenendo un complesso insieme di funzioni ecosistemiche.
Al cuore del metodo c’è l’identificazione della combinazione di specie vegetali autoctone che meglio si adattano alle specifiche condizioni del sito.
In questo modo gli alberi crescono in fretta, sopravvivono in grande quantità fino al 90% e sequestrano il carbonio più prontamente rispetto ad una piantagione monospecie. Infatti anche questa caratteristica ci fa capire come i vari metodi di riforestazione utilizzati da
industrie e varia sono solo specchietti per le allodole, perfetti esempi di greenwashing e per compensare la CO2 di monoculture non siano molto efficaci, anzi a volte pure controproducenti perché giustificano la distruzione di foreste vergini, tanto poi ripiantiamo gli alberi ma ovviamente non è la stessa cosa e non si hanno gli stessi effetti benefici di quelli che dà una foresta vergine. Non basta compensare con la piantumazione di alberi ma bisogna non abbattere le foreste vergini e allo stesso tempo ricreare foreste, non monoculture di alberi.
Va da sé che in foreste con grande biodiversità ci sarà prosperità di animali in genere, come uccelli e insetti importantissimi per l’equilibrio naturale.
Quello che colpisce nel metodo Miyawaki è anche la densità laddove vengono piantati molti alberi, anche in spazi ristretti e si possono creare tante mini foreste quindi anche in giardini, zone di città, piccoli spazi verdi e possono essere piantati da chiunque seguendo il suo metodo.
E non si sottovaluti il fatto che si possono creare delle vere e proprie riserve di cibo ovunque impiantando foreste e mettendo insieme i concetti di Miyawaki con quelli della food forest.
Abbiamo possibilità e conoscenze a portata di mano per garantirci abbondanza e salubrità, l’importante è agire; e nel libro della Lewis si spiega bene come creare i gruppi, cercare i finanziamenti e operare direttamente per la creazione delle mini foreste in ogni luogo.
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