Nel 2022, i cittadini europei sono rimasti esposti a concentrazioni di inquinanti atmosferici notevolmente superiori ai livelli raccomandati dall’OMS. Oltre alla mortalità prematura, l’impatto delle malattie legate all’inquinamento atmosferico è significativo. A dirlo è l’Agenzia Europea per l’Ambiente nel suo rapporto diffuso alla fine di dicembre.
Secondo l’AEA l’inquinamento atmosferico ha danneggiato la salute della popolazione in Europa nel 2022.
«Gli impatti dell’inquinamento atmosferico sono stati calcolati in due modi. In primo luogo, la “mortalità per tutte le cause” è stata valutata per stabilire il numero totale di tutti i decessi legati all’inquinamento atmosferico, senza fornire alcuna ripartizione delle singole malattie associate a tali decessi. In secondo luogo, sono state calcolate anche la “mortalità e la morbilità per cause specifiche” per determinare i decessi e gli effetti sulla salute associati alle singole malattie» scrive l’Agenzia.
Secondo i dati del rapporto, nel 2022 nei 27 paesi dell’Unione Europea si sono registrati:
-239.000 decessi attribuibili all’esposizione a concentrazioni di PM2,5 superiori al livello guida dell’OMS di 5µg/m3 (microgrammi per metro cubo d’aria). L’intervallo di confidenza (IC) al 95% era 182.000-267.000.
-70.000 decessi (95% CI: 0-137.000) attribuibili all’esposizione a concentrazioni di O3 superiori al livello guida dell’OMS di 60µg/m3.
-48.000 decessi (95% CI: 24.000-95.000) attribuibili all’esposizione a concentrazioni di NO2 superiori al livello guida dell’OMS di 10µg/m3.
Oltre ai Paesi membri dell’UE-27, sono stati valutati anche gruppi più ampi di Paesi: 40 per il PM2,5 e 41 per l’NO2 e l’O3. Per questi gruppi di Paesi:
-269.000 decessi (95% CI: 205.000-299.000) sono attribuibili all’esposizione a concentrazioni di PM2,5 superiori al livello guida dell’OMS di 5µg/m3.
-81.000 decessi (95% CI: 0-159.000) sono attribuibili all’esposizione a concentrazioni di O3 superiori al livello guida dell’OMS di 60µg/m3.
-66.000 decessi (95% CI: 33.000-129.000) sono attribuibili all’esposizione a concentrazioni di NO2 superiori al livello guida dell’OMS di 10µg/m3.
In entrambi questi gruppi di Paesi è stata osservata una leggera diminuzione della mortalità per tutte le cause attribuibile a PM2,5 e NO2 rispetto all’anno precedente. Per quanto riguarda l’O3, l’impatto dell’esposizione a lungo termine è stato stimato per la prima volta solo nel 2022 e quindi non sono disponibili stime precedenti per il confronto. Inoltre, l’esposizione a lungo termine all’O3 si concentra sui sei mesi consecutivi con la più alta concentrazione media semestrale di O3 (la stagione di punta definita dall’OMS, 2021) e non sull’intero anno come per gli altri due inquinanti.
Per diversi decenni, l’UE ha adottato standard di qualità dell’aria per i principali inquinanti atmosferici, come indicato nella AAQD. Questi valori, basati sulle raccomandazioni dell’OMS dell’epoca, riflettevano anche la fattibilità del raggiungimento di tali limiti negli Stati membri dell’UE. In generale, i valori limite dell’UE attualmente in vigore sono meno severi delle linee guida dell’OMS sulla qualità dell’aria del 2005.
Nel 2021, l’OMS ha aggiornato le sue linee guida sulla qualità dell’aria per la prima volta dal 2005, abbassando i livelli raccomandati per PM2,5, NO2 e O3. «L’aggiornamento si è basato su revisioni sistematiche delle più recenti evidenze scientifiche che illustrano gli effetti dell’inquinamento atmosferico sulla salute umana – scrive l’Agenzia – Il 26 ottobre 2022, la Commissione europea ha adottato una proposta di revisione della direttiva, volta ad allineare maggiormente gli standard di qualità dell’aria alle raccomandazioni aggiornate dell’OMS. La direttiva rivista, concordata dai colegislatori, è stata pubblicata nel novembre 2024. Nell’ambito del Green Deal europeo, il piano d’azione “inquinamento zero” si prefigge di migliorare la qualità dell’aria entro il 2030, con particolare attenzione al PM2,5. In questo modo, mira a ridurre il numero di decessi prematuri attribuibili all’inquinamento atmosferico nell’UE di almeno il 55%, rispetto a quelli verificatisi nel 2005».