I rami d’oro di Ginevra Ballati (Visionaria 1)

di Franco Pezzini

Il web apre contatti a distanza, fa conoscere persone di generazioni e mondi diversi, spalanca sorprese. Si apre qui un piccolo itinerario sul fronte di artisti visionari, più o meno giovani, professionisti o meno nel settore dell’arte figurativa e dell’illustrazione, che a vario titolo colpiscono per l’interesse della loro produzione e i rapporti indocili con l’immaginario.

 

L’arte che mi interessa frequentare, sia da osservatrice che da artefice, è sempre arte polisemica. Non meccanicamente combinatoria, perché con le formule al massimo si arriva al divertimento, ma portatrice sana di ambiguità. È un’arte che abita tra due spazi familiari: partecipa di entrambi ma non si esaurisce in essi, si sporge verso le zone del dubbio e della rivelazione, come del resto tendono a fare gli archetipi quando sono ancora vivi. Credo che questo possa avvenire in momenti peculiari in cui elementi del nostro portato personale si attivano in risposta a segnali provenienti dal Fuori – esperienze, suggestioni, eventi della storia grande e di quella piccola-. In alcuni casi felici queste sollecitazioni diventano opere (e qui la lapis è in forma d’uovo) che riescono a trasmettere parte di questa energia a chi guarda, attivando effettivamente trasformazioni imprevedibili.

Così si esprime Ginevra Ballati, nell’ambito di un’intervista di Cristina Eléni Kontoglou legata alla raccolta poetica Semiotica notturna (Pequod, 2024).

Artista e illustratrice freelance attiva dal 2009, Ballati viene da una formazione accademica in Tecniche pittoriche e Illustrazione con successiva laurea in Filologia moderna a Firenze, con una tesi su Carlo Dossi. Dal 2016 lavora nell’ambito della didattica dell’arte e dell’educazione museale, seguendo progetti per conto di enti pubblici e privati tra Toscana ed Emilia Romagna. Con Iacopo Cassigoli e Ahmad Daher ha fondato UrsaMaior, un’associazione di Pistoia che si occupa di editoria e aspetti didattici. Di Ballati si è parlato a proposito di due volumi usciti in anni recenti proprio per i tipi UrsaMaior, Dea Culpa. Breviario per l’Anima stanca, varato con Chiara Daino, 2023, e Per i nostri voli interplanetari. Disastri atomici, UFO e inquietudini spaziali tra arte, letteratura del secondo Dopoguerra e immaginario pop insieme al co-fondatore Cassigoli, 2024. Una cultura ricca, varia e immansueta sostiene l’effervescente fantasia dell’autrice, gli esiti eleganti e la verve critica. L’ironia surreale non è insomma quella del Tenero Giacomo, anche se in apparenza le buffe creature delle tavole di Ballati paiono poeticamente innocue.

La sua produzione si basa principalmente su china, acquerello, acrilico e matita e quasi solo su carta in cotone, affiancando figure e paesaggio a elementi astratti (segni, forme geometriche, macchie di colore con la tecnica del bagnato su bagnato). “La linea – che spesso si spezza, sparisce nel nulla, diventa tagliente – funge da limite e partitura che permette ai soggetti di dialogare, o entrare in contrasto, con lo spazio che li circonda” (dalla presentazione della mostra Pietre alla Biblioteca San Giorgio di Pistoia, 4 aprile – 31 maggio 2024).

A fronte dell’ampio spazio ai temi dell’ibrido e della metamorfosi, le creature che compaiono in queste opere ricche di surrealtà onirica e di un’ironia talora malinconica non sono sempre classificabili con sicurezza come animali, vegetali o minerali, e l’osmosi con l’antropomorfo è continua. Non a caso la suggestione dell’alchimia, delle sue suggestioni simboliche e delle sue spiazzanti trasmutazioni, rappresenta una sorta di filo rosso della sua produzione. Il motivo ricorrente della metamorfosi rende l’incontro con queste tavole una fonte di continue sorprese.

Altri temi trasversali sono il sacro, “inteso come problema senza soluzione e come alterità totale e inquietante” – molto bella la serie di tavole ispirate dalla lettura de Il ramo d’oro di James George Frazer – e il corpo, “negato, trasfigurato, sublimato, esaltato”. Un interesse fondamentale dell’autrice è per i punti liminari e di incontro tra aree diverse del sapere: letteratura, antropologia, anatomia, storia dell’arte, con riguardo particolare al simbolo, come appare e come l’interpretazione soggettiva vi ravvisa significati in parte collimanti, in parte divergenti.

Di estremo interesse risulta un’incursione nel sito dell’artista, https://ossacave.blogspot.com/, per esaminare anche solo la produzione più recente.

Notturno con macerie (acrilico su carta, 2024) presenta una visione umbratile di rovine su cui dorme – surrealmente fuori scala, quasi fosse immenso – un gatto un tantino obeso. Ancora più misterioso il soggetto di Favola d’oltremare (acquerello e china su carta, 2024), dove contro uno sfondo fiabesco di montagne si confrontano un coniglio morente per una ferita e una figura infera un po’ surreale con la testa di teschio e un teschio sotto un piede. Spiega l’autrice, e l’esempio pare emblematico dello stratificarsi di suggestioni in queste tavole:

Come tante è una tavola che parla di lutto, di distacco e di morte. Morte anche in senso buono, come nei tarocchi, intesa come chiusura di un ciclo e termine necessario per dare senso alle cose. Quello a destra è appunto la Morte (che curiosamente è maschile, pensando forse a Ade), il mantello retto dai piccoli uccelli parla della morte naturale o del fatto che il brulichio di tutti continua anche quando qualcuno si perde (è un po’ l’effetto straniante che danno i funerali a primavera). Il coniglio sulla sinistra è la bestia sacrificata che sta passando oltre (sul piano personale è la parte di me impigliata in alcuni lutti non processati: ci sono parti del mio interiore che a volte si identificano con gli erbivori selvatici, di solito bianchi). Lo sfondo rimanda alle mie montagne, però elaborate attraverso alcuni scorci delle Apuane che ho visto in alcuni viaggi in treno recenti. Il titolo in questo caso è posteriore (a volte è il contrario, cioè precede la tavola) e serve da chiave: si basa sulla credenza antica del viaggio delle anime verso ovest, ma anche su uno strano viaggio in Bretagna che ho fatto davvero da bambina, a seguito della morte di mio nonno.

“Ogni mattina tra i grandi edifici senza indietreggiare” recitano le parole sforbiciate e ricomposte a collage in – appunto – Ogni mattina / Tra i grandi edifici (acquerello e acrilico su carta, 2024), che mostra una strana creatura dentata arrampicata sopra un muro fino a un tetto dove siede una specie di angelo tristanzuolo con orecchie da coniglio, accanto a un gatto. Senza titolo (acquerello e china su carta, 2024) mostra un braccio che emerge enorme dalla porta ad arco di una specie di tempio sormontato da un teschio, e regge in mano una fiamma livida:  reca però un esergo tratto dalla citata raccolta di liriche Semiotica notturna di Cristina Eléni Kontoglou, cioè “e io non tocco con i piedi, / non distinguo dove finisce. / È una condensa raffreddata / che brucia le pareti. / È qui che il bronzo si fa argento”. Spiega Ballati all’autrice: “Mi è cara come lirica perché densa di materiali, colori, consistenze imprendibili, colte sul punto di rarefazione. Metalli resi quasi volatili. Rispecchia bene il sistema alchemico che intride tutto il libro”.

Fortezza (acquerello e china su carta, 2024) presenta invece un teschio di dimensioni in apparenza gigantesche, visto che una casa piccolissima sorge in cima con il camino fumante (ancora lo straniamento dimensionale del gatto di Notturno con macerie); e invece che serti d’alloro a coronarlo è una sorta di albero fronzuto le cui radici si diramano sotto. Il teschio sembra fluttuare nell’aria, e del resto sopra vi è tesa in orizzontale una fune che si sta spezzando tra schiocchi di stelle. Mentre un pesce d’oro dall’aria stranita appare circondato da stelle in O Fortuna, velut Luna (acrilico su carta, 2024).

Meravigliosa una delle ultime tavole avvistata sui social, in cui un ragazzino trattiene aperte le fauci di un enorme rettile acquatico mentre una casa brucia su uno sfondo (Terzo giorno, acquerello e china su carta, 2024).

Ma una fondamentale coerenza corre in questa produzione nel tempo – anche nella dimensione – che colpisce e incanta – dell’uso del colore. Andando indietro nella galleria di queste opere. Un’ironia sorniona pervade per esempio Aspettando che crolli il cielo (acquerello, acrilico e china su carta, 2023) in cui un coniglio perplesso e vagamente antropomorfo seduto per terra occhieggia le convulsioni di strani oggetti dal cielo profondo, e S’i fosse fuoco (acquerello, 2022) dove un pesce sguazza tra cartigli con la citazione da Cecco Angiolieri; nel meraviglioso Porta celeste (acquerello e china su carta, 2022) la volta stellata con le sue costellazioni si staglia su uno sfondo vagamente edenico (c’è anche il serpente) nel cui azzurro – o piuttosto celeste – si apre una porta contrassegnata da una stella. Curiosissimo è Il lungo incendio (acquerello e acrilico su carta, 2021) dove un coniglio nero presenzia al rogo di una casa – distante o minuscola, in queste tavole non si può mai dire con certezza. Si pensi poi al luminoso Casa con leopardi (acquerello e matita su carta, 2021), dove tre aggraziati felini scorrazzano attorno a una casa illuminata da tre soli fiabeschi, con visi e sorrisi.

Ma la galleria presenta un’assai più lunga festa di animali immaginari, ibridi, antropomorfizzati o divertiti (come l’uccello insonnolito qui sotto: Tre croci, acquerello e matita su carta, 2024), case o duomi volanti, luoghi fiabeschi d’ironica poesia, immersi in una tavolozza straniante di assoluta libertà.

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